OH, CANADA!, PAUL SCHRADER
CONCORSO
Figura emblematica della New Hollywood, a cinquant’anni dal suo esordio al fianco di Martin Scorsese con Taxi Driver (1975), di cui firmò la sceneggiatura e i dialoghi, Paul Schrader prosegue, a 77 anni, il proprio percorso autoriale con Oh Canada!, adattamento dell’ultimo romanzo dello scrittore statunitense Russell Banks, scomparso nel gennaio 2023, a pochi mesi dall’inizio delle riprese. Realizzato in soli diciassette giorni di lavorazione, il film si avvale della presenza di Richard Gere — interprete iconico di American Gigolo (1980) e collaboratore storico del regista — e di Uma Thurman. Oh Canada! esplora la dinamica della testimonianza e dell’autoriflessione: al centro della narrazione, l’incontro tra un documentarista, figura ambivalente e controversa giunta al termine della propria esistenza, e due suoi ex allievi, intenzionati a raccoglierne le ultime riflessioni in un atto filmico che diventa, al contempo, intimo e analitico.
Schrader costruisce il film come un mosaico narrativo, articolato attraverso frammenti di memoria e l’utilizzo di formati visivi eterogenei.
Il film inizia in medias res; un’equipe cinematografica di poche persone sbarca in una grossa dimora e s’installa nell’ampio salotto: i tappeti vengono arrotolati e tolti d mezzo, i mobili spostati, su un lato viene montato un fondale scuro, si preparano i proiettori ed infine si sistemano la cinepresa e due monitor, uno accanto al regista ed uno di fronte alla persona che verrà intervistata. L’equipe che abbiamo visto all’opera nella prima sequenza si appresta a girare un documentario su un documentarista, famoso per i suoi soggetti politici e la sua postura militante e engagé. Da anni artista confermato ed ammirato, Leonard, gravemente malato di cancro, è ormai in fase terminale.I due registi hanno coscienziosamente preparato una ventina di domande che dovrebbero permettere di strutturare un discorso organico sulla vita e la prassi artistica del loro maestro.
Le cose però, non andranno come previsto; infatti Leonard, Leo, Fife (Richard Gere) intende questa conversazione filmata piuttosto come una confessione ultima, che sente il dovere di fare nei confronti dell’unica persona al mondo che conta per lui, sua moglie Emma (Uma Thurman), fedele compagna degli ultimi trent’anni.
I preparativi per le riprese sono molto laboriosi; il regista gravemente malato giace a letto, indebolito e pieno di medicine che dovrebbero alleviare, i suoi terribili dolori. L’uomo viene amorevolmente preparato, l’infermiera e sua moglie lo mettono su una carrozzella per portarlo in salotto. Pur nella spossatezza del suo stato attuale Leonard sa ancora imporre la sua autorità e detta le sue condizioni; risponderà alle domande solo in presenza di sua moglie. Dopo poco esige che lei gli stia di fronte quando inizierà a parlare perché quanto sta per dire costituisce la confessione ultima di un passato di cui non va fiero e che le ha sempre taciuto.
Quello della confessione, soggetto caro al regista e ricorrente nella sua opera, costituisce anche qui il fulcro della narrazione e la sua ragione ultima. Nel salotto della casa Schrader organizza uno spazio serrato in cui gli sguardi dell’uno e degli altri s’incrociano e si scontrano, filtrati dall’obiettivo che sembra avere il potere di rivelare e portare alla luce verità recondite, impossibili da raccontare senza la sua mediazione. Il film è costruito come un mosaico narrativo, articolato attraverso frammenti di memoria e l’utilizzo di formati visivi eterogenei.
Richard Gere è esemplare nel ruolo complesso e torturato di Leonard, un uomo fatto di luce ma anche di molte ombre che pesano sulla sua coscienza in modo insostenibile. In extremis Leo sente di dovere confessare una serie di misfatti commessi quando era giovane. Il suo racconto comincia dal suo primo matrimonio con Alicia (Kristine Froseth), figlia di un’influente famiglia di industriali in Virgina. Mentre Leonard inizia a narrare i suoi ricordi, le immagini del passato prendono forma; si apre così una finestra nel tempo in cui appare il giovane Leo Fife, interpretato da Jacob Elordi. Quest’evocazione non-lineare, in cui vediamo sostituirsi ad libitum l’immagine di Leo da giovane con quella di Leo ormai anziano, crea tuttavia una certa confusione.
Alicia e Leo hanno già un figlio di due anni, Cornel e aspettano il loro secondo bambino. Nella stanza da letto della coppia l’atmosfera è serena, affettuosa; Leo legge una favola a Cornel, poi chiacchera con la moglie eccitato all’idea di comprare una casa per la sua famiglia in Vermont, dove l’attende un posto di docente all’ università. La potente famiglia di Alicia pur di non vederla partire lontano, propone al genero la direzione di una loro società che, di fatto, gli regalerebbero, ma la giovane coppia preferisce realizzare i propri sogni. Il racconto fa poi un ulteriore balzo indietro nel tempo; giovane uomo, egocentrico e vanesio, Leo pretende, senza averne il talento, di essere uno scrittore, seduce una ragazza per poi lasciarla incinta ed andare a vivere con un’altra donna che finirà per mollare a sua volta quando sposerà Alicia. Interrompendo più volte l’evocazione di questo passato, l’immagine ci riporta nel presente per misurare l’effetto che queste rivelazioni hanno sulla moglie del documentarista. Ignara di tutto, nonostante i trent’anni passati con Leo, la donna è sconvolta da queste rivelazioni che mostrano un uomo profondamente diverso da quello che lei pensa di conoscere. Dei suoi figli, Leo non si occuperà mai, arrivando a perfino a rinnegarli pubblicamente, come farà con Cornel – la voce off della narrazione- quando quest’ultimo, ormai adulto, andrà a trovarlo. Man mano che il racconto di Leonard prosegue, il disagio degli astanti diventa sempre più palpabile; i due ex-discepoli, che speravano in una conversazione sulla sua carriera artistica, assistono inebetiti alle sue confessioni, mentre sua moglie, sempre più scossa, pensa sia meglio interrompere tutto. Leo stesso- la messa in scena di Schrader mostra qui tutta la sua virtuosità- inizia pian piano a perdere il filo, a mischiare tempi e situazioni, precipitando in uno stato mentale e fisico che si deteriora a vista d’occhio.
In una delle sequenze cruciali del film – che dà anche il titolo all’opera – il protagonista, ancora giovane, si trova a un crocevia, letteralmente e metaforicamente. Alla guida della sua auto, compie un gesto impulsivo: invece di tornare da Alicia, intraprende un viaggio verso il Canada evitando così il servizio militare e la partenza per il Vietnam, una scelta che determinerà il suo destino personale e professionale, conducendolo a diventare un grande documentarista.
Il film si chiude con un epilogo drammatico, ma anche profondamente liberatorio, aprendo a una riflessione intima e intensa sul senso della vita, osservata dalla prospettiva definitiva della morte. Intessuto come un atto di espiazione, Oh, Canada si rivela un’opera dal forte impatto emotivo, carica di tensione catartica. Dedicato alla memoria dello scrittore Russell Banks – amico e collaboratore storico del regista – il film vuole essere un omaggio personale e artistico, un gesto di commemorazione in suo onore.
Oh, Canada si rivela un’opera dal forte impatto emotivo, carica di tensione catartica. Dedicata alla memoria dello scrittore Russell Banks – amico e collaboratore storico del regista – il film vuole essere un gesto di commemorazione in suo onore.