CONVERSAZIONE CON I REGISTI, PARTE PRIMA
di Maria Giovanna Vagenas
Vorrei chiedervi come avete scoperto questa storia e come avete indagato su tutti i dettagli che la compongono per creare una fiction?
SEVERIN VIALA: Di fatto, per nostra fortuna, non abbiamo dovuto scoprire tutti i dettagli perché qualcuno lo ha fatto per noi. Una storica di nome Kathy Stewart, un’americana di origini tedesche, ha fatto delle ricerche su questo fenomeno del suicidio per procura. In realtà ci siamo arrivati in modo del tutto casuale ascoltando un podcast su American Life che trattava di scappatoie. Un esempio di scappatoia era questo: alcune donne si suicidavano uccidendo qualcun altro, perché prima dell’esecuzione potevano confessarsi e per questo semplice motivo, andare in paradiso. Esistono varie centinaia di casi. Eravamo totalmente sconcertati perché non avevamo mai sentito parlare di questo fenomeno e ci chiedevamo come qualcosa di così drastico e drammatico sia potuto accadere nel corso della storia. Abbiamo contattato Kathy e lei ci ha dato accesso a tutte le sue ricerche e ci ha inviato i protocolli dei processi, perché queste donne venivano interrogate – erano soprattutto donne, due terzi di loro erano donne. I protocolli dei loro interrogatori erano molto affascinanti per noi.
VERONIKA FRANZ: Soprattutto uno di questi, che riguarda un caso austriaco, ci ha davvero commosso: si tratta della moglie di un contadino vissuto 300 anni fa. In questi protocolli di interrogatorio lei parla della sua vita quotidiana, dei suoi sogni, delle sue paure, delle sue insicurezze, di tutto. Non avremmo mai saputo niente di queste persone e del loro modo di vivere se lei non avesse ucciso qualcuno. Questo è, in un certo senso, un fatto alquanto strano. La storiografia ufficiale è fondamentalmente ingiusta perché s’interessa soprattutto di personaggi famosi come re ed artisti o militari di alto rango, ma non di questo tipo di popolazione comune. Per questo motivo abbiamo trovato questo caso molto affascinante ed è stato molto difficile trasformare la storia di questa donna in una fiction, perché non volevamo tradirla come donna di quel tempo. Per questo all’inizio abbiamo cercato di scrivere un dramma giudiziario, ma poi, quando l’abbiamo riletto, abbiamo pensato che se lei parla solo di ciò che ha vissuto, non avrà sullo spettatore l’impatto che volevamo.
SV: Nel protocollo del processo si ha la sensazione che lei stia parlando direttamente a te, ma se si guarda questa stessa scena in un film è come se qualcuno ripetesse delle battute e si perde completamente il forte impatto che abbiamo sentito leggendole.
Non volevate che la sua voce e la sua esperienza di vita venissero nuovamente mediate….
SV: Proprio così, e in quel momento abbiamo sentito il bisogno di trovare un modo per esternare i suoi orrori e i suoi sentimenti interiori e trasformarli in forma cinematografica. In realtà, ci è voluto molto tempo per finire la sceneggiatura anche perché lei è una persona passiva che soffre di depressione e che commette un atto atroce, ed è molto difficile rendere una persona del genere simpatica in un film. Per noi era assolutamente necessario raccontare una storia in cui il pubblico potesse davvero identificarsi con lei e apprezzarla.
Se si tratta di scoprire, diciamo, una storia nascosta, direi che si tratta, in un certo senso, di un’impresa ‘femminista’, poiché la storia, come lei dice, è scritta dai vincitori, questo significa andare controcorrente anche rispetto a ciò che si legge nei libri, aggiungendo la propria interpretazione. Altrettanto importante è riuscire a rendere la specificità della vita quotidiana della protagonista, immaginare davvero le cose che potrebbero sembrare banali se messe in un libro di storia, ma che in realtà sono ciò che rende il film così speciale.
SV: Vorrei precisare vari aspetto della sua domanda. In primis, riguardo all’impegno femminista bisogna ricordare che solo negli anni ’60 le persone o le donne si sono interessate alla storia delle donne e, ovviamente, era necessario per il femminismo dare anche alle donne del passato la voce che meritavano, ma quest’impegno non riguarda affatto il fenomeno del suicidio per procura, perché è un fenomeno molto complesso; non si tratta di donne che sono state delle vittime, come nei processi alle streghe, ma si tratte di vere e proprie assassine. Credo che questo renda il fenomeno particolarmente difficile da digerire ed è per questo che non è stato ascoltato e non è stato ancora discusso. Quest’impresa può essere etichettata come femminista perché dice che anche le donne possono essere assassine.
