Il 23 dicembre 2007 abbiamo incontrato Esmeralda Calabria, regista insieme a Andrea D’Ambrosio e Peppe Ruggiero di Biùtiful cauntri. Montatrice da molti anni, ha collaborato con molti registi italiani come Paolo Virzì, Giuseppe Piccioni, Nanni Moretti, Michele Placido. All’attivo, anche due David di Donatello per il montaggio di Fuori dal mondo e Romanzo criminale. Biùtiful cauntri è la sua prima regia. SCARICA TUTTA L’INTERVISTA 

Come è nato il progetto Biùtiful cauntri?   

Il progetto Biùtiful cauntri è nato in seguito ad una serie di conversazioni che abbiamo fatto io e Andrea D’Ambrosio che è l’altro regista di Salerno. Avevamo il desiderio di raccontare qualcosa che riguardasse l’Italia del presente. Abbiamo incominciato a parlare prima di Seveso (Ndr: L’area di Severo in provincia di Monza e di alcuni comuni vicini il 10 luglio del 1976 venne contaminata da diossina fuoriuscita dagli impianti chimici della società elvetica ICMESA. Molti abitanti furono evacuati), c’era il quadro di una storia delle vedove dei morti di Seveso, poi abbiamo cominciato a ragionare sui rifiuti tossici e abbiamo contattato Legambiente Campania che ci ha messo in comunicazione subito con una serie di persone, in particolare con Peppe Ruggero che si occupa dei rapporti ecomafie per Legambiente. Siamo andati sul posto, in Campania, a Qualiano, Giugliano a fare sopralluoghi, a incontrare delle persone tra cui Raffaele Del Giudice che è educatore ambientale e che tra l’altro lavora anche per Legambiente. Da qui è nato il nostro racconto. Raffaele vive in quei luoghi da vent’anni: ogni giorno esce di casa e va a scoprire nuove discariche, parla con le persone, parla con i sindaci, insomma è una specie di piccolo eroe all’interno di quella realtà. Lo abbiamo incontrato, abbiamo cominciato a stare con lui, a seguirlo ed è emersa questa situazione terribile. Appena arrivati ci siamo resi conto che era un mondo completamente diverso da quello che immaginavamo, “lontano” dai nostri luoghi di provenienza. Nei primi sopralluoghi abbiamo portato delle telecamere piccole, ma Raffaele appunto diceva: “Qui non potete girare, qui abbassate la telecamera, qui non vi fate vedere” e il primo giorno dei sopralluoghi che era soltanto per “organizzare” quello che si poteva filmare, abbiamo assistito a tutto: fumi neri, incendi, abbiamo visto una macchina che ci ha seguito; insomma, si respirava assolutamente un clima anomalo. E le strade erano piene, piene di immondizia, ma non era solo immondizia, c’era di tutto. C’erano cani morti, sacchi di cozze e vongole abbandonati, sacchi di pesce, amianto, pezzi di computer, c’era di tutto; erano lunghissime, chilometri e chilometri, queste strade deserte. Dopo questo primo sopralluogo abbiamo deciso di cominciare a girare subito. Abbiamo cominciato a seguire Raffaele nella zona di Giugliano e Qualiano. E poi siamo andati ad Acerra. E lì abbiamo incontrato gli allevatori e raccolto la testimonianza di due famiglie di allevatori, le uniche ad Acerra che dal 2003, quindi da 4 anni, vivono con il gregge sotto sequestro perché è stata riscontrata la presenza di diossina nelle pecore che loro allevavano. Quando siamo arrivati lì, la prima cosa che abbiamo visto era una sequenza di sacchi neri su una rete accanto alla roulotte dove vive questa coppia di allevatori: quei sacchi dell’immondizia erano pieni di cadaveri di animali, di pecore, di agnelli. La routine per questi allevatori è alzarsi la mattina e trovare le pecore morte, oppure assistere alla loro agonia che magari dura 5, 6, 7 giorni: cominciano a stare male, a non reggersi in piedi poi cadono per terra e dopo muoiono. E loro ci hanno raccontato la loro storia.

Si sono ridotti praticamente in povertà?

 

