UN ODE APPASSIONATA ALLA LIBERTA
Nel buio della sala, sullo schermo si accende una luce stroboscopica rossa; in un montaggio ultrarapido, appare il volto di una ragazza giovanissima che bacia il muso di un asino, mentre la cinepresa cambia di continuo d’angolo, creando una specie di collage cubista: siamo sulla pista di un circo. EO di Jerzy Skolimowski inizia così.
Giunto alla veneranda età di 84 anni, il regista che si era dedicato interamente alla pittura in questi ultimi anni, ritorna con un’opera visualmente straordinaria, non antropocentrica, liberamente ispirata al capolavoro di Robert Bresson Au hasard Balthazar (1966) a cui vuole rendere omaggio, dimostrando, ancora una volta, la sua inesauribile verve creativa.
L’eroe di quest’epopea mozzafiato è un quadrupede, un asino chiamato EO dallo sguardo docile e tenero, manso e talvolta imprevedibile. L’animale traversa, suo malgrado, montagne e cittadine, boschi e ruscelli, strade e contrade sperdute per arrivare dalla Polonia fino in Italia, incontrando lungo il suo cammino un campionario di varia umanità, uomini e donne diverse con cui dovrà fare i conti. Questo viaggio reale ed allucinatorio al contempo, filtrato attraverso un virtuosismo sfrenato ed impetuoso, è filmato adottando il punto di vista dell’animale.
Nel 2011 Jerzy Skolimowski aveva girato Essential Killing, un tour de force inimmaginabile, in cui il protagonista della vicenda impersonato da Vincent Gallo si trovava a dovere sormontare, ferito e braccato, montagne intere di neve, senza alcun mezzo e senza mai dire una parola, in uno stato semi-animale. EO capovolge questa prospettiva umanizzando l’animale e proiettandovi una mansuetudine e la purezza di un’innocenza assoluta. Se l’animalità dell’umano regnava in Essential Killing mentre l’umanità dell’animale campeggia in EO le due pellicole sono speculari nello descrivere una fuga in avanti, senza quartiere, una muta lotta per la sopravvivenza.
Con un’inventività ammirabile Skolimowski immagina il percorso dell’animale e il suo viaggio verso l’inevitabile, cospargendolo di eventi in cui la banalità del quotidiano diventa sorprendente.
Paradossalmente sono proprio dei manifestanti che si battono per i diritti degli animali a strappare EO dalla sua “casa”, il circo, e dal tenero affetto e dalle cure della bella equilibrista con cui faceva un numero sulla pista, per catapultarlo sulla sua via crucis.
Tutti gli animali del circo vengono cosi messi in un grosso furgone e partono per una destinazione ignota. Ritroviamo EO bardato a festa per l’inaugurazione di un grosso maneggio di cavalli. Se la cerimonia sottolinea il grottesco della situazione con i politici locali impettiti nei loro vestiti da festa e nella loro vanagloria, la cinepresa filma, sublimandone la bellezza il branco di cavalli purosangue che corrono sotto il sole; i loro movimenti sono filmati in slow motion e il loro pelo splende nella luce, mentre sembrano eseguire un’ignota coreografia.
Se EO inevitabilmente inceppa negli umani, i suoi passi lo conducono spesso nella natura, popolata da volpi, gufi, cani e da una miriade di insetti che l’obiettivo si attarda a filmare in primissimo piano per poi ripartire in una folle corsa attraverso alberi che si colorano improvvisamente di rosso nel cuore della notte, in una visione psichedelica che sfocia nell’alba. Facendo uso di diverse focali, Skolimowski sa filmare a rasoterra l’erba o gli oggetti che circondano EO con una leggera distorsione visuale che ci restituisce lo sguardo soggettivo dell’animale. In un film in cui le parole sono rare il suono e la musica assumono un’importanza preponderante e diventano il linguaggio stesso di EO accompagnandolo lungo il suo cammino, sottolineando ed esprimendo il suo stato d’animo. Al rumore della respirazione si alterna una colonna sonora dai toni magniloquenti, grandiosa e coinvolgente.
Le peripezie che traversa, si susseguono come i grani di un rosario, sul cammino di una fuga in avanti, come una serie di stati piuttosto che di fatti.
Cosi EO passa dall’allevamento di cavalli ad un centro-fattoria per bambini handicappati da cui si allontana, per attraversare una foresta ed arrivare fino ad un terreno di calcio dove si affrontano due squadre amatoriali. Mascotte della squadra vincente suo malgrado, EO ne paga le conseguenze. Quando nel bel mezzo della festa dei vincitori gli hooligans avversari si lanciano all’attacco colpiscono a bastonate anche EO, che cade a terra quasi morto. Salvato da un rifugio per animali, EO scappa di nuovo dando un calcio in testa al guardiano che sceglie i cani da sopprimere. Nella sua erranza EO finirà in un trasporto illegale di cavalli destinati ad alimentare l’industria degli insaccati in Italia, si salverà di nuovo ma il suo cammino finirà per condurlo verso l’ineluttabile.
In quest’universo rutilante, vibrante di suoni, forme e luci che sfiora a tratti la sperimentazione, centro di una narrazione a tratti allucinatoria EO caparbio e resistente, diventa un vero simbolo di libertà, come lo sono stati molti dei personaggi di Skolimowski lungo tutta la sua filmografia, offrendoci per ora, l’ultimo tassello di un’opera in perenne trasformazione formale ma sempre fedele a se stessa sui principi che la motivano e la nutrono. .