VF: L’altra risposta alla sua domanda è che per noi era molto importante che si sentisse quello che prova lei, la pressione. Per questo il nostro film ha in parte uno stile documentaristico. Per esempio la sequenza della pesca alla carpa è uno di questi momenti. Le persone che vediamo sullo schermo sono dei veri pescatori che pescano nello stagno. Abbiamo cercato di seguire e rappresentare in modo veritiero la durezza del loro lavoro, per permettere allo spettatore di mettersi nei loro panni e di capire veramente cosa significava lavorare a quell’epoca. Oltre a questi momenti documentaristici che dovrebbero trasmettere l’aspetto storico di questa storia, volevamo che la nostra narrazione fosse collegata anche al tempo presente. La pressione della società esisteva allora come esiste oggi nella nostra società capitalistica, è solo una forma diversa di pressione. Oggi le persone non “funzionano” perché sono diverse, perché non rientrano nello schema della società tradizionale. Il nostro film parla di persone che, oltre a soffrire di depressione, non si adattano. Questa è una tematica molto moderna e contemporanea.
Vorrei chiedervi di parlarci della vostra splendida protagonista, Anja Plaschg, che incarna magnificamente il personaggio di Agnes e che è anche la musicista del film. Come avete lavorato con lei? Come avete immaginato questi due universi, il suono e la recitazione, con lei?
SV: L’abbiamo contattata per la musica e le abbiamo chiesto di essere la compositrice del film. La conoscevamo come musicista e sentivamo che in questo film, che per noi parla anche del presente, volevamo che la musica avesse degli aspetti moderni, o che magari partisse dal passato per poi svilupparsi in una sorta di colonna sonora più moderna. Ci siamo messi in contatto con lei per quanto riguarda la musica, le abbiamo mandato la sceneggiatura e lei ci ha risposto via e-mail e siamo rimasti sbalorditi da quanto avesse capito di questo mondo e di questo personaggio. Era come se conoscesse questa donna.
In effetti, il cinema ha spesso a che fare con il buon istinto e abbiamo pensato che sarebbe stata un’idea interessante di fare un’audizione con lei. Durante il casting eravamo solo noi tre in una stanza ed è stato subito chiaro che il suo carisma e la sua presenza sarebbero stati fantastici per il film. Naturalmente, dopo questo primo casting non sapevamo se sarebbe stata in grado di realizzare tutto ciò che è scritto nella sceneggiatura, ma d’altronde non si può mai essere sicuri nemmeno quando si lavora con un attore professionista. Quindi abbiamo pensato di adattarci a lei man mano che procedevamo. Di solito giriamo in ordine cronologico e saremmo stati in grado di adattarci ogni volta, se non fosse stata in grado di recitare una scena scritta nel copione. Ci siamo sbagliati, perché lei è riuscita a fare tutto!
VF: È stata davvero una grande fortuna, non solo perché era in grado di ripetere ogni ripresa esattamente nello stesso modo per dieci o venti volte di seguito, ma anche perché voleva provare qualcosa, per lei non si trattava di fingere, ma di essere lì, di essere nel momento. Ogni grande attrice, di fatto – e non sono molte quelle che possono farlo – può ripetere una scena più volte e allo stesso tempo provare sempre qualcosa e questo è davvero molto insolito. Recitare su un set è un qualcosa di molto tecnico; di solito non si è molto liberi perché ci sono la macchina da presa e le luci e non ci si può muovere. Eppure, anche con queste restrizioni, lei è riuscita ad aprirsi completamente. Questo è un dono raro. Inoltre è stata proprio lei a trovare tutte le farfalle che si vedono nel film!A dire il vero, non sappiamo come abbia fatto, perché era inverno e faceva molto freddo, due o tre gradi al massimo. In queste condizioni normalmente non è possibile trovare delle farfalle ma non lo dimenticherò mai perché abbiamo girato il film in ordine cronologico; durante la scena del matrimonio – quel giorno c’era almeno il sole – una farfalla è venuta da lei. In seguito non c’era più il sole e faceva molto freddo, ma lei riusciva sempre a trovarle. Le farfalle volavano semplicemente verso di lei. Il giorno del matrimonio lei è venuta da noi e ci ha mostrato la farfalla e noi siamo corsi subito dal direttore della fotografia per dirgli che dovevamo per forza girare qualcosa con lei e la farfalla. Abbiamo inserito queste scene nel film durante il processo di montaggio, ma inizialmente non erano scritte nella sceneggiatura.
SV: Per quanto riguarda la colonna sonora credo che Anja l’abbia composta in un secondo tempo rispetto alle riprese, ma almeno alcune cose sono accadute contemporaneamente nella sua mente. Quindi, mentre recitava una certa scena, sapeva che ci sarebbe stata la musica e sapeva che tipo di musica ci sarebbe stata. Penso che la musica e la recitazione si siano parlate in modo molto intenso ma l’ha composta dopo.
VF: In realtà per una delle ultime scene, quella della confessione, nelle prime versioni avevamo tagliato la parte in cui lei scoppia a ridere. Era sempre stata scritta così e così l’abbiamo girata, ma abbiamo deciso di girare anche una versione semplice in cui lei confessa, non ride e impazzisce. Gliel’abbiamo fatta vedere e lei ci ha detto che aveva già composto la musica tenendo conto della prima versione della scena. Ci ha mandato la musica, noi l’abbiamo aggiunta alla scena ma non funzionava, per questo, alla fine, abbiamo deciso di mantenere la versione in cui lei ride istericamente.