Loro sono ridotti in povertà. Il loro racconto è incredibile: dal 2003 hanno cominciato a vedere che le pecore morivano, si sono rivolti alla ASL, ai veterinari che li hanno assicurati che le pecore morivano perché avevano una malattia come la procellosi, per cui hanno detto: “Va bene“. Hanno continuato a vivere di questo lavoro. Ma le pecore continuavano a morire, allora loro stessi hanno richiesto altri controlli, hanno fatto dei prelievi nel 2004 e hanno ricevuto le risposte dopo otto mesi. Questo nel documentario c’è. E dopo otto mesi gli hanno detto che le pecore avevano un tasso di diossina elevato. Le pecore della famiglia Orlando risultarono di 12 picogrammi di diossina mentre quelle della famiglia Canavacciuolo, un’altra famiglia di allevatori, di 51 picogrammi. Per cui l’allevamento fu messo sotto sequestro. E da lì loro non hanno più potuto vivere di quel lavoro e sono da quattro anni, cioè fino a adesso, in attesa di un risarcimento da parte dello Stato. Di questo risarcimento pare che adesso, al 31 dicembre del 2007, qualcosa gli verrà dato. Hanno dovuto fare un censimento di tutte le pecore morte per dargli “un prezzo” e pare che gli verrà data la metà di quello che spetterebbe loro. La cosa abbastanza incredibile è che i risultati di queste analisi fatte nel 2004 sono arrivati dopo otto mesi per cui loro, per otto mesi, hanno continuato a produrre latte, formaggio e a mangiare gli agnelli mettendo in pericolo tutti: loro che vivevano in questa roulotte, una coppia con tre bambini, e il resto della popolazione non solo di Acerra, perché insomma queste materie prime sono considerate genuine perché provengono dai contadini e uno pensa che sono naturali, sono buone, in realtà invece ecco cosa sono…

Questi allevatori hanno avuto la prontezza e l’onestà di dichiararla questa cosa. Tu pensi che possano esserci altri allevatori che invece non si fanno tanti scrupoli?

Non l’hanno detto. Beh, la cosa è che loro sono stati molto combattivi, si sono incaponiti, hanno detto: “Perché non ce lo avete detto subito?”. E soprattutto se si mette sotto sequestro un allevamento intero vuol dire che c’è qualcosa di grave, perché la morte degli animali è la prima avvisaglia di qualcosa che non va nel ciclo ambientale, no? E questa è una cosa risaputa che dicono tutti, che è confermata. Quindi se gli animali cominciano a morire perché mangiano l’erba, l’insalata, perché bevono l’acqua, il problema si è esteso. Si è cercato di capire come mai l’insalata, i carciofi siano inquinati ed è venuto fuori che in tantissime zone sono state sotterrate moltissime sostanze tossiche che vengono smaltite dalle industrie e che hanno inquinato le falde acquifere. E questo è il risultato.

La gravità della situazione non è solo l’esistenza di questo problema, ma il fatto che non emergano informazioni al riguardo.

Nel documentario abbiamo cercato di evitare di inserire una voce fuori campo che spiegasse perché era importante far vedere cosa accadeva. Abbiamo utilizzato la voce del presidente della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti la cui relazione è stata approvata nel 2006. In questa relazione, saranno più di 100 pagine, viene descritta questa situazione, quindi il Parlamento sa perfettamente cosa succede lì: sa dei tassi di diossina 300 volte superiori ai limiti consentiti dalla legge, dell’abbandono di rifiuti tossici nelle zone dell’
acerrano, di Giugliano, di Qualiano, sa delle pecore e degli animali morti intossicati. In quelle zone c’è la più alta mortalità per tumore di tutta Italia, c’è stato un aumento negli ultimi anni di tumori del 14% per le donne e dell’84% rispetto alla media nazionale. Insomma, il problema non è sconosciuto. La stessa Commissione Parlamentare d’inchiesta conferma; insomma tutti lo sanno, ma nessuno fa nulla. Un’altra cosa preoccupante è l’informazione: è come se l’Italia fosse divisa in tre parti, nord, centro e sud perché i quotidiani nazionali non parlano di questo problema. Probabilmente un po’ perché andare in quei posti è difficile, è dura, insomma è un impegno, un impegno sia fisico che morale. E forse anche perchè, credo, non si vogliono fare allarmismi. C’è sempre questo problema: la paura di allarmismi e di quello che può succedere, ovvero, non si vendono gli alimenti che provengono da quella zona, non si vendono più i carciofi, ad esempio. Con il carciofo di Acerra, ad esempio, è stato fatto un gemellaggio con Santa Marinella che sta vicino Roma, c’è stata la sagra del carciofo di Acerra: tutti hanno mangiato il carciofo di Acerra e però il carciofo di Acerra, e questo lo vedi nelle immagini, è coltivato in zone dove le falde acquifere sono inquinate, questo è dichiarato. Lo dichiarano i magistrati, lo dichiarano i contadini. Insomma lo dichiarano tutti: lì sono abbandonati pezzi di amianto, roba nociva, tossica. Quindi il problema è l’informazione, fondamentalmente. (leggi Immondizie, ndr)

Nel documentario avete utilizzato il filone insolito delle intercettazioni. Siete riusciti ad avere delle intercettazioni dal contenuto abbastanza inquietante…

