Dopo il Festival Internazionale del Film di Roma 2011 e 15.000 copie vendute in DVD, il documentario 11 metri di Francesco Del Grosso arriva nelle sale cinematografiche (a Roma al Politecnico Fandango).
La calorosa accoglienza sul red carpet e il buon ritorno sulla stampa al recente Festival di Roma lasciavano immaginare che il documentario di Francesco Del Grosso dedicato ad Agostino di Bartolomei possedesse le carte in regola per arrivare anche ad una piccola distribuzione nelle sale. La produzione però alla fine ha puntato ancora più in alto e il film uscì subito in dvd come allegato del Corriere dello Sport. L’abbinamento con un quotidiano sportivo forse rafforzava la simbiosi con un certo tipo di lessico giornalistico e isolava la lista dei possibili termini di paragone in una sorta di confronto ravvicinato soprattutto con lo stile ingombrante e inconfondibile del programma cult Sfide di Rai3. In generale però va riconosciuto che l’operazione ha avuto una forte valenza simbolica e ha avuto il merito di avvicinare il più possibile quello che è un sentito omaggio alla memoria di uno degli sportivi più amati degli ultimi trent’anni al cuore di un pubblico vastissimo, che negli anni oltretutto è sempre continuato a crescere, arricchendosi anche di tantissimi giovani che non hanno vissuto direttamente gli anni ottanta. In fin dei conti dalla nostra, non possiamo che accogliere con piacere un lavoro che rinnova e alimenta il mito di uno degli sguardi più profondi mai visti su un campo di calcio.
Non è un caso, che Agostino rimanga un fenomeno a parte nella storia della Serie A. Aldilà del talento sportivo, abbiamo difficoltà a ricordare un personaggio come lui passato alla ribalta per essere così chiuso e introverso, ma sempre capace di scatenare un affetto così trasversale e contagioso. Lo stesso regista Del Grosso limitando il ricorso alle immagini di repertorio sul rettangolo verde dà l’impressione di preferire soprattutto l’analisi umana e psicologica di una persona che aveva degli aspetti contraddittori (vedi il rapporto con la pistola), ma che costituituirà sempre un esempio di moralità in un ambiente corrotto e superficiale.
A rafforzare il tutto c’è la lista praticamente sterminata di amici e compagni di gioco che intervengono nel film per testimoniare il loro ricordo del capitano del secondo scudetto giallorosso. Dai colleghi di squadra, all’immancabile Venditti, al grande massaggiatore Giorgio Rossi (altra figura che meriterebbe un vero e proprio kolossal) il film è un vortice di aneddoti e considerazioni che spesso esulano dal calcio per delle analisi profonde sulla società e il costume dell’epoca, come nel caso dell’intervento di Curzio Maltese. Il giornalista di Repubblica ha anche il merito di lanciare lo spunto per una riflessione sull’attentissima rielaborazione che Sorrentino con il suo Antonio Pisapia fece proprio di Agostino nel suo bellissimo Uomo in più.
Aldilà della parabola drammatica di un uomo lasciato colpevolmente solo, sono quasi maniacali i dettagli del rapporto tra l’ex giocatore e il vecchio allenatore (Nils Erik Liedholm), e i riferimenti strettamente tecnici, di un giocatore talmente dotato di piede che se messo in difesa aveva la possibilità di far disporre la squadra sempre in superiorità numerica.
‘Il calcio è un gioco e lei è una persona fondalmentalmente triste’, è una frase assolutamente emblematica e che sarà bruciata anche nell’animo pulito di Di Bartolomei, angosciato probabilmente dal fatto che l’ambiente di allora preferirì premiare con ruoli dirigenziali tanti giocatori che si erano macchiati precedentemente dello scandalo scommesse.
Il film ha una parte importantissima anche nello sviscerare il rapporto del campione con i suoi figli. Questi aspetti però sono talmente intimi e intensi nel racconto di Luca e Gianmarco che possono solamente essere rispettati con pudore. Come in una sorta di due minuti di vero silenzio che nessuno stadio italiano riesce mai ad onorare.
Temiamo che dopo un personaggio del genere e Zeman, guardacaso due figure silenziose, sono finiti i protagonisti di uno sport a cui si possono dedicare storie così intense.
Siamo fatti così, ci accorgiamo del valore di un uomo solo quando non c‘è più.
Forse con questo riscontro, avuto poi, si sarebbe salvato.
Ciao Ago