Potreste parlarci del ruolo della religione in questa storia, anche perché sembra proprio siano state le sue credenze religiose a spingere questa donna a commettere un crimine orribile, un infanticidio.
SV: All’epoca di cui stiamo parlando, la religione aveva un enorme potere su quelle persone, che potevano comportarsi solo secondo i dogmi della chiesa. Oggi ci sono dogmi o dogmatismi diversi, ma per loro era una regola divina a cui dovevano obbedire e che dovevano seguire rigorosamente. Oggi, nella nostra società, il dogmatismo della Chiesa non è più così forte, ma ci sono altri fattori che condizionano il comportamento delle persone. Per quanto si parli di diversità, io non ho la sensazione che le persone siano molto più libere al giorno d’oggi. È come se ognuno fosse nella sua bolla, nel suo mondo.
Per me questo è un film sulla depressione, come condizione mentale. Seguiamo, passo dopo passo, con grande accuratezza, il graduale sprofondare della protagonista in questo stato. Oltre alla splendida recitazione, ogni aspetto del film, dalla colonna sonora, all’approccio visivo, trasmettono perfettamente questo viaggio doloroso negli abissi dell’animo.
SV: Visualmente volevamo che l’aspetto del film facesse lo stesso viaggio della nostra protagonista. Quindi, il film inizia al principio dell’autunno o alla fine dell’estate, c’è il sole e il paesaggio è molto bello, poi volevamo che l’intera inquadratura cambiasse. Mentre all’inizio è luminosa e colorata, gradualmente diventa più scura e grigia, come i sentimenti di Agnes. Il suo viaggio nella depressione è stato molto delicato e difficile da realizzare. Questo è stato uno degli aspetti su cui abbiamo lavorato di più in sede di montaggio. Non avevamo trovato la soluzione per questo nella sceneggiatura, abbiamo sempre pensato che non funzionasse al 100%. Poi ci siamo messi a montare e spostando i pezzi, inserendoli o tagliandoli, guardando il film 100 volte con delle persone, senza persone, per vedere come reagiscono alle diverse proposte. Se lei si sdraia a letto una volta di troppo, allora ti dà sui nervi e perdi interesse e se non senti che è sdraiata a letto e non può più alzarsi, allora non capisci che è depressa. Questo processo è stato molto duro ed impegnativo per noi.
VF: Se la gente che guarda il film reagisce e dice: mi dà sui nervi, ma mi piace anche perché è vero, sono soddisfatta. Voglio dire che chi soffre di depressione, nella vera vita, da sui nervi agli altri perché questa è una malattia molto difficile anche per tutti quelli che li circondano….
SV: Non ci sono dei veri e propri sintomi fisici, molte persone non sanno nemmeno di soffrire di depressione. Semplicemente non hanno energia, non riescono ad alzarsi e nessuno li capisce. Credo che sia una condizione difficile da affrontare e da vivere ancora oggi, come lo era in passato, perché la nostra società capitalistica esercita una pressione molto forte sulle persone affinché funzionino, sempre.
VF: Der Teufel’s bad, come forse avrete letto nella cartella stampa, è un’espressione di quel tempo per indicare la malinconia, e mi piace molto questa espressione perché parla dell’inferno che si ha dentro. Credo che il nostro film parli di questo inferno interiore che si vive quando si soffre di depressione.
SEVERIN VIALA: Di fatto, per nostra fortuna, non abbiamo dovuto scoprire tutti i dettagli perché qualcuno lo ha fatto per noi. Una storica di nome Kathy Stewart, un’americana di origini tedesche, ha fatto delle ricerche su questo fenomeno del suicidio per procura. In realtà ci siamo arrivati in modo del tutto casuale ascoltando un podcast su American Life che trattava di scappatoie. Un esempio di scappatoia era questo: alcune donne si suicidavano uccidendo qualcun altro, perché prima dell’esecuzione potevano confessarsi e per questo semplice motivo, andare in paradiso. Esistono varie centinaia di casi. Eravamo totalmente sconcertati perché non avevamo mai sentito parlare di questo fenomeno e ci chiedevamo come qualcosa di così drastico e drammatico sia potuto accadere nel corso della storia. Abbiamo contattato Kathy e lei ci ha dato accesso a tutte le sue ricerche e ci ha inviato i protocolli dei processi, perché queste donne venivano interrogate – erano soprattutto donne, due terzi di loro erano donne. I protocolli dei loro interrogatori erano molto affascinanti per noi.