Le intercettazioni sono state abbastanza strabilianti, abbiamo ascoltato circa otto ore di materiale. Non c’erano mai intercettazioni in cui si parlava in maniera dichiarata ed evidente di quello che si stava per fare. Non si sentivano voci napoletane, non c’era il mondo della delinquenza ma sentivi tutti accenti del nord Italia o toscani che parlavano tra di loro, che organizzavano questi viaggi per andare a smaltire rifiuti in Campania. Quindi la cosa sorprendente è che non si ha a che fare con una delinquenza comune ma con delle persone che hanno un minimo di potere, hanno dei soldi, sono imprenditori, sono persone che gestiscono imprese e quindi sono molto coscienti di quello che fanno. La cosa più impressionante è il loro cinismo, loro ridono quando parlano, quando dicono “hanno scoperto la discarica abusiva” e ridono dicendo “eh, sì la discarica più grossa d’Europa, figurati sai come sono i giornali“… l’assenza di preoccupazione per le conseguenze di questa cosa è abbastanza sconvolgente, ti rendi conto di essere nelle mani di pochi che non hanno scrupoli. Le intercettazioni sono state una rivelazione anche per noi perché magari ci aspettavamo che in qualche modo ci fosse un intreccio tra il nord e il centro gestito dalle persone di quelle zone, di Acerra, ma in realtà non è andata così. La maggior parte delle persone di quei posti sono solo degli operatori, dei camionisti, della gente che magari prende dei soldi per andare a scaricare la roba, ma quella viene tutta dal nord.

I camion non sono della nettezza urbana, sono dei TIR camuffati da autotrasportatori di altre merci.

Sì, oppure sono dei camion piccoli per non dare nell’occhio. Adesso la cosa si comincia a sapere, le persone del posto cominciano a notare, per cui anche dalle intercettazioni si evince che si preferisce fare più viaggi con camion piccoli che poi scaricano questi rifiuti su dei letti di combustione. La cosa più importante per loro è bruciare questi rifiuti perché si eliminano le tracce e la possibilità di risalire ai “proprietari” di questi. Quando viaggi in quelle zone noti dei campi pieni di copertoni, e ti chiedi “ma questi copertoni?”. Poi ci sono altri camion che scaricano anche i rifiuti tossici liquidi che vengono dati alle fiamme. Ora, il copertone è un letto di combustione che non si spegne, ma continua a bruciare per cui l’aria è completamente inquinata, non solo dalle sostanze bruciate ma anche dai copertoni. Quando si passa da quelle parti ti accorgi che ci sono dei fumi neri, ma dei fumi nerissimi, che sono tutti incendi di quel tipo e non sono certo di sterpaglie dei contadini. Te ne accorgi perché cominci a stare male, gli occhi bruciano, cominci ad avere problemi alla gola. Succede questo, ed è all’ordine del giorno. Non trovi un incendio ogni tanto: se si passa sulla tangenziale dell’asse mediano, soprattutto verso le sei del pomeriggio, hai un panorama a 360° di queste trombe di fumo nero.

Che distanza c’è tra queste discariche e le case, per quello che tu hai potuto monitorare?

La distanza è minima, nel senso che la maggior parte di questi scarichi di rifiuti tossici avvengono in strade di campagna dove ci sono delle masserie, ci sono dei campi coltivati, comunque in ogni caso c’è una vita lì intorno; non sono posti abbandonati. Un’altra cosa che abbiamo notato è che le case sono molto vicine alle discariche regionali legali, quella di Villaricca per esempio. Si è capito, anche facilmente, che quella discarica non era a norma e che tutto il percolato, questo liquido velenoso che si crea con la fermentazione della immondizia, cadeva nel terreno, inquinava le falde acquifere e provocava grossi danni all’agricoltura. Queste discariche sono attaccate alle case quindi l’odore, la puzza di tutta questa immondizia stracolma, che non entra più dentro la discarica, si spande per tutta la città. A Qualiano, per esempio, che sta a due chilometri dalla discarica, vivono con le finestre chiuse, la gente vive con la mano davanti la bocca. C’è un’aria irrespirabile e queste persone vivono tutti i giorni così. Ci si adatta a una cosa che ha dell’incredibile, che non può esistere in un paese normale, in un paese civile. Infatti la cosa che fa impressione, anche parlando con i contadini, è che c’è uno spirito di adattamento nelle persone, nei cittadini, che è commovente. C’è un potere di pochi che stabilisce condizioni pessime di vita per tutti, non è giusto che i bambini non possano uscire di casa perché c’è l’immondizia alta sei metri davanti la loro casa oppure una puzza insopportabile. Si vive e si cresce così: per cui, soprattutto in quelle zone, è difficile pretendere da queste persone normalità, onestà, rigore, dignità. Per loro queste diventano richieste molto grosse… e poi gli si dice di portare pazienza, no? Gli allevatori vivono da cinque anni con le pecore sequestrate, con i greggi sequestrati, senza ricevere un soldo, quindi sono pieni di debiti e mentre aspettano un indennizzo dallo Stato si abbrutiscono. Non hanno strumenti per poter combattere, nemmeno culturali, perché se non hai i soldi i tuoi figli a scuola non ci vanno, se tu vivi in una roulotte con il minimo indispensabile, non ci sono tante prospettive per un futuro e una vita normali. Diciamo pure che il problema della delinquenza di base sta in questo: se non si ha possibilità di uscire da quella situazione è difficile che si possa conservare la propria integrità, è molto difficile.

