Legal thriller: questa la definizione di rito per la prima prova di regia di Gilroy, già applaudito sceneggiatore della trilogia spionistica di Jason Bourne, oltre che di film come Armageddon e L’avvocato del diavolo. E forse proprio per questo Michael Clayton in quella definizione ci sta un po’ stretto, si sente il taglio umano e straniante di chi è abituato a far pensare più che creare effetti dolby e colpi di scena serrati, a suggerire percorsi di senso piuttosto che “dopare” lo spettatore di adrenalina.
La grigia e antipatica figura di Clayton è interpretata da un notevole – per fascino e talento – George Clooney: il mediocre ex-procuratore, ingaggiato da un prestigioso studio legale newyorkese, la Kenner, Bach & Ledeen, nel ruolo di azzeccagarbugli di affari e affarucci poco puliti per coprire piccole e grandi porcherie di amici e clienti potenti, si presta poco alla figura di eroe alla Denzel Washington. “Non sono uno che fa miracoli, sono uno spazzino”, così si presenta Clooney-Clayton allo spettatore nelle prime sequenze: un anti-eroe ambiguo e grigio, sgualcito e mediocre, appena uscito da una bisca dove ha scoperto che tutti i soldi precedentemente persi sono finiti “nei capelli” perfettamente trapiantati sulla testa di uno squallido avversario. Si fatica all’inizio a star dietro ai continui flash-back e rivoli narrativi che si aprono disordinatamente agli occhi dello spettatore, ma proprio questo montaggio stimola l’attenzione di chi guarda, sollecita la presenza intellettuale e morale nel seguire la storia invece di sprofondare comodamente nella poltrona dei colpi di scena, del dejà-vu del thriller americano stantio. La forza e l’originalità del film risiedono proprio in questo gioco a incastri, in questa scacchiera che invece un filo logico ce l’ha: è la vigilia del patteggiamento in un processo che vede imputata una grossa multinazionale produttrice di prodotti per l’agricoltura, la U/North, difesa dai legali della Kenner, Bach & Ledeen, e indagata per la morte di cancro di circa cinquecento agricoltori, provocata proprio da uno dei prodotti immessi sul mercato dalla U/North. La vittoria appare scontata vista l’enorme disparità di forze tra la multinazionale, alla testa del cui ufficio legale c’è un vero mastino tratteggiato in maniera un po’ caricaturale ma incisiva da Tilda Swinton, e la comunità colpita dagli effetti cancerogeni dei suoi prodotti. Un evento inatteso crea il cortocircuito: uno dei soci fondatori della Kenner, Bach & Ledeen, un vero principe del foro interpretato da un grande Tom Wilkinson, viene travolto da una profonda crisi personale quando entra in possesso di un documento segreto che inchioda la U/North alle sue responsabilità. Travolto dai rigurgiti della coscienza dà di matto: si spoglia durante una deposizione e passa al campo avverso, in una situazione resa ancor più delicata dalla importante fusione in ballo tra il Kenner, Bach & Ledeen e un prestigioso studio legale londinese. E’ qui che entra in ballo Clayton, chiamato ancora una volta “a far pulizia” di questo scandalo: il suo compito è convincere Arthur-Wilkinson a rientrare nei ranghi, a ricacciare indietro la coscienza ingoiando quelle pillole che l’hanno aiutato a digerire l’orrore per tutta la vita e che ora si rifiuta di prendere. Ma Arthur ha smesso di cercare la forza nei tranquillanti e scalcia, continua nella sua folle corsa verso l’autodistruzione di una carriera e anche di se stesso, parla con l’intelligente e inquietante figlio di Clayton, un bambino che proprio non sembra il figlio di quell’uomo mediocre e dedito al gioco, indebitato fino al collo a causa del fratello tossicodipendente e soprattutto solo, privo di affetti e di senso.
Eppure la follia di Arthur arriverà a toccare le corde ormai logore della coscienza di Clayton quando questi si rende conto che il suicidio del collega e amico è invece un omicidio perpetrato per insabbiare la verità. Non sembra possibile allo spettatore che quell’uomo angosciato e scialbo, dalla moralità corrotta, possa riscattarsi, cambiare direzione, alzare per una volta la testa e determinare la distruzione di un impero: quello della U/North ma anche della Kenner, Bach & Ledeen. Basterebbe poco per rimettere tutto in ordine, con l’indifferenza efficiente di sempre, ma stavolta la follia di Arthur ha rotto gli argini del non senso, illuminando un possibile percorso di coscienza e Clayton lo percorre.
Un thriller solido, senza sbavature sentimentali o fronzoli eccitanti, dal ritmo incalzante ma di “sostanza”, con grandi interpreti e un deformante gioco tra tensione concentrata ed eccentriche digressioni umane. Un incastro di specchi che riflettono la meschinità e le brutture che circondano il personaggio e l’autoconservazione che lo mantiene prigioniero del meccanismo, ma anche l’illusorietà della giustizia e la forza improvvisa che lo riscatta e gli fa prendere una decisione, forse la prima della sua vita. Bravo George Clooney il cui volto è mutevole come la coscienza del personaggio, fino alla sequenza finale tutta giocata sul suo primissimo piano, mentre seduto sul taxi si allontana senza meta, com’è d’obbligo per chi sa il non-senso delle probabili strade nascoste in una vita.