VERONIKA FRANZ: Soprattutto uno di questi, che riguarda un caso austriaco, ci ha davvero commosso: si tratta della moglie di un contadino vissuto 300 anni fa. In questi protocolli di interrogatorio lei parla della sua vita quotidiana, dei suoi sogni, delle sue paure, delle sue insicurezze, di tutto. Non avremmo mai saputo niente di queste persone e del loro modo di vivere se lei non avesse ucciso qualcuno. Questo è, in un certo senso, un fatto alquanto strano. La storiografia ufficiale è fondamentalmente ingiusta perché s’interessa soprattutto di personaggi famosi come re ed artisti o militari di alto rango, ma non di questo tipo di popolazione comune. Per questo motivo abbiamo trovato questo caso molto affascinante ed è stato molto difficile trasformare la storia di questa donna in una fiction, perché non volevamo tradirla come donna di quel tempo. Per questo all’inizio abbiamo cercato di scrivere un dramma giudiziario, ma poi, quando l’abbiamo riletto, abbiamo pensato che se lei parla solo di ciò che ha vissuto, non avrà sullo spettatore l’impatto che volevamo.
SV: Nel protocollo del processo si ha la sensazione che lei stia parlando direttamente a te, ma se si guarda questa stessa scena in un film è come se qualcuno ripetesse delle battute e si perde completamente il forte impatto che abbiamo sentito leggendole.
Non volevate che la sua voce e la sua esperienza di vita venissero nuovamente mediate….
SV: Proprio così, e in quel momento abbiamo sentito il bisogno di trovare un modo per esternare i suoi orrori e i suoi sentimenti interiori e trasformarli in forma cinematografica. In realtà, ci è voluto molto tempo per finire la sceneggiatura anche perché lei è una persona passiva che soffre di depressione e che commette un atto atroce, ed è molto difficile rendere una persona del genere simpatica in un film. Per noi era assolutamente necessario raccontare una storia in cui il pubblico potesse davvero identificarsi con lei e apprezzarla.
Se si tratta di scoprire, diciamo, una storia nascosta, direi che si tratta, in un certo senso, di un’impresa ‘femminista’, poiché la storia, come lei dice, è scritta dai vincitori, questo significa andare controcorrente anche rispetto a ciò che si legge nei libri, aggiungendo la propria interpretazione. Altrettanto importante è riuscire a rendere la specificità della vita quotidiana della protagonista, immaginare davvero le cose che potrebbero sembrare banali se messe in un libro di storia, ma che in realtà sono ciò che rende il film così speciale.
SV: Vorrei precisare vari aspetto della sua domanda. In primis, riguardo all’impegno femminista bisogna ricordare che solo negli anni ’60 le persone o le donne si sono interessate alla storia delle donne e, ovviamente, era necessario per il femminismo dare anche alle donne del passato la voce che meritavano, ma quest’impegno non riguarda affatto il fenomeno del suicidio per procura, perché è un fenomeno molto complesso; non si tratta di donne che sono state delle vittime, come nei processi alle streghe, ma si tratte di vere e proprie assassine. Credo che questo renda il fenomeno particolarmente difficile da digerire ed è per questo che non è stato ascoltato e non è stato ancora discusso. Quest’impresa può essere etichettata come femminista perché dice che anche le donne possono essere assassine.
VF: L’altra risposta alla sua domanda è che per noi era molto importante che si sentisse quello che prova lei, la pressione. Per questo il nostro film ha in parte uno stile documentaristico. Per esempio la sequenza della pesca alla carpa è uno di questi momenti. Le persone che vediamo sullo schermo sono dei veri pescatori che pescano nello stagno. Abbiamo cercato di seguire e rappresentare in modo veritiero la durezza del loro lavoro, per permettere allo spettatore di mettersi nei loro panni e di capire veramente cosa significava lavorare a quell’epoca. Oltre a questi momenti documentaristici che dovrebbero trasmettere l’aspetto storico di questa storia, volevamo che la nostra narrazione fosse collegata anche al tempo presente. La pressione della società esisteva allora come esiste oggi nella nostra società capitalistica, è solo una forma diversa di pressione. Oggi le persone non “funzionano” perché sono diverse, perché non rientrano nello schema della società tradizionale. Il nostro film parla di persone che, oltre a soffrire di depressione, non si adattano. Questa è una tematica molto moderna e contemporanea.
Vorrei chiedervi di parlarci della vostra splendida protagonista, Anja Plaschg, che incarna magnificamente il personaggio di Agnes e che è anche la musicista del film. Come avete lavorato con lei? Come avete immaginato questi due universi, il suono e la recitazione, con lei?
SV: L’abbiamo contattata per la musica e le abbiamo chiesto di essere la compositrice del film. La conoscevamo come musicista e sentivamo che in questo film, che per noi parla anche del presente, volevamo che la musica avesse degli aspetti moderni, o che magari partisse dal passato per poi svilupparsi in una sorta di colonna sonora più moderna. Ci siamo messi in contatto con lei per quanto riguarda la musica, le abbiamo mandato la sceneggiatura e lei ci ha risposto via e-mail e siamo rimasti sbalorditi da quanto avesse capito di questo mondo e di questo personaggio. Era come se conoscesse questa donna.