Cominci a fare compromessi per la sopravvivenza.

Per forza
, per forza.

Si crea così un assetto sociale che serve da serbatoio per la camorra, per attingere a quelle persone che non hanno nulla da perdere.

Sì, se sono loro a risolvere i tuoi problemi di sopravvivenza è chiaro che diventano il tuo punto di riferimento. Se lo Stato non pensa a questo, non pensa a farti vivere in maniera dignitosa e ci pensa qualcun altro, è chiaro che questi si sostituiscono allo Stato. È la cosa più normale del mondo. Sinceramente non vedo un futuro. Non vedo un futuro in quei luoghi per un motivo semplice: perché non vedo interesse da parte del Governo a risolvere questo problema. Penso che non ci sia proprio l’intenzione di risolverlo perché altrimenti si sarebbe potuto fare. Ho sentito anche delle interviste di politici, in particolare del Presidente della Regione Campania, Bassolino, ed ero sconcertata, perché anche dopo aver passato soltanto un giorno qui – e passarvi un giorno è come passarci tre mesi perché è uno shock continuo – diceva “questo problema dei rifiuti in Campania non si risolve perché le popolazioni sono contrarie agli inceneritori, perché i cittadini e i comitati sono ostili a ogni tentativo di risanamento, perché la mentalità dei campani è quella, alla gente non gli importa di fare la raccolta differenziata“. Io non penso assolutamente questo. Non penso minimamente che sia questo il problema. Io credo che ci sia una sfiducia enorme nella popolazione, come in questo momento storico ce l’abbiamo un po’ tutti la sfiducia nei confronti dei politici, non della politica, ma proprio delle persone che dovrebbero organizzarci l’esistenza….

Non si può risolvere il problema se questi politici fanno vincere una gara d’appalto per costruire un inceneritore a una società che ha il più basso apporto tecnologico e non fanno vincere imprese tecnologicamente avanzate che propongono progetti che potrebbero risolvere il problema. Prediligono la più bassa offerta economica, ma anche la più bassa offerta tecnologica; tu capisci che si genera sfiducia e il problema non è l’incapacità dei cittadini di collaborare.

Tanto è vero che per l’inceneritore di Acerra il bando di gara era stato vinto nel 2000 dalla società Fibe del gruppo Impregilo; hanno cominciato a costruire nel 2004; doveva entrare in funzione il 31 Ottobre del 2007, cioè adesso, e non è stato mai finito di costruire, né entrerà in funzione. Per cui sono soldi, milioni di euro, che sono andati in un investimento fasullo, dichiaratamente fasullo perché quell’inceneritore non potrà mai servire: uno, perché non è finito e due perchè è costruito con materiale obsoleto. Un progetto che è stato aggiornato negli anni perché era dichiaratamente obsoleto. Soprattutto perché le cose che vanno lì dentro per essere incenerite sono materiali che non vengono da una raccolta differenziata ma c’è di tutto: tutto il possibile e l’immaginabile! E bruciare immondizia più amianto più rifiuti pericolosi vorrebbe dire un disastro ambientale ulteriore, quindi non servirà a nulla questo inceneritore e sono passati sette anni. Sette anni sono tantissimi: e quanti ne devono passare ancora per risolvere il problema?

Questa società Fibe c’ha tutto un trascorso particolare legato al Presidente della Regione e al Commissario straordinario, l’emergenza legittima molte procedure illecite…

Tra l’altro il Gruppo Impresilo, di cui fa parte la Fibe, è la stessa società che aveva il contratto del ponte sullo stretto di Messina, che poi non è stato più realizzato, a cui il Governo paga una penale, per cui credo campino bene. Loro vinsero la gara per costruire tutti gli impianti della regione Campania per l’intero smaltimento dei rifiuti, un enorme bando, un’enorme gara e questi impianti sono stati messi quasi subito sotto sequestro.

Le lunghe code, che a volte i TG ci fanno vedere, le lunghe code di camion che devono scaricare l’immondizia e che sono fermi, sono causate dagli impianti non funzionanti: gli impianti non reggono quella quantità d’immondizia, non sono concepiti per contenere tutta quella roba, né tanto meno sono concepiti, questa è una cosa ancora più agghiacciante, per la differenziata. Anche se la raccolta differenziata si avviasse, cosa difficile non tanto per la mentalità dei cittadini quanto perché non viene organizzata (la raccolta differenziata porta a porta sarebbe già una cosa che si fa in tante città d’Italia non vedo perché non la si possa fare lì) non troverebbe smaltimento in quel tipo di impianti. Quindi non servirebbe a nulla. Bisognerebbe radere al suolo tutto e ricominciare da zero, costruire nuovi impianti. E questa è una cosa che tutto sommato si potrebbe fare se si desse questa gestione a delle società in grado di farlo e forse nello spazio di due, tre anni si avrebbero gli impianti che funzionano, un ciclo di smaltimento dei rifiuti decente. Mi domando perché questo non avviene, perché non vengano prese certe decisioni.

