OPG non è un errore, non sta per OMG (acronimo di Oh My God). No no, è proprio OPG, anche se conoscendone il significato si potrebbe tranquillamente esclamare Oh Mio Dio!
In Italia esistono 6 OPG, comunemente chiamati manicomi criminali, precisamente Ospedali Psichiatrici Giudiziari; all’interno vi sono rinchiuse circa 1500 persone. Anzi vi erano. Perché “a decorrere dal 31 marzo 2013 le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario sono eseguite esclusivamente all’interno delle strutture sanitarie”, come recita la legge datata 14 febbraio 2012.
Si è arrivati a questo traguardo anche grazie al lavoro di Francesco Cordio, regista del documentario Lo stato di follia – menzione speciale al Premio Ilaria Alpi 2011 – che, con la sua indagine, ha dato una forte spinta al Parlamento perché prendesse una decisone tanto epocale.
“Quando nel novembre del 2010 sono stato invitato a realizzare, dalla Commissione Parlamentare di Inchiesta sull’Efficacia e l’Efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, un breve documento video sullo stato degli O.P.G., come quasi tutti gli italiani, non sapevo cosa fossero”, confessa il regista. “Ci eravamo attrezzati, io ed il mio operatore, anche con videocamere nascoste: “Dovete stare attenti”, qualcuno ci aveva detto “quelli sono matti!” e a quei “matti” avrebbe potuto dar fastidio essere ripresi: avrebbero potuto innervosirsi, tirare qualche sganassone”, prosegue.
Le riprese all’interno degli O.P.G. sono state effettuate durante sopralluoghi a sorpresa, veri e proprio blitz. Per raccogliere e accogliere quante più testimonianze veritiere possibile. Per portare ai piani alti un reportage accurato di una situazione da non sottovalutare, da cambiare. “Il primo impatto è stato devastante”, dice Cordio e racconta come “gli internati” i cosiddetti “matti” gli andavano incontro e con lucidità (chi non era imbottito di farmaci), cercava di raccontare la sua storia, cercava di far sentire ancora una volta la propria voce, cercava aiuto.
Una storia in particolare colpisce il regista, quella di Luigi Rigoni, un attore, ex-internato ad Aversa. “Anche Luigi non aveva mai sentito parlare di un ospedale psichiatrico giudiziario. Ma lui, a differenza mia, ci si era trovato rinchiuso da un giorno all’altro senza neanche aver ben capito perché”, racconta. E il film è fatto anche di questo: un documentario serio e importante dal punto di vista civile e politico, ma anche la storia di Luigi, di un uomo come tanti, che decide di lasciarci in eredità la sua vita, a futura memoria, perché avventure di questo tipo, viaggi nell’inferno senza ritorno, non accadano più a nessuno. “Ecco, il mio documentario lo dedico a loro, a quelli come lui, a coloro che hanno resistito per raccontarlo. E a tutte le persone che invece hanno deciso con lucidità di porre fine alla loro vita dentro l’ospedale psichiatrico giudiziario, che hanno ritenuto l’uccidersi l’unico modo per uscire dall’O.P.G.”, conclude l’autore con evidente passione e orgoglio per il suo lavoro. Perché un film così non può lasciare indifferente chi lo guarda, figuriamoci chi lo gira in prima persona, senza attori, ma con persone in carne e ossa che restavano imprigionati dentro quella realtà, dentro quelle piccole e puzzolenti celle, mentre lui invece usciva e doveva fare i conti con la sua coscienza.
Come fare a non avere un pensiero costante? Come fare a non sentirsi in colpa? Come fare a non fare qualcosa? Infatti qualcosa di grande è stato fatto e le acque si sono mosse parecchio dopo questa denuncia sociale a tutti gli effetti. Come “gli internati” hanno preso a sganassoni il regista (non con le mani ma con la realtà delle loro vite), così Francesco Cordio ha preso a sganassoni lo Stato Italiano (non con le mani ma con le sue immagini) e lo ha convinto a fare un passo indietro, anzi uno avanti.