In effetti, il cinema ha spesso a che fare con il buon istinto e abbiamo pensato che sarebbe stata un’idea interessante di fare un’audizione con lei. Durante il casting eravamo solo noi tre in una stanza ed è stato subito chiaro che il suo carisma e la sua presenza sarebbero stati fantastici per il film. Naturalmente, dopo questo primo casting non sapevamo se sarebbe stata in grado di realizzare tutto ciò che è scritto nella sceneggiatura, ma d’altronde non si può mai essere sicuri nemmeno quando si lavora con un attore professionista. Quindi abbiamo pensato di adattarci a lei man mano che procedevamo. Di solito giriamo in ordine cronologico e saremmo stati in grado di adattarci ogni volta, se non fosse stata in grado di recitare una scena scritta nel copione. Ci siamo sbagliati, perché lei è riuscita a fare tutto!
VF: È stata davvero una grande fortuna, non solo perché era in grado di ripetere ogni ripresa esattamente nello stesso modo per dieci o venti volte di seguito, ma anche perché voleva provare qualcosa, per lei non si trattava di fingere, ma di essere lì, di essere nel momento. Ogni grande attrice, di fatto – e non sono molte quelle che possono farlo – può ripetere una scena più volte e allo stesso tempo provare sempre qualcosa e questo è davvero molto insolito. Recitare su un set è un qualcosa di molto tecnico; di solito non si è molto liberi perché ci sono la macchina da presa e le luci e non ci si può muovere. Eppure, anche con queste restrizioni, lei è riuscita ad aprirsi completamente. Questo è un dono raro. Inoltre è stata proprio lei a trovare tutte le farfalle che si vedono nel film!A dire il vero, non sappiamo come abbia fatto, perché era inverno e faceva molto freddo, due o tre gradi al massimo. In queste condizioni normalmente non è possibile trovare delle farfalle ma non lo dimenticherò mai perché abbiamo girato il film in ordine cronologico; durante la scena del matrimonio – quel giorno c’era almeno il sole – una farfalla è venuta da lei. In seguito non c’era più il sole e faceva molto freddo, ma lei riusciva sempre a trovarle. Le farfalle volavano semplicemente verso di lei. Il giorno del matrimonio lei è venuta da noi e ci ha mostrato la farfalla e noi siamo corsi subito dal direttore della fotografia per dirgli che dovevamo per forza girare qualcosa con lei e la farfalla. Abbiamo inserito queste scene nel film durante il processo di montaggio, ma inizialmente non erano scritte nella sceneggiatura.
SV: Per quanto riguarda la colonna sonora credo che Anja l’abbia composta in un secondo tempo rispetto alle riprese, ma almeno alcune cose sono accadute contemporaneamente nella sua mente. Quindi, mentre recitava una certa scena, sapeva che ci sarebbe stata la musica e sapeva che tipo di musica ci sarebbe stata. Penso che la musica e la recitazione si siano parlate in modo molto intenso ma l’ha composta dopo.
VF: In realtà per una delle ultime scene, quella della confessione, nelle prime versioni avevamo tagliato la parte in cui lei scoppia a ridere. Era sempre stata scritta così e così l’abbiamo girata, ma abbiamo deciso di girare anche una versione semplice in cui lei confessa, non ride e impazzisce. Gliel’abbiamo fatta vedere e lei ci ha detto che aveva già composto la musica tenendo conto della prima versione della scena. Ci ha mandato la musica, noi l’abbiamo aggiunta alla scena ma non funzionava, per questo, alla fine, abbiamo deciso di mantenere la versione in cui lei ride istericamente.
Potreste parlarci del ruolo della religione in questa storia, anche perché sembra proprio siano state le sue credenze religiose a spingere questa donna a commettere un crimine orribile, un infanticidio.
SV: All’epoca di cui stiamo parlando, la religione aveva un enorme potere su quelle persone, che potevano comportarsi solo secondo i dogmi della chiesa. Oggi ci sono dogmi o dogmatismi diversi, ma per loro era una regola divina a cui dovevano obbedire e che dovevano seguire rigorosamente. Oggi, nella nostra società, il dogmatismo della Chiesa non è più così forte, ma ci sono altri fattori che condizionano il comportamento delle persone. Per quanto si parli di diversità, io non ho la sensazione che le persone siano molto più libere al giorno d’oggi. È come se ognuno fosse nella sua bolla, nel suo mondo.
Per me questo è un film sulla depressione, come condizione mentale. Seguiamo, passo dopo passo, con grande accuratezza, il graduale sprofondare della protagonista in questo stato. Oltre alla splendida recitazione, ogni aspetto del film, dalla colonna sonora, all’approccio visivo, trasmettono perfettamente questo viaggio doloroso negli abissi dell’animo.