Poi perché è stato affidata tutta la gestione solo a una società?

Ufficialmente perché il bando di gara prevedeva che avrebbe vinto la società con l’offerta economica più bassa.

Cioè una società per tutta la Campania?

Sì, c’erano anche altre società, come l’Ansaldo o altre società straniere, che erano interessate e che avrebbero realizzato questi impianti. Per esempio, nel progetto per la gara, Impregilo diceva che avrebbe costruito tutto in 360 giorni, sono invece passati… quasi 7 anni, mentre invece l’Ansaldo, o altre società più avanzate tecnologicamente, scrissero che l’avrebbero fatto, non so, in 380 giorni. Quindi si trattava veramente di cose minime, non erano dettagli importanti. E tutto questo è scritto nella relazione parlamentare d’inchiesta. C’è scritto quanti soldi aveva proposto la Fibe, quanti soldi aveva proposto l’Ansaldo, quanti soldi avevano proposto le altre società, c’è tutto, ci sono tutte le differenze. Tu leggi quelle cose e dici “perché nessuno ha fermato tutto questo?”. Ed è questa la colpa di Bassolino che all’epoca non era Presidente della Regione, ma Commissario straordinario.

Non ha detto nulla, questa è stata penso la colpa più grave, che non abbia bloccato un fallimento dichiarato fin dall’inizio. Non si capisce perché ci sia questa situazione.

Tu hai detto che avete avuto difficoltà a girare perché venivate minacciati in qualche modo, vero?

No, minacce vere e proprie non ce ne sono state. Diciamo che la preoccupazione più grossa era quella di tutelare le persone che ci aiutavano, in particolare Raffaele Del Giudice. C’erano dei luoghi dove era meglio non farsi notare troppo. Appena arrivati lì, nonostante fossimo abbastanza leggeri con l’attrezzatura – non avevamo troupe – ci sentivamo osservati. Era evidente che sapevano tutti che c’erano delle persone che stavano girando qualcosa. Lì non c’è nulla di bello da vedere, gli alberghi non esistono, esistono solo alberghi a ore in quelle zone, per cui trovare delle persone che vanno lì e stanno magari due, tre giorni in un albergo è strano, è anomalo. Così la sensazione di essere osservati è forte. C’è un limite oltre il quale loro non ti concedono di andare e
questo è bene non oltrepassarlo, soprattutto per le persone che ci hanno aiutato e che sarebbero rimaste lì.

Qual è questo limite?

Il limite è probabilmente quello di andare in posti dove effettivamente assisti agli scarichi.

Voi però avete filmato dei camion che scaricano sostanza tossiche?

Quelle immagini sono della magistratura di Santa Maria Capua Vetere, così come le intercettazioni telefoniche, il lavoro della magistratura esiste lì, eccome! Anche quando assistevamo a qualche incendio filmavamo da lontano, era pericoloso avvicinarsi perché “qualcuno” poteva trovarsi ancora in zona; ecco, questo era per evitare di fare brutti incontri diciamo. La cosa assurda è che non ci hanno fatto mai entrare a girare nelle discariche. Non ci hanno permesso di filmare il cimitero, volevamo immagini più che altro evocative, ma ci hanno chiesto di non andare perché c’era il problema della paura di fare un cattiva pubblicità al paese: oramai la maggior parte delle lapidi riguardano persone che hanno un’età media tra i 35 – 40 anni, si è abbassata tantissimo l’età per quanto riguarda la mortalità… la gente muore, muore di leucemia fulminante, tantissimi ragazzi muoiono così. E poi ci sono problemi di malformazioni non solo negli esseri umani, ma negli animali soprattutto. Ci sono tantissimi casi di pecore nate senza testa, con un occhio solo, insomma con malformazioni pesanti ed è una cosa anche confermata dagli studi medici, dall’Organismo Mondiale della Sanità che ha dichiarato che quelle zone, Giuliano, Qualiano, Villaricca, Acerra, Afragola, sono le zone più a rischio tumori e malformazioni. Appena arrivi lì respiri un’aria malsana, non c’è niente da fare.

Come diceva nel documentario il responsabile di Legambiente “io vado a naso”, in tutti i sensi, riesce a intercettare uno scarico tossico dall’odore.

Quella della puzza è una cosa che non si può descrivere se non ci vai. Si convive con una puzza allucinante tutto il giorno. Quando arrivano gli odori dei rifiuti tossici che bruciano, sono odori particolari, stai male, ti fa male la testa ti bruciano gli occhi, la gola e il naso e devi stare attento a quello che tocchi. È tutto contaminato.

