Il titolo (italiano) potrebbe essere quello di un romanzetto rosa, il trailer prospetta un thriller dalle venature noir, il manifesto ufficiale (in primo piano Ben Affleck, di spalle e in piano americano, che guarda in basso mentre la sua figura è sovrastata da un minaccioso cielo plumbeo) sembra annunciare un sequel di To The Wonder di Malick. E in effetti dopo la visione si conferma uno strano oggetto questo ultimo lavoro di David Fincher, regista diseguale e ambiguo ma certamente centrale nel cinema americano degli ultimi vent’anni. Gone Girl – L’amore bugiardo è molti film dentro uno solo, e si fa fatica a dirne senza rivelare troppo, così come ad assegnargli una qualsiasi etichetta.
Tutto ruota attorno ad Amy (Rosamund Pike) e Nick (Affleck), coniugi quarantenni o poco meno, legati da una storia d’amore che dall’idillio dei primi tempi è diventata negli anni reciproca tortura, aggravata dalle strette della crisi economica. Il film si apre, nel giorno del quinto anniversario del loro matrimonio, con la scomparsa improvvisa e misteriosa di lei, che dà l’avvio a un’indagine di cui il marito diventa presto l’indiziato numero uno. A sospettare che Nick abbia ucciso Amy non c’è solo la polizia locale ma l’America tutta, pronta a linciarlo dal divano di casa mentre la tv trasmette morbosamente tutti gli sviluppi del caso. Dettagli via via più scabrosi sulle vite dei due vengono fuori, aprendo il sipario su un letale gioco al massacro in cui nulla è come si presenta a un primo sguardo.
La sceneggiatura, scritta da Gillian Flynn a partire dal suo bestseller omonimo del 2012, caso letterario negli Usa con più di sei milioni di copie vendute, mette sul piatto tali spunti e colpi di scena da rischiare il fuori giri. Thriller, commedia nera, apologo contro i mass media, instant movie sulla crisi, beffarda riflessione sulla vita di coppia, questo e altro è Gone Girl. Ma a guardare bene, al netto di qualche esitazione nella parte finale, Fincher si districa tra i cambi di registro e dà la sensazione di mantenere sempre, lungo tutti i 150 minuti, il fuoco del film, ciò che gli interessa davvero: svelare i sistemi di apparenze, multipli e contrastanti, che dominano i rapporti tra gli uomini. È come se la varietà delle situazioni e dei punti di vista messi in campo gli servisse per indagare e svelare l’intera gamma dei meccanismi della manipolazione su cui si fondano le relazioni umane nei diversi ambiti in cui si situano: nell’intimità della coppia, in famiglia, all’interno del gruppo dei pari, sotto i riflettori dei media.
Siamo pienamente dentro la politica dell’autore Fincher, che sin dal folgorante Se7en è aduso a mettere in piedi dei complessi congegni a orologeria, apparentemente perfetti, per poi smontarli davanti ai nostri occhi e indurci a riflettere – persino didatticamente – sul loro funzionamento. In Fight Club la struttura era il parto diretto di una mente malata, in Benjamin Button l’inesorabile vita al contrario del protagonista, e così via.
Qui il regista californiano arriva a indicare l’intera costruzione delle nostre identità come strutturata sulla menzogna. Ed è interessante, forse sorprendente, che il mezzo primario attraverso il quale in Gone Girl si istituisce un’apparenza, la si rende credibile e la si perpetra è, prima ancora dell’immagine, la scrittura. L’iper-tecnologico Fincher restituisce alla carta e alla penna l’analogico potere di inscenare vite, a partire dalla mirabile idea (probabilmente, invero, da ascrivere alla Flynn) di Amy come protagonista di un romanzo finto-vero scritto dai suoi genitori e ispirato alla sua vita. Quando poi la parola si fa complice dell’immagine per realizzare l’inganno, l’allegro mostruoso gioco di Fincher si compie appieno: Hitchcock, Paura in palcoscenico, docet.
Ecco ancora la parola, gioco. Quanto il regista sia interessato umanamente alle vicende dei suoi protagonisti, e non li usi piuttosto per la mera funzione che ricoprono nel suo proprio ingranaggio, rimane un dubbio legittimo. Ma questa è la natura del suo cinema, gioco astratto e mentale – forse cinico, prendere o lasciare – che si muove diverse spanne sopra le teste di Amy, di Nick e le nostre.

One Reply to “L’amore bugiardo – Gone girl di David Fincher”

  1. Di sicuro cinico all’intento temo, distonico levigatissimo implausibilissimo il GG di Fincher, che reca il marchio di una scena ‘gore’ tra le peggio sostenibili di sempre. Una coppia assortita male – ossia fin troppo bene a fini d’intreccio – a campeggiare tra tv giornali e salotti chiacchieranti come nel BigEyes di Burton, rinascita dai toni nerogrigi blugotici ai pastelli squillanti che non illuminano o rasserenano le anime sofferenti, su cui si aprono profondissime cavità oculari che ci fissano senza scopo. Visti in rapida successione, da rimarcare resti il principale elemento (esogeno) di valore delle due visioni: il mitico posticino H4 della nuovolimpia-B, metà sinistra della confortevolnicchia sporta sul mondo di cinematici incubi e deliri; la troppo avvolgente salA non avrebbe reso giustizia a Finch&Tim, impegnati a trasmetterci la loro disturbata e disturbante concezione dei rapporti con l’assurdo dell’altro da sè (mentre gli umani organi inquirenti e giudicanti si affannano a cercar dipanare la matassa, in termini polarizzati insufficienti di colpevole-innocente danneggiato-danneggiante).

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