SV: Visualmente volevamo che l’aspetto del film facesse lo stesso viaggio della nostra protagonista. Quindi, il film inizia al principio dell’autunno o alla fine dell’estate, c’è il sole e il paesaggio è molto bello, poi volevamo che l’intera inquadratura cambiasse. Mentre all’inizio è luminosa e colorata, gradualmente diventa più scura e grigia, come i sentimenti di Agnes. Il suo viaggio nella depressione è stato molto delicato e difficile da realizzare. Questo è stato uno degli aspetti su cui abbiamo lavorato di più in sede di montaggio. Non avevamo trovato la soluzione per questo nella sceneggiatura, abbiamo sempre pensato che non funzionasse al 100%. Poi ci siamo messi a montare e spostando i pezzi, inserendoli o tagliandoli, guardando il film 100 volte con delle persone, senza persone, per vedere come reagiscono alle diverse proposte. Se lei si sdraia a letto una volta di troppo, allora ti dà sui nervi e perdi interesse e se non senti che è sdraiata a letto e non può più alzarsi, allora non capisci che è depressa. Questo processo è stato molto duro ed impegnativo per noi.
VF: Se la gente che guarda il film reagisce e dice: mi dà sui nervi, ma mi piace anche perché è vero, sono soddisfatta. Voglio dire che chi soffre di depressione, nella vera vita, da sui nervi agli altri perché questa è una malattia molto difficile anche per tutti quelli che li circondano….
SV: Non ci sono dei veri e propri sintomi fisici, molte persone non sanno nemmeno di soffrire di depressione. Semplicemente non hanno energia, non riescono ad alzarsi e nessuno li capisce. Credo che sia una condizione difficile da affrontare e da vivere ancora oggi, come lo era in passato, perché la nostra società capitalistica esercita una pressione molto forte sulle persone affinché funzionino, sempre.
VF: Der Teufel’s bad, come forse avrete letto nella cartella stampa, è un’espressione di quel tempo per indicare la malinconia, e mi piace molto questa espressione perché parla dell’inferno che si ha dentro. Credo che il nostro film parli di questo inferno interiore che si vive quando si soffre di depressione.
SEVERIN VIALA: Di fatto, per nostra fortuna, non abbiamo dovuto scoprire tutti i dettagli perché qualcuno lo ha fatto per noi. Una storica di nome Kathy Stewart, un’americana di origini tedesche, ha fatto delle ricerche su questo fenomeno del suicidio per procura. In realtà ci siamo arrivati in modo del tutto casuale ascoltando un podcast su American Life che trattava di scappatoie. Un esempio di scappatoia era questo: alcune donne si suicidavano uccidendo qualcun altro, perché prima dell’esecuzione potevano confessarsi e per questo semplice motivo, andare in paradiso. Esistono varie centinaia di casi. Eravamo totalmente sconcertati perché non avevamo mai sentito parlare di questo fenomeno e ci chiedevamo come qualcosa di così drastico e drammatico sia potuto accadere nel corso della storia. Abbiamo contattato Kathy e lei ci ha dato accesso a tutte le sue ricerche e ci ha inviato i protocolli dei processi, perché queste donne venivano interrogate – erano soprattutto donne, due terzi di loro erano donne. I protocolli dei loro interrogatori erano molto affascinanti per noi.
VERONIKA FRANZ: Soprattutto uno di questi, che riguarda un caso austriaco, ci ha davvero commosso: si tratta della moglie di un contadino vissuto 300 anni fa. In questi protocolli di interrogatorio lei parla della sua vita quotidiana, dei suoi sogni, delle sue paure, delle sue insicurezze, di tutto. Non avremmo mai saputo niente di queste persone e del loro modo di vivere se lei non avesse ucciso qualcuno. Questo è, in un certo senso, un fatto alquanto strano. La storiografia ufficiale è fondamentalmente ingiusta perché s’interessa soprattutto di personaggi famosi come re ed artisti o militari di alto rango, ma non di questo tipo di popolazione comune. Per questo motivo abbiamo trovato questo caso molto affascinante ed è stato molto difficile trasformare la storia di questa donna in una fiction, perché non volevamo tradirla come donna di quel tempo. Per questo all’inizio abbiamo cercato di scrivere un dramma giudiziario, ma poi, quando l’abbiamo riletto, abbiamo pensato che se lei parla solo di ciò che ha vissuto, non avrà sullo spettatore l’impatto che volevamo.
SV: Nel protocollo del processo si ha la sensazione che lei stia parlando direttamente a te, ma se si guarda questa stessa scena in un film è come se qualcuno ripetesse delle battute e si perde completamente il forte impatto che abbiamo sentito leggendole.
Non volevate che la sua voce e la sua esperienza di vita venissero nuovamente mediate….
SV: Proprio così, e in quel momento abbiamo sentito il bisogno di trovare un modo per esternare i suoi orrori e i suoi sentimenti interiori e trasformarli in forma cinematografica. In realtà, ci è voluto molto tempo per finire la sceneggiatura anche perché lei è una persona passiva che soffre di depressione e che commette un atto atroce, ed è molto difficile rendere una persona del genere simpatica in un film. Per noi era assolutamente necessario raccontare una storia in cui il pubblico potesse davvero identificarsi con lei e apprezzarla.
