Qui su Schermaglie credo di essere considerato un po’ un rompiscatole, e siccome è un po’ che non rompo – mi rifaccio vivo con una breve e ruvida recensione sul recente The Imitation Game.
Il film è un thriller, anche avvincente in alcuni punti, ma dal mio punto di vista è male impostato. Contiene tutti i canoni della buona scrittura di una sceneggiatura, l’incipit in sordina, gli alti e bassi, la preparazione della crisi centrale, l’acme, poi il riflusso fino all’epilogo.
Tutto giusto, ma banale.
Qui l’occasione invece era non solo ghiotta, ma proprio da leccarsi i baffi. Non sto discutendo di quanto il personaggio rappresentato sia fedele al suo modello originale storico. Discettare di questo in un film è quanto meno bizzarro, come quegli allocchi (perdonatemi il termine) che hanno discettato sulla veridicità storica de Il Gladiatore: completo misunderstanding.Un film è una storia il cui valore è tutto interno al titolo stesso, e non deriva da alcunché di reale. Come tutti i prodotti artistici, è opera di mimesi e contiene messaggi culturali. Altrimenti si chiamerebbe documentario, reportage o quello che volete.
Quindi Alan Turing ora non ci interessa, se non per il fatto che sia stato uno dei maggiori geni dell’umanità, che sia riuscito a concepire cose impossibili da concepire per gli altri uomini “normali”.
Questa è la chiave di accesso alla struttura del film. E viene dichiarata subito, proprio dal nostro personaggio all’inizio, e diventa anche la chiusura alla fine della partitura.
Solo che – grazie a dio – Turing era un Alieno. Era diverso strutturalmente, ma io credo che gli sceneggiatori sia siano tenuti alla larga da questo vortice narrativo, nel quale si sono appena affacciati. La genialità del personaggio (beninteso: non quello reale – di quelli ci siamo definitivamente disinteressati all’inizio) è risolta in una serie di rigidità mentali, incapacità di ironia, incapacità di cogliere i doppi sensi e le sfumature, che trasformano il nostro Eroe quasi in una macchietta.
Autrement dit: il pubblico vede la smorfia del genio, ma ne è tenuto alla larga, non penetra in quel cosmo caotico e confuso, terribile e meraviglioso, di cui i balbettii e i tic facciali sono la chiara manifestazione di uno sforzo immane del personaggio per il suo contenimento. E’ quel cosmo che mi interessa, e io chiedo allo sceneggiatore di farmelo annusare attraverso la pellicola, attraverso le immagini, che a differenza delle parole hanno la capacità di penetrare giù nel profondo, nell’animo, nell’inconscio, perché non devono pagare pedaggio a quella sorta di casello autostradale che è il filtro linguistico verbale. Le immagini e la musica saltano giù, direttamente nel profondo, e toccano le corde intime dell’es senza che le si possa preventivamente fermare.
Nelle immagini del film vedo un essere traballante e malfermo, che si impunta solo per fare (apparenti) canagliate, come il licenziamento in tronco si due membri del team. La musica è una via di mezzo fra Harry Potter e X-Files, come mi fa notare opportunamente mio figlio. No.
Vedo il film, mi appassiono all’azione drammatica, ma le mie corde non entrano in vibrazione.
Per farvi capire meglio il nocciolo della mia critica, metto in paragone arbitrariamente (e sadicamente, aggiungerà qualcuno) la scena clou di The Imitation Game con quella di Amadeus di Milos Forman.E perché non farlo? Due geni, due alieni, due vite brevissime, due epiloghi tristissimi. Tanti parallelismi.
Dunque, Mozart è sul letto, agli sgoccioli della sua vita. Turing è invece nella stanza di Christopher, il suo quasi-computer, ed ha capito il gioco di Hitler e dei sui cifratori. O crede di averlo capito. Noi sappiamo già che lo ha capito. Noi spettatori. E la scena fa il suo corso “normale”, come da manuale. Il montaggio e la musica ci portano al silenzio finale, alla macchina che si ferma perché ha trovato la soluzione.
In Mozart abbiamo invece lo specchio deforme, Salieri, che assiste il moribondo e lo spinge in uno sforzo superumano a vincere momentaneamente la morte pur di scriversi il proprio Requiem. Mozart comincia a spiegare a Salieri la Macchina di Turing, e anche noi, che siamo tanti bei Salieri, non sappiamo dove ci vuole portare, ma entriamo nella “fabbrica del genio”. Cominciamo anche noi a capire gli archi, le battute iniziali, i fiati, la tonalità trasversali, la sinfonia si compone sotto i nostri occhi, lo sforzo per stare dietro al genio tende anche i nostri muscoli, i nostri nervi. Che iniziano a vibrare e ad entrare in risonanza. E il gioco è fatto. Quello di Salieri sì che era un “imitation game” coi contro-fiocchi.
Lì scendevi nella scala del tuo animo per derivare la sciagura di aver perso tanto precocemente un talento formidabile, e in quanto tale rifiutato dalla ottusa società asburgica, proprio perché praticava la libertà totale.
E’ questa libertà del genio che fa paura. E’ questa libertà che noi non riusciamo più a concepire. E’ questa la sua alterità. Rappresentata da quell’odiosa e azzeccatissima risatina isterica di Mozart. Vorremmo risentire quella risata, al cinema. Perché servirebbe anche nella nostra vita di esseri umani.
Con Turing sembra di avere a che fare con un ragazzo quasi autistico. Per carità, anche commovente, ma i suoi doppi, i suoi specchi ideali, la signorina Clark poi sua (finta) fidanzata e lo scacchista, sono privi di carattere, immagini che scivolano via senza graffiarci dentro. E invece, nel momento clou, sarebbero dovuti uscire fuori per farci capire, attraverso la loro “storpiatura” (parallela a quella di Salieri) che razza di genio ci stavamo perdendo. Ma niente.
Eppure di materia ce ne sarebbe stata a valanga, inclusa l’omosessualità e il suicidio.
Insomma, un film dichiaratorio, non persuasivo. Un bel bicchiere di vino passito dopo cena, ma niente Armagnac. Poi, per carità, nel panorama generale può anche rifulgere. Ma – passatemi il paragone improprio – è come sostenere che il nostro premier Matteo Renzi abbia fatto un “capolavoro politico” nel fare eleggere democristiano di ferro quale nostro nuovo Presidente della Repubblica; o che il suo omonimo Salvini sia il nuovo leader carismatico del centro-destra. Dipende in confronto a che – siano rispettivamente un capolavoro o un leader. E se (ma solo se) il nostro secondo termine di paragone è il nulla, allora vi do ragione.
…sempre gradite fabrizio. osservazioni interessanti e coraggiose le tue.
Grazie delle tue parole, Stefania.
Nella premessa alla recensione leggi anche la mia coscienza di essere spesso fuori dal coro.
E’ evidente che io non sia un genio, ma il sapore della libertà si gusta sempre volentieri… non è coraggio, il mio: è pura gola.