Ci sono poi alcuni rifiuti tossici che vengono abbandonati anche lungo le strade, oltre a quelli bruciati di cui ho parlato, ci sono le polveri: raccolte in grossi sacchi, big bag, vengono spesso abbandonate in mezzo alle strade, non al centro della città ma comunque in zone di transito. Nel documentario c’è questa cosa: abbiamo trovato questi sacchi abbandonati che con il passare del tempo si aprono e le polveri fuoriescono; c’è il vento, la pioggia, si mescolano a tutto, ci sono gli uccelli, ci sono le persone che passeggiano. E il problema è che anche quando si denuncia la presenza di questi rifiuti, la magistratura stessa denuncia, nessuno li va a togliere. Non vengono tolti perché non sanno dove metterli. A volte, se va bene, vengono transennati e coperti con un telo di plastica e rimangono lì per anni, per anni. Tu dici “ma come è possibile?”… Non sanno dove smaltirli. E quindi è preferibile che rimangano lì. Il magistrato Donato Ceglie che è stato fondamentale per noi per le sue dichiarazioni, ha detto “nessuno toglie questi rifiuti, nessuno”, ha fatto una percentuale, su 300 rifiuti ne tolgono venti, il resto rimane là.

Fanno operazioni magari di visibilità per un periodo…

Lo fanno anche perché la gente comincia a lamentarsi. Il primo giorno di riprese, Raffaele Del Giudice trova, attaccata alla discarica regionale di Villaricca, una discarica di amianto, la denuncia ai carabinieri, la transennano, ci mettono un telo sopra con scritto “attenzione pericolo d’amianto”. Questo è successo a febbraio; siamo tornati a giugno e tutto stava ancora lì, i sacchi di plastica erano mezzi rotti con l’amianto che fuoriusciva. Il giorno che è stata chiusa la discarica di Villaricca, a maggio, c’è stata una grande festa, c’era molta gente, bambini compresi, che giocavano proprio verso la discarica d’amianto, che stava lì in un viottolo a 50 metri, e nessuno li avvertiva: io avendo visto il ritrovamento sapevo di quell’esposizione di amianto e li ho mandati via, avvisando le loro madri, però la situazione continua ad essere questa.

Che tipo di reazione tu pensi stia avendo adesso la gente? Hai detto che comunque c’è una ribellione concreta a questa situazione.

Lì c’è sempre una ribellione.

Ho visto su Youtube questa gente che blocca l’autostrada, che inizia a farsi sentire gente comune…

Sì, ma quello c’è stato a Serre… A Serre l’hanno fatta la protesta, l’hanno fatta a Villaricca, l’hanno fatta ovunque, non è che le persone stiano ferme. Il problema sai qual è? I rifiuti sono una situazione che parte dal sacchetto dell’immondizia e arriva alla camorra; è un ginepraio, è tutto collegato, se ne parla, se ne scrive, ma poi un altro conto è vederlo. Una cosa che ho notato è che l’impatto delle immagini è più forte perché c’è una riflessione: c’è qualcuno che può anche non credere a quello che c’è lì, alle pecore morte, per esempio. Poi quando fai vedere l’agonia degli agnelli o la gente che esce di casa con i cumuli di immondizia sparsi, i bambini che trascinano i cadaverini come se niente fosse ti rendi conto che c’è di più. Anche rispetto alle persone che si ribellano, no? Anche io ho visto tante cose su Youtube, tante. Il rischio della ribellione delle persone è che venga considerato esagerato da parte di chi guarda, che eccedano, che aggrediscano i politici. In realtà loro si ribellano ma non succede nulla: si ribellano da sempre, ma non solo lì. Da quando è uscito il documentario mi hanno chiamato i comitati cittadini di Grosseto: mi dicono che tutta quella zona della Toscana sta nelle stesse condizioni, che hanno trovato rifiuti tossici in zone turistiche, che sono vicino al mare, quindi hanno mobilitato tutti, chiunque, ma l’informazione non è passata. Hanno fatto fare il carotaggio del terreno, hanno trovato diossina anche lì, ma nessuno lo sa. Quindi la gente si muove, la gente fa. Ma l’impressione che si ha, da parte di chi non è lì in quella condizione, è di vedere donne che urlano in napoletano che diventano quasi delle macchiette: questo è un grosso rischio. Quando Raffaele Del Giudice nel documentario s’incavola con Bertolaso e gli urla dietro, alcune persone hanno pensato che fosse sopra le righe. Sopra le righe cosa? Se una persona che va lì comincia a dire “guardate la discarica non è a norma” e quello, che sta facendo un sopralluogo, gira le spalle e se ne va, lui non può non urlare. Quella è stata l’unica forma di comunicazione che ha trovato in quel momento. La gente non sa più cosa fare perché una comunicazione con le istituzioni non esiste, non esiste. È chiaro che quando poi arriva un Bertolaso o chiunque altro, la gente lo aggredisce, addirittura in un’altra situazione lo hanno pure picchiato, non so se a Serre. A Serre la polizia carica: comunque c’è un atteggiamento di militarizzazione del territorio, di alcune parti del territorio dove, appunto, se si deve costruire una discarica arrivano i militari e dicono che la disca
rica si fa senza prendere in considerazione i cittadini. Poiché i cittadini hanno ragione, hanno ragione perché vivono male, è dovere di chi sta lì capire e cercare di risolvere il problema ed è una pretesa troppo alta pensare che i cittadini siano ancora condiscendenti verso chi li fa vivere in quelle condizioni. Anche perché ci sono delle zone della Campania che non sono assolutamente contaminate. Quello che mi viene da pensare è che forse non siano contaminate perché c’è la presenza di personaggi politici che non permettono tutto questo. Come dire, è come se fosse divisa a zone.

