Mercoledì 5 Marzo Omaggio a Carlo Mazzacurati al Cineclub Detour (Via Urbana, 107 – Roma): una serata di proiezioni, immagini, commenti al cinema di Carlo Mazzacurati, da Notte italiana in avanti. Aperitivo dalle 19.30. (Per informazioni e prenotazioni schermaglie@gmail.com)
Ci sono già i luoghi di Mazzacurati in Notte italiana: quella bassa veneta di un rosa fermo al tramonto, o di un verde ramarro d’estate, oppure di un arancio lucido in un’alba nebbiosa e disabitata, di zolle fumanti marrone scuro, che accompagna lentamente il grande fiume fino al mare, e i personaggi del regista nella loro affannata esistenza. Quel Polesine malinconico che si  dissolve nell’Adriatico, e che ospita certe vite appese a se stesse, sottili e perdenti, che stanno in piedi per un soffio, escluse dal gioco dei vincenti, espulse da certo benessere sfrenato e violento di quelle parti. Perché il paesaggio è fondamentale nel cinema di Mazzacurati, facilmente quella “sua” campagna sciolta dal fiume e morsa dal mare, terra di acqua e di colori, tanto amata e mai idealizzata dal regista se non per una grande e naturale bellezza. Mai adoperata come garante della felicità umana, perché il cinema di Mazzacurati è antropocentrico e realistico, è di osservazione civile e passione umana; e non è che la campagna morbida e luminosa, come nel lontano cinema fascista, possa essere il luogo della rettitudine morale, dei sani princìpi e del giusto mentre la città il luogo del vizio, del degrado morale e della perdizione.

Macchè! Per Mazzacurati, già da Notte italiana il male e la bruttezza sono nella carne dell’uomo, al di là dei posti che abita. Allungano le radici affilate nella città grigia e rumorosa come nella poetica ed antica pianura che nasconde casupole di intonaco sbiadito tra le canne e la palude. Là in mezzo, nascosto tra una pompa di benzina e una roulotte arrugginita, va formandosi lo stesso quel comportamento umano gravemente fuori legge e criminale della speculazione edilizia e dell’illecito, dell’omicidio e del danno grave alla comunità. Certo, poi la natura del Polesine è forte tanto da contagiare il viaggiatore attento, che può addirittura utilizzarla per scoprire una profondità nuova di se stesso, certi estremi comportamentali come nascosti in un inaspettato doppio fondo di coraggio e di grandezza d’animo. Accade all’avvocato Morsiani di Notte italiana, per esempio, un Marco Messeri mai più così protagonista e forse mai più così bravo. Trova la forza, quell’avvocato onesto di provincia urbana, di rimanere tale anche davanti alla tentazione più concreta, e riesce, alla fine di quella lunga notte dell’87, a separare il bene dal male, a salvare la bellezza di una giovane e suo figlio, innamorandosi di loro prima che il futuro li inghiotta. Come se ci fosse un’energia nascosta in quella terra così di casa nostra, italiana come la notte di Mazzacurati e lontana dalle altezze di Malick, perché terra molto più terrena, anche se poi si sente Hopper e tanto cinema americano. È la stessa terra di aspra e concreta bellezza che ospita dieci anni dopo un altro film del regista: L’estate di Davide, doloroso romanzo di formazione vissuto di nuovo lungo il delta di un Po che impotente osserva l’incontro di tre giovani destini infelici, senza riuscire a regalare loro un finale conciliatorio. Davide non ha nemmeno vent’anni e viene da Torino. È solo, e quasi senza accorgersene tocca la bellezza di quella pianura a riposo e ne sente la bellezza viva, avvicinandosi, però, inevitabilmente anche a certe solitudini che vi sono dentro. La felicità gli scappa di mano come un’anguilla di quelle parti, più veloce di un’estate la sua vita si fa drammatica, col sole ancora caldo su quell’orizzonte di pannocchie e di canali. Davide incontra alcuni pezzi del grande paesaggio culturale dipinto da Mazzacurati coi suoi film, quel lungo album di fotografie su un piccolo mondo che cambia, e non in meglio. Eccole nei bar le facce del regista, la sua gente bella e brutta, nei retro delle cascine, nelle officine e nelle locande della pianura. Primi e ultimi di uno stesso contesto, su un motoscafo a ridere grasso, al sicuro in una bella automobile, lungo il fiume e nei locali di sera di quel grande spazio ai margini che certe volte sembra l’America, anche se l’America non ha quelle stradine piccole che camminano sopra i pioppeti. Con Notte italiana Mazzacurati racconta la sua pianura ai margini lungo la vigilia di un grande cambiamento. E più tardi la racconterà di nuovo, quando i giochi sono irrimediabilmente fatti. Davide, nel 1998, incontra altre vite come la sua dopo quelle impattate una decina d’anni prima dall’avvocato Morsiani. Era