Qui nessuno ce l’ha con i sequel. Nemmeno quando vanno a riesumare nostalgie di bassa lega a scopo puramente commerciale. Nessuno associa i ritorni dei “monnezza”, dei “mandrake”, dei “terruncelli”, dei Canà e pure dei Calà, al declino socio-antropologico di un paese. Per carità. Il recupero della memoria è sacro sempre. Mica solo quando c’è la Pizzica, lu pisci spata o le tradizioni e i canti contadini. Benvenuto il nazional popolare da guardare con il muso chiuso e da recuperare a poco a poco. Sacrosanta è la cantina dove il “tirato via” d’istinto, di corsa, possa stagionare in pace. Sarà bello e utile andare a ripescare il frammento di tv, il caratterista invecchiato di vent’anni, la descrizione sciatta di un momento colto quasi per caso. Qualche figura di quel periodo, completamente rimossa, i colori di quel tipo di pellicola, i vestiti, le basette. Tra l’altro il sequel (o il prequel, o il newquel di Notte prima degli esami oggi) è un fenomeno storico quasi naturale, non solo al cinema. Pensiamo alle telenovelas o ai serial tv, che fanno della loro morte e rinascita quotidiana la propria fortuna. Il sequel, per giunta, da un punto di vista storico e cinematografico, è praticato in ogni paese occidentale e in tutte le stagioni. Il tempo delle mele è doppio, Heimat è una saga, il sapore di mare ha il suo anno dopo. Sono sequel molte fortunate esperienze di regia. Il più di prima de I prepotenti di Mario Amendola, con Nino Taranto e Aldo Fabrizi. Il fare fortuna de La famiglia Passaguai, capitanata ancora da Aldo Fabrizi. Il binomio povertà-bellezza di Dino Risi, che non ha smesso di esistere, anche se sotto diverse titolature, finché il trio Arena-Salvatori-Allasio le ha scassate ai più. Sono sequel gli atti di Amici miei e persino il capolavoro de I soliti ignoti non ha saputo resistere alla tentazione di non morire in gloria e si è ripresentato agli innamorati di tutta Italia, col rafforzativo de L’audace colpo. E poi L’armata Brancaleone, Ritorno al futuro, Fantozzi, Rocky, Rambo, Lo squalo. Per non parlare dell’infinita cadenza di James Bond: da quello vero (Connery) a tutti gli altri. Il sequel è storia, tradizione. Può crearsi un mare tra l’originale e i fratellastri ed è possibile che dietro al titolo si nascondano nomi e progetti diversi. Come può accadere, ed è accaduto, che un sequel sia migliore dell’originale.
Le Vacanze di Natale si ripetono ormai da sempre. Per i più giovani sono come una superlaica liquefazione del sangue di San Gennaro. E’ probabile che scaveranno, a colpi di Christmas sequel, nella tradizione popolare della nostra Terra. Saranno come il presepe, il regalo, il torrone. Se così non dovesse essere, si spegneranno come candele di una chiesa in un malinconico silenzio generale. A proposito, una cosa è veramente triste. L’agonia del sequel. La morte della cava. Lo spegnimento della festa. L’uccisione del genio e dell’intuizione. Accade quando si crea una frattura insanabile tra la bellezza del primo e lo squallore del secondo. Fantozzi è morto molto lentamente. Ci ha impiegato decenni. Era fantastico ed è morto misero. Se è effettivamente morto.
Un fatto è importante: il sequel dà la dimensione di cosa il prodotto originale abbia significato nella storia e nell’economia del cinema e del costume di un paese. Notte prima degli esami e Io e te tre metri sopra il cielo hanno figliato perché s’erano fatti ricchi. Il film che ha avuto figli è stato un film di grande successo. E questo vale anche per L’allenatore nel pallone. Si va a trovare il figlio per amore del padre.
L’allenatore nel pallone, a proposito, è piccolo e fastidioso come il figlio scemo di un uomo onesto e simpatico. Non ha voglia di essere adulto e conta il danaro ripetendo i numeri rustici del genitore. Ma senza voglia, senza entusiasmo, senza talento.
