Casacalenda/ Si è appena chiusa la 21^ edizione del MoliseCinema, manifestazione culturale ubicata a Casacalenda –da molto tempo tra le più vive ed ospitali realtà molisane-, punto di riferimento per lo stato del cortometraggio italiano e internazionale, nonché luogo di frontiera per quanto riguarda il cinema documentario e laboratorio per le opere prime e seconde di finzione.

Punto di riferimento, dicevamo, quanto alla eccellente qualità dell’offerta, e cambio di prospettiva, inoltre, se il desiderio diventa quello di poter fare una effettiva esperienza festivaliera che non sia anonima né superficiale.

Già i nomi assegnati alle diverse sezioni competitive –ben quattro- ci invitano a lasciare gli ormeggi per intraprendere un viaggio nel tempo e nello spazio: Paesi in corto. Cortometraggi internazionali; Percorsi. Cortometraggi italiani; Frontiere. Documentari italiani; Paesi in lungo. Concorso per opere prime e seconde.

E se consideriamo il territorio che ospita questa magnifica iniziativa, allora il salto nel tempo diventa questione di un momento: quante volte Casacalenda sarà apparsa in una delle fotografie ai bordi delle mappe degli Atlanti geografici che si ammiravano da bambini? Quelle con il colore ancora a grana grossa e in cui a volte vedevi comparire figure di persone, a scala piccola, non si capisce se capitate lì per caso oppure se attori di qualche cosa -forse di un invito complice ad attraversare?

Fatto sta che il piacere di partecipare a un festival come questo forse sta proprio nell’idea di non sentirsi soli nella visione, visione che è sempre anche un traghettamento verso l’altro da sé -c’è sempre odore di ignoto in una immagine, e anche nella più verosimile.

Al MoliseCinema si ha sempre a disposizione un amico esperto con cui poter attraversare il mondo delle immagini, da quelle più familiari e vicine a quelle più lontane e perturbanti. Non si ha mai la sensazione, insomma, di uno schermo deserto e inabitabile o di un senso abbandonato all’incomprensione. E il fare-comunità ecco allora che diventa più semplice, come un desiderio che riesce incredibilmente ad avverarsi. Con la conseguenza che le visioni hanno avuto il tutto esaurito.

Federico Pommier Vincelli (direttore artistico), Paola Talevi (relazioni internazionali e grande esperta del corto), Giacomo Ravesi (documentari), Raffaele Rivieccio (retrospettive), Cristian Ferrao (strategia e programmazione), Veronica Flora (programmazione), Maria Laura Danza (ospitalità) e il mitico Giuseppe/Bruno Cortona (chauffeur) sono stati gli amici abili cui fare affidamento. D’altronde la visione è anche sempre un abbandonarsi, un agire e insieme un subire una fascinazione, uno stare immobili per un tempo non trascurabile (molto più lungo se poi pensiamo a ciò che accade nella stanza dei sogni), e quindi la domanda è lecita: perché fidarsi?

Passando allo “specifico filmico” (si sta citando l’indimenticabile Stefano Satta Flores, evocato dall’omaggio a Ettore Scola), di seguito una piccola panoramica su alcuni corti del concorso internazionale. Si parte con quello del vincitore e con gli altri tre che hanno ricevuto la menzione speciale e il premio del pubblico.

Martwy punkt/Blind Spot (Punto Cieco), Patrycja Polkowska, Polonia, 15’

Un incidente scatena la caccia al colpevole. Ma l’ambiguità della “verità” renderà difficile la ricostruzione dei fatti e l’attribuzione delle responsabilità. Ricorda il Mungiu di Un padre, una figlia. O anche certi ritmi della detective-story ma alla maniera di Farhadi. Dura un giorno, dalla mattina alla sera: la luce rispecchia in modo naturale e insieme espressivo il tempo (che in questo modo si distende davanti a noi nella sua durata) in cui si svolge la concitata azione. Perfetto.

Serpêhatiyên neqewimî/Things Unheard Of, Ramazan Kılıç, Turchia, 16’

In un piccolo centro le autorità turche tolgono brutalmente le antenne che trasmettono programmi curdi, in genere persone che raccontano storie con cui tramandare memoria. Una ragazzina – che da subito, tramite delle soggettive a inizio corto, viene “dotata” di uno “sguardo” proprio- si immagina di fare una televisione locale, e quindi, con l’ausilio di una cornice-Tv, mette in piedi un programma locale con informazioni, canzoni e storie. La cornice-Tv la porta anche fuori, con suggestive immagini del paesaggio, tra spazi ampi e alberi, in cui il regista non manca di inserire una bella apertura linguistica: la regia si mostra in una soggettiva libera indiretta su una strada dove camminano i ragazzini. Finale magnifico sulla nonna curda, “muta”, che muove la bocca tra le pareti immaginifiche della cornice-Tv.