Se si tratta di scoprire, diciamo, una storia nascosta, direi che si tratta, in un certo senso, di un’impresa ‘femminista’, poiché la storia, come lei dice, è scritta dai vincitori, questo significa andare controcorrente anche rispetto a ciò che si legge nei libri, aggiungendo la propria interpretazione. Altrettanto importante è riuscire a rendere la specificità della vita quotidiana della protagonista, immaginare davvero le cose che potrebbero sembrare banali se messe in un libro di storia, ma che in realtà sono ciò che rende il film così speciale.
SV: Vorrei precisare vari aspetto della sua domanda. In primis, riguardo all’impegno femminista bisogna ricordare che solo negli anni ’60 le persone o le donne si sono interessate alla storia delle donne e, ovviamente, era necessario per il femminismo dare anche alle donne del passato la voce che meritavano, ma quest’impegno non riguarda affatto il fenomeno del suicidio per procura, perché è un fenomeno molto complesso; non si tratta di donne che sono state delle vittime, come nei processi alle streghe, ma si tratte di vere e proprie assassine. Credo che questo renda il fenomeno particolarmente difficile da digerire ed è per questo che non è stato ascoltato e non è stato ancora discusso. Quest’impresa può essere etichettata come femminista perché dice che anche le donne possono essere assassine.
VF: L’altra risposta alla sua domanda è che per noi era molto importante che si sentisse quello che prova lei, la pressione. Per questo il nostro film ha in parte uno stile documentaristico. Per esempio la sequenza della pesca alla carpa è uno di questi momenti. Le persone che vediamo sullo schermo sono dei veri pescatori che pescano nello stagno. Abbiamo cercato di seguire e rappresentare in modo veritiero la durezza del loro lavoro, per permettere allo spettatore di mettersi nei loro panni e di capire veramente cosa significava lavorare a quell’epoca. Oltre a questi momenti documentaristici che dovrebbero trasmettere l’aspetto storico di questa storia, volevamo che la nostra narrazione fosse collegata anche al tempo presente. La pressione della società esisteva allora come esiste oggi nella nostra società capitalistica, è solo una forma diversa di pressione. Oggi le persone non “funzionano” perché sono diverse, perché non rientrano nello schema della società tradizionale. Il nostro film parla di persone che, oltre a soffrire di depressione, non si adattano. Questa è una tematica molto moderna e contemporanea.
Vorrei chiedervi di parlarci della vostra splendida protagonista, Anja Plaschg, che incarna magnificamente il personaggio di Agnes e che è anche la musicista del film. Come avete lavorato con lei? Come avete immaginato questi due universi, il suono e la recitazione, con lei?
SV: L’abbiamo contattata per la musica e le abbiamo chiesto di essere la compositrice del film. La conoscevamo come musicista e sentivamo che in questo film, che per noi parla anche del presente, volevamo che la musica avesse degli aspetti moderni, o che magari partisse dal passato per poi svilupparsi in una sorta di colonna sonora più moderna. Ci siamo messi in contatto con lei per quanto riguarda la musica, le abbiamo mandato la sceneggiatura e lei ci ha risposto via e-mail e siamo rimasti sbalorditi da quanto avesse capito di questo mondo e di questo personaggio. Era come se conoscesse questa donna.
In effetti, il cinema ha spesso a che fare con il buon istinto e abbiamo pensato che sarebbe stata un’idea interessante di fare un’audizione con lei. Durante il casting eravamo solo noi tre in una stanza ed è stato subito chiaro che il suo carisma e la sua presenza sarebbero stati fantastici per il film. Naturalmente, dopo questo primo casting non sapevamo se sarebbe stata in grado di realizzare tutto ciò che è scritto nella sceneggiatura, ma d’altronde non si può mai essere sicuri nemmeno quando si lavora con un attore professionista. Quindi abbiamo pensato di adattarci a lei man mano che procedevamo. Di solito giriamo in ordine cronologico e saremmo stati in grado di adattarci ogni volta, se non fosse stata in grado di recitare una scena scritta nel copione. Ci siamo sbagliati, perché lei è riuscita a fare tutto!
VF: È stata davvero una grande fortuna, non solo perché era in grado di ripetere ogni ripresa esattamente nello stesso modo per dieci o venti volte di seguito, ma anche perché voleva provare qualcosa, per lei non si trattava di fingere, ma di essere lì, di essere nel momento. Ogni grande attrice, di fatto – e non sono molte quelle che possono farlo – può ripetere una scena più volte e allo stesso tempo provare sempre qualcosa e questo è davvero molto insolito. Recitare su un set è un qualcosa di molto tecnico; di solito non si è molto liberi perché ci sono la macchina da presa e le luci e non ci si può muovere. Eppure, anche con queste restrizioni, lei è riuscita ad aprirsi completamente. Questo è un dono raro. Inoltre è stata proprio lei a trovare tutte le farfalle che si vedono nel film!A dire il vero, non sappiamo come abbia fatto, perché era inverno e faceva molto freddo, due o tre gradi al massimo. In queste condizioni normalmente non è possibile trovare delle farfalle ma non lo dimenticherò mai perché abbiamo girato il film in ordine cronologico; durante la scena del matrimonio – quel giorno c’era almeno il sole – una farfalla è venuta da lei. In seguito non c’era più il sole e faceva molto freddo, ma lei riusciva sempre a trovarle. Le farfalle volavano semplicemente verso di lei. Il giorno del matrimonio lei è venuta da noi e ci ha mostrato la farfalla e noi siamo corsi subito dal direttore della fotografia per dirgli che dovevamo per forza girare qualcosa con lei e la farfalla. Abbiamo inserito queste scene nel film durante il processo di montaggio, ma inizialmente non erano scritte nella sceneggiatura.
