Con Manodrome di John Trengrove, hanno fatto la loro comparsa sul tappeto rosso della Berlinale due grandi vedette americane: Jessie Eisenberberg e Adrien Brody. L’attesa era grande e la proiezione stampa era sold out.
Manodrome, titolo suggestivo che ci rinvia subito al concetto di mascolinità e la storia di giovane uomo, Ralph, detto Ralphie, alle prese con un presente assai difficile ed un passato altrettanto traumatico.
Il protagonista, un uomo sulla trentina, è tassista in una grossa citta americana, non ha la vita facile anche e soprattutto perché, lo intuiamo ben presto, ha avuto un’infanzia difficile e delle profonde ferite nell’anima che lo rodono dall’interno e sembrano non dargli tregua.
Nonostante ciò, Ralphie, vuole farcela, vuole andare avanti e creare una sua famiglia capace di dargli tutto l’affetto e il calore umano di cui sembra avere bisogno. La sua compagna è una ragazza anch’essa con un passato difficile ma anche lei ce la mette tutta per realizzare il sogno di una vita e di una famiglia felice.
I due sono molto uniti, si vogliono bene, si sente che c’è una grande complicità fra di loro. Ridono, scherzano e si prendono in giro abbracciandosi sul sofà del vecchio appartamento in cui abitano, di fatto la casa in cui Ralph è cresciuto. Siamo in inverno, poco prima di natale e, nonostante il freddo e il grigiore della città, i due futuri parenti si preparano con gioia ad accogliere il loro bimbo che dovrebbe nascere proprio durante le feste. Ralphie si prende particolarmente cura della sua compagna incinta, andando a prenderla con il suo taxi ogni sera all’uscita del supermercato in cui lavora, per alleviare la sua stanchezza. I due aspettano con impazienza, ma anche con una certa preoccupazione, il felice evento, i soldi infatti non bastano, come vediamo in una delle prime scene del film in cui la coppia, una volta arrivata in cassa, non riesce a pagare gli acquisti fatti per l’arrivo del neonato.
La vita di Ralphie, che si sente sommerso dal peso delle responsabilità, si svolge fra il lavoro, le serate passate in casa con la sua compagna e una palestra dove lo vediamo allenarsi accanitamente per farsi quei muscoli che non ha.
Ed è proprio in questa palestra dove sentiamo, già dalle prime sequenze, montare la tensione e la frustrazione del protagonista che vorrebbe fare parte di questo mondo di uomini forti e muscolosi, che sogna di avere un corpo scultoreo come il loro. Nonostante tutta la sua buona volontà e l’accanimento con cui si esercita, i risultati sono deludenti, ciò che gli vale di venire guardato con una certa sufficienza e con una punta di derisione da un gruppo di uomini di colore, dalla muscolatura imponente, che frequentano la stessa palestra.
John Trengrove mette subito in mostra i problemi psicologici del suo protagonista; sotto l’apparenza di un carattere mite e introverso Ralph cova una frustrazione e una rabbia delirante, a fior di pelle. Le pillole che ingurgita per crearsi una massa muscolare sembrano accrescere la sua ansia e la sua aggressività latente, scatenando delle crisi di paranoia.
Il suo carattere frustrato ed insicuro viene reperito da un altro ragazzo che lavora in palestra e con cui Ralph ha simpatizzato, costui che è membro di una setta esclusivamente maschile, riconosce in Ralph un accolito potenziale per il suo gruppo e gli propone di presentarlo a questi suoi amici che lo hanno tanto aiutato e sostenuto in tempi difficili e potrebbero dare una mano anche Ralph e tiralo fuori dai suoi guai. Ralph accetta ed esce con questo gruppo di uomini simpatici e calorosi, in mezzo ai quali spicca un personaggio carismatico chiamato Father Dan.
Dopo questo primo incontro, Ralph, incuriosito e lusingato dall’interesse che tutti sembrano portargli, si reca alla sede del gruppo, una grande casa accogliente in mezzo alla campagna, dove questi uomini vivono in comunità.
