[**] – Una separazione di Asghar Farhadi arrivato ora in sala, ha trionfato all’ultimo Festival di Berlino, aggiudicandosi l’Orso d’Oro, il premio per la Migliore Interpretazione Femminile e quello per la Migliore Interpretazione Maschile attribuiti entrambe all’insieme del cast. E’ stato certo un riconoscimento del valore artistico della pellicola, ma questio premi vanno anche letti, nel contesto politico attuale, anche come un forte segnale di solidarietà.

Una separazione è la storia di una coppia in crisi che in seguito ad un incidente fortuito si trova presa fra gli ingranaggi della giustizia. Una fitta rete di menzogne, manipolazioni e confronti pubblici rende arduo il cammino alla ricerca della verità. Farhadi sviluppa qui un cinema di idee sondando le implicazioni morali, giuridiche e ideologiche del concetto di verità. Cos’é la verità e come si può definire? Il semplice fatto di tacere appartiene anch’esso alla sfera della menzogna? Quando é consentito mentire? La bugia può essere considerata come un atto di carità? La verità é una sola o ci sono varie verità, secondo i punti di vista di ciascuno? La verità possiede un valore oggettivo o può essere considerata, in fin dei conti, come un’opinione soggettiva? Tutte queste questioni vengono sollevate nel corso del film.

La trama di Una separazione descrive una realtà complessa, piena di ribaltamenti continui, di sfaccettature caleidoscopiche, in cui i fatti e le circostanze cambiano senza sosta, creando una serie di reazioni a catena e svelando, ad ogni svolta, delle prospettive insospettate. Un riassunto dettagliato del film é quasi impossibile: Fahradi costruisce, attraverso una fitta rete di dialoghi, una storia estremamente articolata in cui, intorno al tema centrale della verità, si sviluppa una moltitudine di questioni diverse.

La vicenda inizia con un’udienza in tribunale: una coppia, filmata frontalmente, si trova davanti al giudice. La donna – Simin – vuole separarsi dal marito – Nader – che non intende più emigrare con lei. L’uomo ha deciso di restare in Iran perché vuole prendersi cura del padre, malato di Alzheimer. Simin si propone invece di partire all’estero per garantire a sua figlia un futuro migliore. Il giudice considera queste ragioni insufficienti e non concede loro il divorzio. Più per ripicca che per vera convinzione, Simin lascia il tetto coniugale e va a stare dai suoi. Nader si ritrova, da un giorno all’altro, a dovere badare da solo al padre malato e alla figlia quattordicenne – Termeh  – che lo adora ed ha preferito restare con lui.

L’uomo ricorre all’aiuto di una governante – Razieh – che viene a lavorare portandosi dietro la figlioletta di cinque anni. Ben presto però la situazione precipita: un giorno Nader tornando a casa trova il padre solo, svenuto, legato al letto e constata che mancano dei soldi. Di fronte ad una tale situazione l’uomo, calmo e posato di natura, perde improvvisamente la testa e butta Razieh fuori di casa a spintoni. La donna sembra essere scivolata su un gradino e – almeno così pare all’inizio – in seguito a questa caduta perde il bambino che stava aspettando. Nader viene accusato di omicidio involontario dal marito della donna – Hodjiat – un giovane uomo disoccupato da tempo, amareggiato e collerico.

A partire da questo momento in poi assistiamo ad una girandola di affermazioni e contro-affermazioni; man mano tutti si ritrovano ad essere, a turno, colpevoli ed innocenti. Ognuno sostiene di volta in volta di dire il vero, ma tutti mentono o omettono, più o meno consapevolmente, dei fatti. Per Nader queste vicissitudini non sconvolgono solo la sua vita , ma intaccano in modo considerevole anche l’immagine che sua figlia ha di lui.

una separazione filmCome accade anche nelle pellicole precedenti del regista il finale resta aperto: “Voglio che l’interpretazione del film sia lasciata ad ogni singolo spettatore – ha detto Asghar Farhadi nel corso della conferenza stampa – penso che il nostro mondo abbia bisogno molto più di domande che di risposte. Le risposte ci impediscono di pensare con la nostra propria testa”. Trattando di problemi morali Farhadi descrive la realtà sociale del suo paese in tutta la sua complessità e contraddittorietà, rivelandoci le tensioni che la agitano. “La società iraniana contemporanea – ha spiegato il regista – porta in sé una scissione molto insidiosa fra la classe media degli intellettuali progressisti, rivolta verso il futuro ed una popolazione povera, molto religiosa, legata ai valori tradizionali. I primi vogliono dei cambiamenti, i secondi invece sono fedeli allo status quo. Nel film le due coppie rispecchiano la problematica di queste differenze sociali ed ideologiche”.