Quali sono queste zone?

L’avellinese appunto per motivi che riguardano la presenza di personaggi….

Ceppaloni?

Sì, forse De Mita, Mastella, qualcosa contano e non fanno fare le cose lì. Quindi all’interno della Campania, nonostante la situazione gravissima, c’è la guerra tra poveri, ci sono i cittadini di serie B, di serie C, ma veramente. Uno si dovrebbe chiedere: perché tutto avviene lì nelle zone di Giugliano, di Qualiano, di Villaricca, di Acerra? La maggior parte delle discariche abusive sono lì. Per non parlare della zona di Casal di Principe: nei primi giorni di riprese, ricordo di essere andata a fare un giro, sembrava di stare in Nicaragua, non sembra l’Italia, ma un altro paese, perché è un paese abusivo, una città abusiva, una città piena di case basse, di mezze catapecchie dove c’è gente, c’è un’umanità strana, ci sono strade lunghissime piene di rifiuti, piene di amianto. Ci sono andata a filmare: a un certo punto c’era una macchina dietro di noi, io ho temuto che fosse qualcuno che non voleva che noi girassimo, anche se questa strada era molto vicina al centro storico, era una zona di passaggio. Questa si è fermata e un tizio ci ha detto: “Vi prego aiutateci, filmate, guardate quello è amianto, ditelo a qualcuno, ditelo a qualcuno“. E’ impressionante, capito?

E tu che lavoro fai?

Faccio la montatrice.

Pensa se eri una giornalista…

Io penso questo, se posso dire: ho un’esperienza di montatrice di film italiani soprattutto, e diciamo che il cinema italiano non parla molto di argomenti che riguardano l’Italia, nel senso che forse i nostri registi parlano in altre forme del nostro Paese, nella forma del racconto, nella forma non necessariamente della rappresentazione diretta delle situazioni. E c’è sempre questo grosso quesito: “come si fa a raccontare l’Italia in un film senza essere televisivi? Senza essere giornalistici, senza fare la televisione?“. Allora, molti cineasti pensano che per raccontare l’Italia, certe cose vere dell’Italia, certi fatti, ci sia la TV. Perché dobbiamo farlo noi? C’è la televisione che svolge questo servizio. Per mia esperienza penso che lo sguardo di un regista cinematografico sia diverso da quello di un giornalista che fa TV. Spesso il cineasta ha un approccio diverso rispetto alle cose del mondo, ha la possibilità di raccontare in maniera più ampia, di avere uno sguardo più personale rispetto a quello che succede. Biùtiful cauntri comunque racconta in maniera abbastanza diretta quello che succede, non è filtrato ma c’è un punto interrogativo nel presentarlo, c’è sempre uno sguardo, si cerca di preservare la dignità delle persone. Nella lavorazione sono state fatte delle scelte, non è stata una rappresentazione nuda e cruda della realtà e basta. Mi ha fatto riflettere anche l’accoglienza al Festival di Torino: c’erano degli addetti ai lavori, molti giornalisti di cinema, critici di cinema, che hanno accolto questo documentario come una rivelazione, sia per quel che riguardava l’argomento, sia per come era stato realizzato. Ma non era stato fatto nulla se non andare nei posti e mostrarli, e non è lo stesso impatto che avrebbe avuto con la televisione. Nel senso che in televisione hanno fatto subito dopo altri servizi su La7 (La memoria ha un costo docufilm di Roberto Burchielli e Mauro Parissone andato in onda a dicembre su La7 e Mtv, ndr) che erano uguali, che hanno ripercorso il nostro stesso tragitto, ma nessuno ne ha parlato. Come è possibile? E’ come se la televisione non svolgesse più questo compito, un po’ perché è distante, un po’ perché spesso i servizi durano un quarto d’ora, venti minuti, mezz’ora, per cui non c’è tempo per approfondire, e poi perché subito dopo c’è un’altra cosa. E’ come se la televisione fosse diventata una specie di grande calderone dove vanno varie cose, dove però non c’è mai una risposta il giorno dopo, come in un giornale quotidiano, un editorialista, qualcuno che dice “ieri ho visto… Su questo bisognerebbe riflettere“. Per non parlare della RAI che non li manda proprio in onda perché comunque non ne parla proprio; ne parla La7, ma la RAI proprio non manda né documentari, né tanto meno parla del presente, cioè dell’attualità, se non con il programma di Santoro.

