“Un trattato psicologico sulla gelosia dove l’ultima umiliazione inflitta all’amante, dal marito tradito, è la seduzione attraverso un atto omosessuale”. Così Michael Caine ha definito Sleuth, film in Concorso a Venezia diretto da Kenneth Branagh. Ne è protagonista insieme a lui Jude Law. La pièce teatrale era già stata portata sugli schermi negli anni Settanta da Joseph Mankiewicz. In Italia era uscito col titolo Gli irriducibili e aveva come protagonisti lo stesso Caine e Laurence Olivier. Ma non si può parlare di un vero e proprio remake. Infatti a scrivere il nuovo adattamento è stato il premio Nobel Harold Pinter che ha lavorato con assoluta originalità secondo Law: “Quando Harold si è messo a lavorare non aveva visto il precedente film. Fin dall’inizio ha approcciato la storia come una vera e propria guerra fra due uomini. Una lotta così totalizzante da diventare fine a se stessa e far perdere loro il contatto coi veri motivi del loro scontro”.
Il marito tradito è proprio Caine-Wyke, ricchissimo scrittore di libri gialli che abita in una splendida villa ipertecnologica dove controlla ogni cosa con un telecomando. Wyke vuole conoscere l’amante della moglie. Invita a casa Law-Tindle e con lui inizia un duello infernale. Della lotta distruttiva e suicida dei protagonisti, in cui Law assume il ruolo che un tempo fu di Cane e questo quello di Olivier, Branagh parla come di una rivalità sensuale: “Si tratta di un vero e proprio confitto primordiale, che affonda le radici nei drammi classici. Già nell’originale era ben descritto, ma qui abbiamo voluto spingerci oltre, esasperando la perversione di questo gioco”.
Di sensualità ce n’è anche in Lust, Caution di Ang Lee (Leone d’Oro due anni fa con I segreti di Brokeback Mountain), thriller di spionaggio ambientato nella Shangai degli anni Quaranta occupata dai giapponesi. Le scene di sesso tra Tang Wei e Tony Leung sono di una tale intensità che hanno spinto un giornalista a chiedere in conferenza stampa se fossero vere. L’attrice ha replicato con un sorriso: “Assolutamente non vere”. Il film è tratto da un racconto della scrittrice cinese Zhang Ailling e narra di una giovane studentessa che entra nella resistenza antigiapponese. Insieme al suo gruppo di lotta decide di colpire il collaborazionista Mr. Yee. La ragazza si introduce nella vita dell’uomo creandosi una finta identità ma solo dopo molto tempo riesce a scalfire la diffidenza e la chiusura al mondo di Mr. Yee. Lentamente però qualcosa in lei cambia, tanto da capovolgere i suoi sentimenti. “Non mi interessava in questo momento lavorare sul cinema pop statunitense. Mi faceva piacere invece esplorare aspetti tradizionali della mia cultura” dice il regista taiwanese a proposito di quest’ultima sua opera. E poi aggiunge: “Ho amato molto questo racconto che per me è comunque il punto di partenza e non il punto d’arrivo, diciamo che il film salta fuori dal romanzo per chiarire i lati oscuri oltre che mostrare quelli già in chiaro”
Invece Takeshi Kitano, presente al Lido Fuori Concorso con Kantoku banzai!, ha dichiarato che questa sua ultima realizzazione fa parte di una trilogia sull’autodistruzione della propria carriera. Non si ancora bene se fosse ironico o parlasse seriamente. Durante l’incontro con la stampa insieme al produttore Masayuki Mori ha detto: “Hana-bi ha rappresentato un punto di svolta, e i miei seguenti film sono stati spesso sopravvalutati. Poi con Zatoichi è arrivato il successo di pubblico, ma con Dolls il gap tra il mio cinema e gli spettatori si è acuito. Con Takeshi’s ho iniziato il processo di distruzione della mia filmografia: ho voluto e voglio ricominciare da capo”. Insomma un artista in piena crisi espressiva di cui Kantoku è la diretta manifestazione. Il film è infatti l’assemblaggio dei generi più diversi, quasi che il regista fosse alla ricerca di una strada che non trova. Su questa stessa scia è previsto un terzo capitolo: “Proseguirò in questo cubismo cinematografico: progettazione di tempi e immagine, loro distruzione, e successivo riassemblaggio”.