un mondo in agonia quello di Notte italiana, colto alla vigilia di un angosciante e irreversibile addio. Quella notte era l’ultima, dal giorno dopo il vecchio sarebbe stato definitivamente ammazzato e il nuovo sarebbe stato sempre più feroce. Quello di Davide è appunto il “nuovo”, con le guerre di un altrove vicino e i cambiamenti politici che hanno portato lungo il fiume lingue e facce diverse, accolte con silenzio e diffidenza, messe a irrobustire il gruppo degli invisibili, delle altre vite da retrocessione che parlano un italiano doloroso. Accade di nuovo nel 2000, che la laguna veneta infuocata d’acqua immobile accolga la disperazione di due ultimi, accarezzi le loro ferite, come un’acqua santa che dà sollievo agli ammalati. È La lingua del santo, con due poveri ladroni improvvisati che raccontano un Nord Est adesso ricco e durissimo per i fragili, per i soli, per chi è inciampato in se stesso e quando ha chiesto aiuto non ha trovato che insulti e indifferenza.“È uno dei posti più ricchi del mondo – dice Bentivoglio riferendosi a Padova nel film – fattura come l’intero Portogallo, ma se non hai i soldi non c’è mica pietà!”.  E accade di nuovo vent’anni dopo Notte italiana, nel 2007, che quella pianura su cui corrono ricchezza ed inquietudine veda scoppiare all’improvviso la facilità del male. E lo guardi silenziosa e non indifferente, mentre la comunità impaurita e feroce s’accanisce sul più debole, sullo straniero, sull’altro, sul diverso, sul capro espiatorio che la rinforza. Tra le solite stradine a perdersi nei pioppeti e nei campi, sui lenti battelli che galleggiano sul fiume, tra la poesia di Olmi, Bertolucci, Antonioni, senza dimenticare certo cinema americano, ecco la La giusta distanza del 2007, dove una bellissima maestrina toscana arriva a scomporre il fragile ordine di quello spazio di confine, fino a che muore ammazzata di notte, e la colpa, anche se non c’entra nulla, la danno tutti a un arabo che vive da quelle parti, da tempo e in regola, “integrato” in un’officina di automobili dalla mattina alla sera. Confine, abbiamo detto, non solo spaziale, ma anche del tempo. Notte italiana racconta un Paese, e forse un mondo, che stanno silenziosamente mutando, profondamente cambiando, ancora di più degenerando. C’è molto più di un grande fiume tra il passato ed il futuro di quella terra tutta a Nord Est. C’è un bicchiere di grappa casareccia che forse è l’ultimo, c’è un flipper che sta per cedere il passo a un videogioco, c’è un antico modo di pensare che sta per essere sepolto. C’è una cultura a forte rischio inquinamento, in pericolo come quel paesaggio puro e sempre più piccolo. C’è uno stare di Mazzacurati sul confine del tempo che ritroveremo poco dopo in quella “trilogia dell’Est” (di un Est più grande) composta da Un’altra vita, Il toro e Vesna va veloce. Tre film sulla fine del comunismo, tre film su quell’Italia già in crisi economica e di valori dei primi anni ’90. Mazzacurati è stato sensibile alle trasformazioni sociali ed ambientali delle sue terre: del suo Polesine, del suo Veneto (raccontato anche coi ritratti di Marco Paolini, Andrea Zanzotto e Luigi Meneghello), dell’Italia tutta e dell’intero mondo. Ha raccontato con la sua lentezza poetica e con la sua costanza civile la direzione ostinata del presente. La sua macchina da presa ha mostrato con preoccupazione il crescente vuoto di valori nei posti del suo amore. Il suo grido è stato sottile ma profondo, qualche volta ironico, ma la sua passione per i disgraziati ed i più deboli, nostri e di altri paesi, ha costruito un continuo presente che è oggi Storia attraverso il cinema, reportage di un mondo in disordine già da quella simbolica Notte italiana del 1987. Mazzacurati ha detto già dal primo film che i sentimenti umani, l’amore o l’amicizia, possono salvare la vita o in ogni caso ridarle senso profondo. La loro assenza, al contrario, la loro negazione può uccidere più velocemente di ogni altra cosa. Non vale solo per quei perdenti e disperati fuorilegge protagonisti del Toro, o per quei l
adracci di sante reliquie de La lingua del santo, ma anche per l’avvocato Morsiani di Notte italiana, per un regista in crisi di identità che trova, grazie al sorriso di qualche ultimo, la svolta per riprendere il cammino (La passione), vale per il dentista romano di Un’altra vita. Guai a non lottarci per un rapporto umano autentico, specialmente in un mondo amaro come quello dei film di Mazzacurati. Non è essere conservatori, non è rifugiarsi nel privato e chiudere le finestre.
È ripartire dalla qualità delle relazioni, dagli affetti, e poi andare oltre. 

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