SV: Per quanto riguarda la colonna sonora credo che Anja l’abbia composta in un secondo tempo rispetto alle riprese, ma almeno alcune cose sono accadute contemporaneamente nella sua mente. Quindi, mentre recitava una certa scena, sapeva che ci sarebbe stata la musica e sapeva che tipo di musica ci sarebbe stata. Penso che la musica e la recitazione si siano parlate in modo molto intenso ma l’ha composta dopo.
VF: In realtà per una delle ultime scene, quella della confessione, nelle prime versioni avevamo tagliato la parte in cui lei scoppia a ridere. Era sempre stata scritta così e così l’abbiamo girata, ma abbiamo deciso di girare anche una versione semplice in cui lei confessa, non ride e impazzisce. Gliel’abbiamo fatta vedere e lei ci ha detto che aveva già composto la musica tenendo conto della prima versione della scena. Ci ha mandato la musica, noi l’abbiamo aggiunta alla scena ma non funzionava, per questo, alla fine, abbiamo deciso di mantenere la versione in cui lei ride istericamente.
Potreste parlarci del ruolo della religione in questa storia, anche perché sembra proprio siano state le sue credenze religiose a spingere questa donna a commettere un crimine orribile, un infanticidio.
SV: All’epoca di cui stiamo parlando, la religione aveva un enorme potere su quelle persone, che potevano comportarsi solo secondo i dogmi della chiesa. Oggi ci sono dogmi o dogmatismi diversi, ma per loro era una regola divina a cui dovevano obbedire e che dovevano seguire rigorosamente. Oggi, nella nostra società, il dogmatismo della Chiesa non è più così forte, ma ci sono altri fattori che condizionano il comportamento delle persone. Per quanto si parli di diversità, io non ho la sensazione che le persone siano molto più libere al giorno d’oggi. È come se ognuno fosse nella sua bolla, nel suo mondo.
Per me questo è un film sulla depressione, come condizione mentale. Seguiamo, passo dopo passo, con grande accuratezza, il graduale sprofondare della protagonista in questo stato. Oltre alla splendida recitazione, ogni aspetto del film, dalla colonna sonora, all’approccio visivo, trasmettono perfettamente questo viaggio doloroso negli abissi dell’animo.
SV: Visualmente volevamo che l’aspetto del film facesse lo stesso viaggio della nostra protagonista. Quindi, il film inizia al principio dell’autunno o alla fine dell’estate, c’è il sole e il paesaggio è molto bello, poi volevamo che l’intera inquadratura cambiasse. Mentre all’inizio è luminosa e colorata, gradualmente diventa più scura e grigia, come i sentimenti di Agnes. Il suo viaggio nella depressione è stato molto delicato e difficile da realizzare. Questo è stato uno degli aspetti su cui abbiamo lavorato di più in sede di montaggio. Non avevamo trovato la soluzione per questo nella sceneggiatura, abbiamo sempre pensato che non funzionasse al 100%. Poi ci siamo messi a montare e spostando i pezzi, inserendoli o tagliandoli, guardando il film 100 volte con delle persone, senza persone, per vedere come reagiscono alle diverse proposte. Se lei si sdraia a letto una volta di troppo, allora ti dà sui nervi e perdi interesse e se non senti che è sdraiata a letto e non può più alzarsi, allora non capisci che è depressa. Questo processo è stato molto duro ed impegnativo per noi.
VF: Se la gente che guarda il film reagisce e dice: mi dà sui nervi, ma mi piace anche perché è vero, sono soddisfatta. Voglio dire che chi soffre di depressione, nella vera vita, da sui nervi agli altri perché questa è una malattia molto difficile anche per tutti quelli che li circondano….
SV: Non ci sono dei veri e propri sintomi fisici, molte persone non sanno nemmeno di soffrire di depressione. Semplicemente non hanno energia, non riescono ad alzarsi e nessuno li capisce. Credo che sia una condizione difficile da affrontare e da vivere ancora oggi, come lo era in passato, perché la nostra società capitalistica esercita una pressione molto forte sulle persone affinché funzionino, sempre.
VF: Der Teufel’s bad, come forse avrete letto nella cartella stampa, è un’espressione di quel tempo per indicare la malinconia, e mi piace molto questa espressione perché parla dell’inferno che si ha dentro. Credo che il nostro film parli di questo inferno interiore che si vive quando si soffre di depressione.