La setta di cui guru e capo è il misterioso Father Dan, interpretato con inquietante finezza da Adrian Brody, promette di diventare una nuova famiglia per i suoi membri, a patto che loro lascino tutta la loro vita precedente dietro di sé, per sempre. Di fatto Father Dan, propone ai suoi accoliti il regresso ad uno stato infantile, asessuato- non a caso i membri della setta vengono chiamati figli- imponendo loro un’astinenza sessuale assoluta.
Detto ciò, non si capisce esattamente quali siano gli obiettivi ultimi di questa setta, a parte il fatto di proclamare una misoginia ad oltranza, tagliare i completamente i ponti con le donne e fare voto di castità. Questa tematica non viene ulteriormente sviluppata dalla sceneggiatura, lasciandoci assai perplessi.
In ogni caso questo aspetto è forse l’elemento più interessante ed originale del film che s’interroga, sulle derive di quei comportamenti maschili che vengono definiti come toxic masculinity anche se finisce per non portare a termine questa riflessione, preferendo seguire
una traiettoria narrativa diversa, molto più complessa ed in fin dei conti, alquanto confusa ed inconcludente.
Partendo da queste premesse il regista mette infatti in scena l’epopea di un personaggio sulla via dell’implosione assoluta che finisce per diventare una mina vagante, un pericolo pubblico pronto ad eliminare chiunque sembri contrariarlo. Ralph si dimostrerà molto meno malleabile del previsto, la setta non riuscirà ad assimilarlo completamente, anche perché la nascita del suo bimbo sembra essere alla fine più importante per lui dei dettami del suo guru. Dopo avere evitato per alcuni giorni la sua compagna – le donne sono le colpevoli di tutte le nostre sofferenze, questo è l’indottrinamento del gruppo di Father Dan- Ralphie si reca all’ospedale dove la sua compagna ha partorito un maschietto.
Ralph spera e pensa ancora di potere salvare la sua famiglia e la sua vita, cancellando il trauma dell’abbandono che aveva vissuto da bambino, causa del suo squilibrio affettivo – suo padre se n’era andato via per sempre proprio il giorno di Natale- ma, nonostante le sue buone intenzioni, tutto sembra ormai compromesso e fuori controllo. Se le parole di Father Dan non sono state in grado di separarlo dalla sua donna, hanno risvegliato in lui una serie di pulsioni represse, come quella dell’omosessualità, portandolo a vendicarsi brutalmente di un uomo – proprio quell’uomo di colore che osservava da tempo in palestra- dopo avere avuto il suo primo rapporto omoerotico con lui.
Da questo punto in poi la vicenda di Ralphie diventa sempre più sconnessa e bizzarra; mentre la sua compagna fugge, abbandonando il bambino da solo, Ralphie, sempre più sconvolto e aggressivo ritorna al rifugio della setta, seguirà un’escalation di violenza e di sangue che condurrà il protagonista in uno stato di regresso assoluto.
Partendo da un’idea originale che sarebbe potuta essere fruttuosa- quella della toxic masculinity- il regista si perde nei meandri di una vicenda che cercando la complessità finisce per perdersi inseguendo varie piste.
Il mondo del cinema statunitense- riflesso della società- pullula di personaggi che perdono le staffe uccidendo a destra e a manca, come Falling down di Michel Schumacher (1993), pullula anche di film su gang e società segrete dedite alla violenza come Fight club, di David Fincher (1999), per citare un esempio famoso. Iltentativo di John Trengrove di associare questi due filoni nel suo film non è, a mio avviso, completamente riuscito. Manodrone resta comunque un film dal ritmo sostenuto, con una messa in scena fluida e una fotografia rigorosa, portato dalla coraggiosa performance di Jessie Eisenberberg, qui in un ruolo a contro impiego, che riesce a trasmetterci perfettamente tutte le contraddizioni del suo torturato personaggio.