Più pioggia che sole, sopra ciò che è sempre uguale, tranne la palla che sfonda il muro del palazzo del cinema. Perché tanto va rifatto, e allora l’omaggio a Fellini (Prova d’orchestra) si incontra con le tanto care esigenze pratiche. Poca gente in giro, visto il tempo e visti i pochi soldi della gente. E i tanti, invece, che ci vogliono per stare qui, e/o che ci son voluti per le vacanze. Il circo degli addetti, invece, pascola lieve come al solito. Si incrocia abbronzato, ride e commenta. Tre giorni già, di ventaccio, panini e film. Per dire che Ang Lee ha soddisfatto e che De Palma ha stupito per bellezza. E per grandezza. Che Kitano è piaciuto a pochi (però nessuno dice che effettivamente non gli è piaciuto e la parola “delirio” suona come un ottimo escamotage per mantenere la presa con un simbolo del cult recente) e che le “Giornate degli autori” sono anche quest’anno occasioni propizie per vedere film buoni e interessanti.
Poi la finestra Italia. Aperta ancora troppo poco per un bilancio ma già abbastanza per parlare di una partenza col piede sbagliato. Gianni Zanasi, col suo Non pensarci, ha tirato su un filmaccio fatto con i tagli del peggior cinema italiano. Abuso di Mastandrea, di famiglia, di tentata gag, di quarantennismo tragicomico. Esiste questo genere di film e ad alcuni giovani registi italiani capita di finirci dentro (per mancanza di coraggio o per esigenze professionali), col rischio di rimanerci impantanati anche quando una dichiarata indipendenza potrebbe, forse, salvargli la vita e la carriera. A patto che abbiano talento e palle. E se per Zanasi c’è abuso di Mastandrea, l’accusa per l’elegante Paolo Franchi è molto più grave: abuso e spaccio di performance Germaniana, (con tanto di nuda e poderosa erezione penica) di Chabrolismo e di Kieslowskismo. In Nessuna qualità agli eroi, finito col silenzio imbarazzato della sala, c’è molta ambizione e poca sostanza. C’è la ricerca di una forma già fatta, di un tema classico (amore, famiglia ed io) trattato senza chiarezza di risultato. La freddezza scenica diventa fredda ricezione. Zanasi e Franchi, con due film lontanissimi, prodotti dallo stesso Beppe Caschetto, confermano la mancanza di una direzione e di un sentimento comune nel cinema italiano. Ne va parlando Carlo Lizzani da un po’ di tempo, dapprima con il suo bel libro Il mio viaggio nel secolo breve, poi con gli interventi sui quotidiani ed ora anche qui a Venezia, ospite da più parti, e con un documentario dedicato proprio a lui: Viaggio in corso nel cinema di Lizzani di Francesca Del Sette. Siamo solo all’inizio. Devono ancora calare Porporati e Marra, più altre carte sparse per le varie sezioni. Per ora, accipicchia, poteva andare meglio. Partenza bagnata.
De Palma da qualche tempo sta vivendo un periodo d’oro. Gli anni ’70 di altro cinema americano, così sospetti a tanta critica militante italiana dell’epoca, per la tendenza alla spettacolarizzazione e alla rappresentazione di una finta crisi di coscienza, buona a lavarsi a giro risparmio la coscienza, in fondo alla lunga, e proprio a ragione di questa dialettica, reggono bene e han competenze, non solo tecniche, invidiabili. Un saluto, Edo.