Ci sono stati però dei grandi maestri che l’hanno fatto tipo Rosi.

Ma sì infatti, però quelli erano gli anni Sessanta, capisci?

Però io lo direi, in risposta agli attuali cineasti italiani, che è vero, mette soggezione  una figura come Rosi con tutta la sua opera, però comunque c’è, esiste quel linguaggio.

Esiste, c’è la possibilità infatti, io ti dico che ci sono delle persone, dei registi, per esempio, che sono venuti a vedere il documentario, persone con cui ho lavorato insomma, e che erano sconvolti. Mi hanno detto: “Io sono stato male due giorni e soprattutto mi sono chiesto: ma io cosa ho fatto fino adesso? Possibile che io non sapevo che esisteva quella cosa? Eppure sono un regista“. Un regista vuol dire un intellettuale, una persona che fa parte del mondo della cultura di questo Paese. Io credo che a questo punto sarebbe utilissimo se il cinema si occupasse di quello che sta succedendo intorno a noi e non parlasse solo del passato, della storia.

Anche Moretti comunque con Il caimano… non ha toccato questo tema però ha affondato con il presente… (Esmeralda Calabria ha firmato il montaggio di questo film, ndr)

Assolutamente sì. Ecco, Moretti è un caso a parte. E’ anche un percorso il suo: ha fatto film solo di questo tipo dove c’era sempre una critica, anche rispetto alla sinistra, rispetto al mondo che ci appartiene e non solo al mondo che non ci appartiene. È anche questa la sua grandezza, la sua intelligenza insomma.

C’è adesso Virzì che dovrebbe uscire invece con un film sui precari. (Tutta la vita davanti, montaggio Esmeralda Calabria, ndr)

Sì, sul precariato, che secondo me è davvero riuscito. Ha mescolato diciamo il suo cinema, che è un cinema di commedia, con il tema del precariato, e soprattutto con un senso di angoscia terrificante. Riesce a descrivere un mondo surreale, che poi surreale non è, perchè è molto peggio probabilmente. Credo che lui sia riuscito nel suo intento e sarei contenta se andasse bene.

Ha fatto notizia anche il fatto che lui abbia deciso di girare un film sui precari. Che qualcuno si sia accorto di questa distanza che c’è tra la realtà e quello che la gente si aspetta di ved
ere, perché lo sta vivendo, no? Ricordo quando uscì la notizia: finalmente si fa un lavoro sul precariato.

Per questo dico che bisognerebbe pensarci bene anche perché sono sicura che il cinema ha una potenza maggiore rispetto alla televisione. Io lo sento, faccio la montatrice e il mio lavoro è un lavoro che racchiude un po’ tutto: ritengo che il montaggio sia un lavoro di scrittura, un lavoro di organizzazione del racconto, delle emozioni, per cui mi ha aiutato moltissimo essere montatrice per girare il documentario, è stato fondamentale che avessi una percezione di quello che era importante e soprattutto pensare a come metterlo insieme anche mentre giravo. Io questo documentario l’ho sentito come un’esigenza, un bisogno, come una fame, come una sete di raccontare ciò che stiamo vivendo. Raccontiamolo e facciamolo con i mezzi che abbiamo a disposizione che sono comunque dei mezzi che ti permettono di avere un contatto più diretto con il mondo della cultura, con il mondo del giornalismo, insomma di schiaffarla un po’ in faccia, sbatterla un po’ in faccia a tutti quanti e dire: noi a questo ci ribelliamo, noi qua non ci volgiamo stare, così non ci vogliamo vivere. Ma non solo noi, non solo per noi, ma anche per tutti gli altri. Perché poi il problema qual è? E’ che questo documentario parla di cibi, per cui tutti si sono cominciati a chiedere “oddio mangio quella roba, mi fa male”. E nonostante questo coinvolgimento, però, ognuno sta nella propria casetta: soprattutto i registi. Non c’è stato un grande ricambio generazionale fino ad ora, per cui le persone che fanno cinema sono persone che vengono probabilmente, non dico tutti ma la maggior parte, da ambienti sociali benestanti e questo è un limite, perché esistono persone che stanno molto, molto male e questo non può non riguardare tutti quanti noi. Io ne parlo con loro, con dei registi che sono anche degli amici e spero di convincerli. Insomma mi piacerebbe si facessero dei film o dei documentari fatti da registi che parlassero di questo.

 

 

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