Questa lotta fra passato e futuro, tradizione e modernità sembra, ad un altro livello, intaccare profondamente anche il mondo interiore del protagonista: la sua crisi esistenziale si riflette in un completo disorientamento etico e diventa segno palese di un’epoca di transizione. Asghar Farhadi ha scritto questa storia dall’esito sconosciuto con un rigore degno di nota ed un senso per la drammaturgia che rendono il dibattito appassionante. Il regista riesce a tessere un’infinità di differenti filoni argomentativi in un insieme coerente e comprensibile mantenendo il flusso discorsivo costantemente sotto alta tensione. Alla ricchezza formale della sceneggiatura corrisponde una messa in scena di grande precisione che si basa sul gioco costante fra ciò che possiamo udire e ciò che non ci è dato vedere. La macchina da presa segue i personaggi nel loro parlare e spostarsi continuo all’interno della casa, in macchina e nei vari edifici pubblici, mentre delle porte si aprono e si chiudono al loro passaggio, lasciando filtrare, ma solo in parte, l’accadere. Con una grande fluidità e con una sensibilità spiccata per la coreografia dei movimenti, l’obiettivo mantiene una distanza quasi sempre costante rispetto ai corpi, privilegiando i piani medi, un tipo di inquadratura particolarmente cara a Fahradi, che crea un’atmosfera di intimità e di prossimità con i personaggi senza mai aggredirli.

Una separazione è un film corale intepretato da un gruppo di attori eccellenti; il regista che proviene originariamente dal mondo del teatro, cura la recitazione con una passione viscerale. Attraverso un lungo periodo di prove prima delle riprese Fahradi è riuscito ad ottenere delle prestazioni vibranti, sensibili, dotate di una grande naturalezza. Per la cronaca, il ruolo dalla figlia 14enne, è tenuto dalla figlia del regista qui al suo esordio cinematografico. Il film è senza dubbio il lavoro più complesso e più maturo di Farhadi: la sceneggiatura, costruita come uno straordinario meccanismo è animata dalla finezza dell’introspezione psicologica e il ritmo incalzante del montaggio ci tiene col fiato in sospeso dall’inizio alla fine. Nonostante tutte queste qualità al film manca, a mio avviso, il tocco poetico ed elegiaco di About Elly, un’opera certo meno perfetta ma, proprio per questo, più seducente. Inoltre la tensione costante e la densità della narrazione risultano a tratti faticose. Non bisogna dimenticare che si assiste a due ore di conversazioni ininterrotte, condotte spesso con toni alquanto accesi, qualche spiaggia di silenzio, di tanto in tanto, sarebbe stata auspicabile.

2 Replies to “Una separazione di Asghar Farhadi”

  1. Ciao, a me è piaciuto moltissimo, e la cosa che più mi ha colpito è il discorso sulla differenza e il conflitto tra i due generi, più che quello sulle classi (anche il “progressista” è tradizionale: sia nel suo negare le proprie colpe, che addirittura chiede alla figlia di assumersi, sia nel suo dare cura solo al padre, che rappresenta la tradizione, e alla figlia, che è chiaramente in una situazione di soggezione). L’immagine finale è con il protaginsta in primo piano e la moglie sullo sfondo, è quindi probabile che le colpe (ed è chiaro che queste dovrebbero trasformarsi in responsabilità consapevoli)non sono equivalenti Proverò maagari a spiegarmi meglio scrivendo qualcosa.

  2. Il film è bellissimo perché tiene insieme, senza mai abbandonarsi a facili retoriche o a compiacenti narrazioni, tutte le realtà della storia, tutti gli avvenimenti che accadono; non sottacendo né amplificando i piani intimi, anche se apparentemente sono riportati al suo interno quasi solo come partitura contrappuntistica, ma solo apparentemente. È una sorta di sinfonia del reale, colto nell’immediatezza del suo svolgersi e nella sua necessità a rappresentarsi, nelle verità profonde e universali che incontra e che espone nude e senza commenti superflui. Mi ha lasciato la sensazione di una costruzione dalla quale nulla si può togliere o aggiungere senza farle perdere l’equilibrio e la perfezione che raggiunge (concetto di per sé logoro se vogliamo, ma non per questo meno concreto). Certo questo può sembrare un limite, e intrinsecamente lo è, anche se il finale apre spazi di interrogazione e di desiderio di continuare l’esplorazione personale delle suggestioni vitali che si incontrano.
    Verrebbe quasi da dire che il film è troppo perfetto, ed è questo l’appunto che muove Giovanna, anche se veramente non si può dire che sia faticoso; ma si può dire di un’opera artistica che sia troppo perfetta? Non è invece un nostro limite? Me lo chiedo e penso che lo andrò a rivedere.
    La relazione o meglio il conflitto tra i generi è centrale, ha ragione Alessia, quello che mi ha colpito di più però è la sofferenza della figlia, incastrata tra un meccanismo di ricerca di verità e percezione limpida della stessa e la necessità di autoprotezione e di saldezze affettive. La figura più potentemente poetica del film.

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