Hors-saison, Francescu Artily, Francia, 14’

Corto eco-esistenziale. Fatto di movimenti (falsi e possibili), di incontri, crocevia e bivi. Il protagonista si mette in viaggio. E il viaggio fuori da percorsi consueti lo aprirà a una forma di conoscenza e di percezione diversa. Artily filma anche il dubbio di una volontà (razionale e strumentale) in panne. Le cui conseguenze, in termini di “sfruttamento”, non riesce più a “eliminare” (delete), né a rimuovere.

Stück für Stück/Piece by Piece, Reza Rasouli, Austria, 9’

Corto nato come esercizio sulla figura dell’inseguimento (il regista iraniano ha studiato cinema in Austria, dove risiede), tramite un uso affascinante di luoghi non stereotipati e un movimento di macchina che avvolge e proietta in uno spazio insieme reale e immaginario i due protagonisti, pone domande costitutive rispetto alla formazione non convenzionale di soggettività in divenire.

Fár, Gunnur Martinsdóttir Schlüter, Islanda, 5’

Domanda sul male e sui limiti della volontà. Sui limiti del prevedere. E sulla liceità del dare la morte. Su ciò che è permesso. Le parole asettiche della tecnica, saturate e tracotanti, messa in scena all’interno della vita ordinaria di un bar. Poi l’imprevisto: da fuori un gabbiano sbatte sul vetro. L’oggetto invade lo spazio ordinario del soggetto; l’illusione della trasparenza (il vetro e il linguaggio razionale) si infrange. La “corruzione” della giovane manager e la fiducia dei ragazzini. Lei esegue un ordine interiorizzato, con cui tenere a bada anche il proprio male; mentre i “capi”, in un secondo, passano dal dare ordini con condiscendenza al puntare l’indice con ipocrisia e finto-moralismo – la ragazza ha esagerato, perché per loro doveva rimanere dietro alla sicurezza e all’agio di quel vetro (sporco di sangue animale).      

فلسطين ٨٧/Palestine 87, Bilal Alkhatib, Palestina, 13’

Durante la prima intifada dell’87, un giovane uomo che cura le sue galline (e non manifesta contro l’esercito israeliano) viene coinvolto in un inseguimento da parte dell’esercito contro altre due ragazzi. Non può più tirarsi fuori. Comincia a correre. I passi, la corsa, il suono del fiato e dei corpi che sbattono contro la materia, per fuggire dall’oppressione e per la stessa vita. Sono questi corpi ad essere in primo piano: visivo e sonoro. E il rapporto con l’ideologia e la religione in fuori campo (o in campo tramite le divise) è potente: in questo caso il fuori campo è un fantasma, qualcosa di immateriale; mentre i corpi hanno un loro peso, agiscono sulla materia, trasformandola, e sono anche molto sensuali. Etico ed estetico, nel senso di evidenza del politico (non ci si può tirare fuori, da anime belle) e della percezione (contro il dualismo che vede assoggettato il corpo). Qui l’uso della macchina a mano ha un senso preciso. “Che cosa cercate? Qui non c’è niente!”, urla la donna che aiuta il ragazzo. Ed è proprio così: la fede, l’ideologia, le armi al servizio del nulla, di una visione di fondo vuota e svalutativa verso l’imprevisto dei corpi e delle esperienze reali, non controllabili dentro lo spazio chiuso dell’ordine e della gerarchia. 

Krab, Piotr Chmielewski, Polonia/Francia, 9’

Corto di animazione, in cui il protagonista è lo sguardo di un granchio e la rivincita di questo sull’uomo, dopo un naufragio.

Xiaohui he ta de niu/Xiaohui and his cows, Xinying Lao, Cina/USA, 15’

Corto ecologico, in cui viene messo in parallelo lo sguardo affettivo e radicato nella realtà del bambino con quello strumentale e sradicato degli adulti. Magnifica semi-soggettiva sul bambino che guarda il camion portare via il vitello lungo la strada che scorre accanto a una via di scorrimento veloce. Lo sguardo del regista si posa sulla natura e sullo spazio che esiste e viene percepito dal bambino nel viverci: i comportamenti stanno in relazione con uno spazio non del tutto antropizzato e strumentalizzato. I campi lunghi invitano a soffermarsi, a cambiare tempo di visione, ma insieme comunicano anche la sensazione di un tempo che sta per finire.

 Cui cui cui, Cécile Mille, Francia, 20’

Corto divertente e raffinato nella complessità dei livelli narrativi. Con una magnifica compresenza di naturale e artificiale, di gioco performativo e di dettagli e sfumature psicologiche, di volontà con cui determinare tutto e di sequenze in cui è il paesaggio a farsi soggetto e a guardare con mistero ed ironia gli affanni degli animali-dotati-di-linguaggio. Viene riconfigurato anche il mistero celeste: piano sequenza che dal “mix” procreativo puntato sul sesso della donna si sposta di 180° virando verso il cielo -cambio di prospettiva!

Rimane in mente anche l’immagine scelta per la locandina del festival, ma questa è un’altra storia…

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