Tuttavia il film “raccomandato” si è piazzato con navigata sicurezza nei multisala delle città italiane e mille eserciti di giovanotti in gel lo hanno accolto con la loro massa compatta e le loro urla. Nel week-end le sale si riempiono per omaggiare nonno Canà, al di là del film a cui partecipa. Lui sta facendo il giro di tutte le trasmissioni possibili e gli manca solo Ballarò. Per i ragazzi è un tributo dovuto. Facile come andare in curva, o in discoteca. E nel cinema si sta stretti alla stessa maniera. Come in curva o in discoteca ci si associa ben volentieri al coro lanciato dagli spalti bui. Ce n’è uno per Totti e uno per Lotito, positivo e festoso il primo, quasi minaccioso il secondo. Altri cori per Del Piero e per Buffon. Tanti, poi, e coloriti come solo il popolo sa fare, i commenti sulle chiappe tonde e i perizomi di questo cinema popolare e molto pecoreccio. Il silenzio non c’è mai; la gente parla ad alta voce. Ognuno dice la sua e le risate sono petardi. E’ avanspettacolo, culi, parolacce, gag e finocchi, accenti dialettali, poca trama. E’ l’estremizzazione di quello che caratterizza principalmente la forma particolare di questi sequel nostri e crassi, che recuperano lontani successi e ne sfruttano l’eco. Qui, però, entra in gioco un fattore che è utilissimo a spiegare la storia del nostro costume. E non è un film: è un’invenzione tecnologica. E’ il dvd. Questa leggerissima, tascabile e dorata superficie che fa rinascere il cinema e, se serve, sa dargli un’ancor più valida immortalità. Il dvd strappa il film dal suo contesto originario e lo rende transgenerazionale. Se L’allenatore nel pallone risorge oggi in sala, non è solo perché i trentenni di oggi hanno scritto una folle letterina a Babbo Natale 2007. Al loro consenso ha risposto la spinta dei bambini col dvd e lo schermo piatto, ché le battute le sanno come i grandi, forse meglio, e che quel calcio un po’ più casareccio, nella loro testa, chissà che bel sapore ha? Peccato, però, che il dvd non possegga, e non possiederà mai, la sacralità che avevano (e che continuano ad avere) i rari passaggi televisivi dei capolavori nazional popolari. I dvd non sanno ricreare la magia di quel “Ieri in tv hanno rifatto… ”, “E me lo sono rivisto tutto… ”, “Che capolavoro… ”, oppure semplicemente “Ammazza che risate… ”. Il dramma della gelosia – tutti i particolari in cronaca (Ettore Scola, 1977), che in dvd non esiste, è l’ultimo film di cui ricordo aver sentito parlare in questo senso. Dentro un ufficio postale, tra impiegati e clienti, il mattino successivo a un passaggio Rai, o Mediaset, boh, non ricordo bene… Su questo aspetto la tecnologia non potrà lavorare molto, ma mai dire mai coi tempi che corrono. Anche se Herzog sostiene che la teconologia scomparirà molto presto.
MA torniamo al sequel. E’ umano produrre e insistere sulla strada dorata del successo. E non si pu&ogra
ve; scomunicare chi si inventa, legalmente, il modo di trarre profitto dai film. Il recupero di questi casi è un’idea come un’altra, lo sfruttamento di un segnale preciso, di un dato. Quei film continuano a piacere e a essere visti. Le loro battute fanno parte del nostro costume in una forma che ci identifica e ci fa riconoscere. L’allenatore nel pallone è classico come certe battute di Totò. Non c’è tutta questa differenza tra il “noio vulevam savuar” e il “cinque cinque cinque“. Per chi sa di calcio, L’allenatore nel pallone è la fonte di alcuni preziosi neologismi. E’ umano aver voglia di continuare le storie che ci hanno appassionato. Piccole o grandi che siano. I ritorni di Rocky, e ora addirittura quello imminente di John Rambo, scaldano la memoria e ci risvegliano furbescamente. E dimostrano che non siamo i soli a recuperare la memoria e che se declino c’è, non è solo italiano ma globalmente occidentale. E poi il recupero della memoria è utile, prezioso ed espressione di coscienza culturale anche quando non possiede nulla di elegiaco, anche quando la sua memoria è ancora viva e la sua leggenda è ancora priva di un’aura ammaliante.
E perciò il ritorno de L’allenatore nel pallone, che ci fece ridere e ci raccontò come mai più il cinema italiano è riuscito a fare il pianeta calcio degli anni Ottanta, lo attendevamo con frizzante curiosità. Soprattutto perché il profanissimo quasi santo era ora sostenuto dallo stesso regista e dal grandioso Banfi, che è brava persona e comico ancora in salute. Delusione ultra totale. Non c’è nulla della freschezza dell’originale, della sua ruspante fantasia. Il film è un’inaccettabile copia e incolla delle fortunate intuizioni originali santificate in splendido kitsch dal ripasso collettivo di chi allora era fanciullo. Mozzate, ora, dalla prevedibilità e da un’assente autonomia dell’opera sequelica. Il film non sta in piedi mai. Non vive. E’ l’imitazione tarocca e infantile di quello che i trentenni sanno a memoria e che chi ama il calcio cita quotidianamente, anche senza accorgersene. E’ tristissimo il paragone tra i due film che sono perfettamente simmetrici. Risalendo le sceneggiature ci si accorge che a ogni X corrisponde la stessa Y. Ma se nell’uovo X ogni sorpresa accende un sorriso fragoroso, in quello delle Y regna il silenzio nauseato anche di chi ha il palato facile e riconosce il tipo di operazione. Il film è una citazione continua. Esagerata e muta, fredda e antipatica perché esteticamente piatta e recitativamente grossolana.
Dietro questi ritorni, rozzi ma non punibili, ci sono sicuramente delle idee più furbe che geniali. Delle intuizioni da mercato fatte più con l’occhio all’esperienza e alla calcolatrice che all’immaginazione, alla scommessa o all’estro. Però c’è modo e modo… e la bruttezza uccide come la bellezza salva. Alla lunga anche i ragazzacci con i motorini, i piumini lucidi e la parolaccia facile si accorgeranno della fregatura, e se lo diranno tra loro a bassa voce. E non si compreranno il dvd. E accadrà, allora, per giusto premio a chi non ha rispettato gli altri e ha perso un occasione, che L’allenatore nel Pallone 2 si spegnerà in pochissimo tempo e la sua sarà una noiosissima eternità di anonimato. Potevano impegnarsi e sfruttare l’eredità di un miracolo casuale gli artefici di questa sterile e slavata fotocopia. Invece si sono accomodati sulla superficie del vecchio film e non hanno saputo costruire un’atmosfera nuova che potesse stupire e creare, anziché rappresentare senza aver capito. Il film è un presepe fatto per forza. Con il fiume di carta stagnola, nessun rispetto per il realismo e un’ammucchiata di personaggi di plastica affollati attorno al bambinello Banfi. L’unico ancora vivo. Praticamente solo.