ang leeLussuria è una lunga storia d’amore ambientata fra la Shanghai e la Hong Kong degli anni compresi tra il 1938 e il 1942. L’occupazione giapponese del 1937 tiene Shanghai sotto un severo controllo militare. La popolazione è in parte sfollata nella vicina colonia britannica e con lo scoppio della seconda guerra mondiale ancor maggiore sarà l’afflusso di profughi verso la penisola di Hong Kong e verso l’isola di Formosa (Taiwan). La scrittrice cinese Eileen Chang (conosciuta in Italia come Zhang Ailing e scomparsa nel 1995) scelse questo contesto storico per collocare il suo romanzo Lust, caution, tradotto nell’italiano Lussuria e in questi giorni ristampato dalla BUR insieme ad altri racconti. Il libro contiene una prefazione di Ang Lee nella quale il regista spiega alcuni perché riguardo la scelta del testo come base per l’adattamento cinematografico.

É il romanzo più crudele di Eileen Chang” afferma Ang Lee. Crudele al punto da mettere in scena la giovane studentessa universitaria Wang (interpretata dalla bravissima attrice esordiente Wei Tang) alle prese con la difficile missione di sedurre, per poi tradire, il misterioso e potente Mr. Yee (Tony Leung), uomo di spicco del governo collaborazionista cinese. Talento naturale nella recitazione teatrale, Wang accetta l’incarico e inizia un percorso di confronto in cui la resistenza partigiana verso l’occupante straniero diviene metafora delle resistenze sentimentali a cui andrà incontro la protagonista.

Il film si apre con la scena che ritrae un gruppo di quattro signore sedute intorno a un tavolo, liberamente impegnate nella quotidiana partita di manhjong. Le immagini sono quasi delle apparizioni: i titoli di testa vi scorrono su mentre la macchina da presa si muove senza posa tra corpi, volti, mani e braccia. Leggeri, i movimenti sono esaltati da un montaggio serrato: quando per un attimo l’inquadratura si ferma subito una variazione focale crea il movimento al suo interno. Pochi minuti molto dinamici durante i quali le mani delle giocatrici sembrano maneggiare coltelli e non carte da gioco.

Questa prima scena rappresenta il futuro del racconto e del cinema. Poco dopo un flashback conduce lo spettatore ad Hong Kong, indietro di quattro anni, in un passato di innocenza ben simboleggiato da una fotografia luminosa (gli esterni sono stati girati in Malesia) che contrasta con la fotografia cupa della Shanghai occupata (il direttore della fotografia è il messicano Rodrigo Prieto, fedelissimo di Iñárritu). Lo stile di regia diventa ora improvvisamente sobrio e funzionale alla storia e tale rimarrà per tutto il film; il montaggio diviene invisibile, i dialoghi mostrati in classici campo/controcampo. Con grande armonia, Ang Lee riesce comunque a far emergere nei contenuti ciò che da sempre lo interessa ovvero l’esplosione di grandi passioni e di istinti incontrollabili che in Lussuria si concretizzano in scene di sesso tanto estetizzanti quanto concilianti.

Il rapporto tra la giovane Wang e il maturo Mr. Yee diviene così anche il confronto tra due modi possibili di narrare le storie d’amore al cinema. Lee innesca tale dialettica in maniera palese tramite l’inserimento (forzato, poiché non è verosimile che i giapponesi permettessero la distribuzione di pellicole americane) di una scena in cui la protagonista siede in un cinema (la sua grande passione) e guarda Ho incontrato un angelo (Penny serenade, 1947) di George Stevens, del quale vengono mostrati alcuni fotogrammi. Questo film ha un incipit molto simile a quello di Lussuria: qui Wang siede in un bar, beve un caffè e ripercorre con il pensiero la storia del film; lì, la protagonista sedeva e ascoltava dei dischi che le rievocano una storia d’amore ormai finita. Con questa citazione il regista pone direttamente a confronto le proprie scelte stilistiche con l’estetica del cinema classico: tanto il melodramma classico tratteneva, taceva, ammiccava, tanto Lee libera, esplicita, manifesta. Prudenza e voglia di abbandonarsi al desiderio, cautela e richiamo insistito delle passioni. Il titolo originale del libro (e del film) racchiudeva già l’opposizione tra forze antitetiche, tra la sfera delle pulsioni e la sfera della legge, tra le istituzioni familiari e sociali e gli istinti primordiali.

Eppure Ang Lee, con grande maestria, giunge subito a contraddire se stesso: nell’unica scena in cui si avverte la presenza del regista dietro la macchina da presa, Lee raccoglie la confessione vulcanica della vergognosa verità di Wong. In pochi secondi le parole divengono più scabrose delle immagini, il loro peso insopportabile, il loro ascolto capace di creare disagio, disappunto. Con questo passaggio il primato dell’ambiguità torna alla scrittura, al romanzo, di cui il cinema può esaltare il lato emotivo e spettacolare, ma, allo stesso tempo, può solo tacerne il mistero sotteso ovvero l’essere umano.

La distribuzione della BIM sta commercializzando Lussuria come un film da cinema della nostalgia: nelle scenografie, nei costumi, negli arredi si concentra il fascino del viaggio nel tempo con la certezza che il grande schermo restituirà tutto in un nuovo candore spettacolare. Effettivamente è la stessa travagliata storia dell’Asia orientale a subire qui un restyling lucido e patinato dove la Shanghai degli anni Quaranta diviene una metropoli cosmopolita.

Nonostante ciò, se narrazione e ambientazione raccolgono in sé gli elementi di fascino, è nelle scelte registiche di Ang Lee che si concentra, e va ricercato, il valore positivo di questa pellicola.

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