Banel e Adama, Banel e Adama, Banel e Adama, Banel e Adama….
Come un mantra una voce di donna, ripete all’infinito i nomi di Banel e di suo marito Adama, come per tenerli insieme per sempre in una stessa frase, in uno stesso soffio. Banel e Adama sono due nomi ma un unico amore, un unico cuore che batte all’unisono e che nessuno mai dovrà tentare di separare. Banel e Adama appartengono l’uno all’altro, per sempre.
Il film si apre su questa strofa sussurrata, quasi cantata, in un ritornello continuo e su un’immagine astratta: nel mezzo dello schermo, coperto con un giallo diffuso, spicca una luce indefinibile che splende, come un cuore pulsante. La voce in off di Banel evoca dei grani di sabbia che rispendono nell’aria portati dal vento.
Siamo nel nord del Senegal, in una zona semi-desertica dove, con molta difficoltà, è tuttavia possibile piantare delle verdure e dedicarsi all’allevamento.
Nel suo primo lungometraggio di finzione la franco-senegalese Ramata–Toulaye Sy – Banel e Adama è l’unica opera prima invitata quest’anno da Thierry Fremaux al prestigioso concorso del festival- la giovane realizzatrice e sceneggiatrice nata e cresciuta a Parigi, diplomata della Femis, si confronta con il suo paese d’origine. Con questo progetto, filmato in Senegal nella regione rurale del Fouta abitata da varie tribù dell’etnia Peule, Toulaye-Sy si misura alle proprie radici famigliari e culturali, creando una pellicola in cui una descrizione accurata delle condizioni di vita del luogo si fonde con tradizioni e racconti ancestrali, immergendoci in un universo arduo e magico alla volta.
Al centro della vicenda Toulaye-Sy piazza una giovane donna, Banel, forte e indomita, interpretata con una straordinaria intensità dall’attrice non- professionista Khady Mane, una donna che intende prendere la sua vita in mano, che non vuole piegarsi ai dettami e alle leggi della sua tribù ma vuole forgiare il suo destino come meglio le pare.
Per Banel non esiste null’altro al mondo che il suo amore assoluto per Adama, brillantemente interpretato da Mamadou Diallo, niente e nessuno deve intromettersi fra loro due, neanche un figlio, che Banel dichiara di non volere avere.
Il suo mantra, Banel lo mette anche per scritto; su un quaderno scrive diligentemente pagine intere con il suo nome e quello di Adama, come se avesse paura che il vento del deserto potesse portarsi via la sua voce, dissipare un giorno il loro legame.
Ogni momento del giorno e della notte i due innamorati vogliono passarlo insieme, stare l’uno accanto all’altro; lavorare insieme, ridere e scherzare, raccontarsi delle storie di sirene che vivevano un tempo sul fondo del fiume vicino, fare progetti per il futuro.
Come le cinque dita di una mano Banel e Adama sono inseparabili, un nucleo forte e compatto pronto a confrontarsi con determinazione al resto del villaggio, alle proprie famiglie, ai doveri che impone loro la legge del clan.
Banel vuole essere libera ed indipendente, c’è qualcosa di selvaggio in lei, una rabbia che la rode e a cui da sfogo andando a caccia con la sua fionda, un fondo oscuro da cui spesso sorgono voci e visioni indistinte.
Caparbia e cocciuta, la giovane donna che accompagna ogni giorno Adama con le sue mucche al pascolo, vuole andare a vivere con lui fuori dal villaggio, dove la loro casa è adiacente a quella della suocera che la obbliga quotidianamente ad occuparsi di lei e delle altre donne della famiglia, tenendola lontano da suo marito.
Toulaye-Sy immagina questa casa lontana come uno luogo straordinario, incantato ma sinistro allo stesso tempo: due edifici attigui, uguali l’uno all’altro che non sono mai stati abitati, perché completamente e misteriosamente sommersi da una tempesta di sabbia.
Banel convince il suo amato di dissotterrarle entrambe per andarci a vivere. Come Sisifo, i due si affannano sotto il sole battente ogni giorno per asportare la terra che copre la loro futura casa. Guardando l’enorme collina di sabbia che i due devono scavare solo con le palme delle loro mani, ci si rende immediatamente conto che questo compito è irrealizzabile.
Nel villaggio tutto ciò e visto di cattivo occhio e la situazione peggiora ulteriormente quando Adama, che per lignaggio famigliare dovrebbe essere il prossimo capo del clan, si rifiuta di accettare questo incarico, preferendo vivere quietamente con sua moglie piuttosto che assumersi la responsabilità di tutta la comunità. La madre di Adama è infuriata, ma anche il fratello gemello di Banel, vede tutto ciò di cattivo occhio e cerca inutilmente di convincerla ad essere più conciliante e accettare il suo destino, quello cioè di dare un figlio a Adama.
Il modo in cui la regista descrive questo microcosmo ha un qualcosa di molto intimo; la vita comunitaria della coppia si gioca in uno piccolo spiazzo davanti alle case del clan, tutti stanno fuori a lavorare, mangiare, discutere o fare la siesta. Immersa nel colore rossastro della terra sabbiosa, la natura circostante, sembra nella prima parte del film rigogliosa; gli arbusti, l’erba verdeggiante, il fiume sono bagnati da una luce diffusa, sempre velata.
Con una messa in scena fluida ed accurata allo stesso tempo, Toulaye-Sy, sa creare un luogo reale ma come fuori dal tempo. L’impressione che questa storia si svolga nell’oggi, in un villaggio isolato in mezzo alla savana, si scontra con l’assenza di ogni oggetto che possa rimandarci al presente; non ci sono televisioni, cellulari o radio in questa comunità.
La sua vicenda diventa una parabola universale della lotta di ogni donna per la sua autodeterminazione, che sia in una società dichiaratamente tradizionale come quella descritta nel film, o nel nostro mondo occidentale, dove, ancora e sempre, le donne devono battersi per i loro diritti.
Ipnotica la colonna sonora del film crea un ambiente idillico nella prima parte della vicenda e minaccioso nella seconda in cui la disgrazia si abbatte su questa piccola comunità rurale. La siccità si fa sempre più persistente; dapprima muore qualche bestia, poi pian piano delle mandrie intere di mucche, poi iniziano a morire gli anziani e i bambini. La calamità viene ben presto attribuita al comportamento di Banel, che non accettando di conformarsi alle regole del clan, ne ha compromesso l’equilibrio. Di fronte ad una tale disgrazie Adama accetta di diventare capo del clan e di vivere per sempre nel villaggio. Ormai completamente isolata, Banel si vede strappare Adama dal suo lato. Senza questa simbiosi la sua vita non ha ormai nessun senso. In un ultimo meraviglioso atto di ribellione, o forse di follia- il suo amore è forte e distruttivo come quello di un’eroina tragica- Banel parte da sola nel mezzo di un’apocalittica tempesta di sabbia, verso le case di cui ha sempre sognato.
La straordinaria sequenza finale del film è da mozzare il fiato