Beket di Davide Manuli è un film che esce dai sentieri battuti e ci sorprende (in Concorso nella sezione “Cineasti del presente”): in questo road movie metafisico, splendidamente fotografato in bianco e nero, i due protagonisti non si accontentano di aspettare Godot, ma vanno alla sua ricerca. Beckett avrebbe senza dubbio apprezzato questo omaggio irriverente e scanzonato, surreale e poetico alla sua opera Aspettando Godot.
Girato con un budget molto limitato in soli quindici giorni, il film ha il grande merito di creare un suo universo peculiare e inconfondibile dominato dalla bellezza disarmante dei paesaggi lunari e dall’irrompere incalzante di una musica elettronica. Due personaggi, Jajà e Freak, aspettano nel bel mezzo di un paesaggio desertico un autobus che dovrebbe portarli da Godot, ma l’autobus, un inserto di animazione, vola letteralmente via sopra le loro teste lasciandoli soli alla fermata. I due non si danno per vinti e decidono di andare a cercarlo. Guidati dal suono di una musica elettro-pop che sorge dietro i monti, si mettono in marcia iniziando così una lunga peregrinazione. Sul loro cammino incontreranno vari personaggi: figure mitiche come Adamo, Eva e la Grande Madre, personalità enigmatiche come gli agenti 06 e 08, individui stravaganti come il Mariachi-oracolo.
La comunicazione verbale nel corso di queste peregrinazioni si svolge in versi, filastrocche, canzoni sgangherate, confessioni deliranti, giochi di parole, frasi reiterate a non finire, garbugli di lingue e citazioni. Arrivati su una spiaggia paradisiaca i due pensano di avere finalmente raggiunto la loro meta e, per un attimo, il film si tinge di colori bellissimi, ma non si tratta che di un’illusione. Il loro cammino è circolare: la storia si conclude per riprendere all’infinito, in una ripetizione eterna dell’identico. Questa singolare favola cinematografica sul senso dell’esistenza si chiude, a ragione, con una citazione di Beckett: “Mai null’altro. Sempre tentare, sempre fallire. Non importa. Tentare di nuovo, fallire di nuovo. Fallire meglio?”
La scelta del cast ne dice molto sull’impostazione del film, ne fanno parte: il campione di box Simone Malodruttu che inaugura la prima sequenza, Freakantoni cantante del gruppo punk Skiantos nel ruolo del Mariachi-profeta, Fabrizio Gifuni lugubre agente 06 in costume nero ed occhiali da sole, la presentatrice della domenica sportiva Letizia Filippi che incarna la bellissima Grande Madre, Paolo Rossi, agente 08 in un‘apparizione-cammeo su uno schermo televisivo, e i due protagonisti Luciano Correli e Jerome Duranteau. Ma i veri protagonisti del film sono i paesaggi sardi con cui Manuli ha saputo creare un luogo astratto e fuori dal tempo: la distesa desertica e lunare del lago salato di Sale Porcus, i resti spettrali della miniera di Montevecchio, la dolcezza delle dune di Piscinas, il fascino paradisiaco della spiaggia di Li Cossi, oasi di pace e ultima tappa, presunta, dei due protagonisti, infine riconciliati nella loro ricerca di Dio.
Se l’atmosfera e l’universo visuale di Beket ci fanno venire in mente i primi film di Jarmush e i personaggi stravaganti e solitari di Kaurismaki, quella elaborata dal film è, nonostante ciò, una miscela fresca e personale. In questo carosello di incontri-sketch, punteggiati da schermi in nero, la continuità è data dal rigore formale delle immagini, dalla sensazione costante di trovarsi uno spazio aperto (tutto il film è girato in piani larghi e piani d’insieme) e dalla presenza della musica, vero filo d’Arianna di quest’avventura nell’universo dell’assurdo. Beket è un film scarno e lussureggiante al contempo: scarno ed elegante nella forma, inventivo, divertente e profondo nel discorso. A prova di quanto detto un esempio di dialogo. Uno dei due protagonisti chiede all’altro:
–Tu cosa offri a Dio ogni giorno?
–Io faccio un cerchio poi prendo tutto quello che Dio mi dà e lo lancio in aria: tutto quello che cade nel cerchio è di Dio e quello che cade fuori è mio. Questo nei giorni pari, nei giorni dispari è il contrario! E tu che cosa fai?
– Io non faccio nessuna di queste cose, faccio un cerchio poi lancio tutto in aria e dico: “Dio prendi ciò che vuoi!!” Poi tutto ciò che cade in terra è mio!
Beket è un film “a parte” che forse non potrà contare su un vastissimo pubblico, ma è pur sempre un film originale e intelligente: ci fa sorridere, ci fa riflettere.