Domenica 4 luglio, alle ore 19, presso il Caffè Letterario di Roma, si è svolta la serata di premiazione della prima edizione dell’Indiecinema Film Festival che , nel corso di questi mesi, ha offerto e continua a offrire la possibilità, sulla piattaforma digitale Indiecinema,di scoprire e vedere un ‘ampia, variegata ed interessante proposta di cinema indipendente non solo italiano, ma anche internazionale. Dopo tante visioni in streaming e confronti virtuali con gli altri membri della giuria , di cui ho avuto il grande piacere di fare parte (Michela Aloisi, Emanuele Di Nicola, Nadia Zavarova e Marks Mattoni e il presidente Franco Bocca Gelsi, tutti stimati addetti ai lavori, che tra l’altro hanno esperienze in linguaggi, sensibilità e competenze differenti) è stato emozionante ritrovarsi in un luogo fisico a confrontarsi dal vivo con gli autori dei film vincitori nelle tre sezioni competitive (lunghi, corti e documentari), con in più un premio speciale per la colonna sonora dedicato alla memoria di Maurizio Principato, recentemente scomparso, personalità poliedrica del mondo del giornalismo e della cultura e “voce” storica di Radio Popolare, dove ha portato tutta la sua passione e la sua conoscenza per la musica.
Fortemente voluto dal direttore artistico del Festival , Stefano Coccia che, assieme al filmaker indipendente Fabio Del Greco, ha coraggiosamente dato vita a questo nuovo spazio per dare sempre maggiore e continua visibilità a un cinema che passerebbe altrimenti inosservato ( con la possibilità, tramite la piattaforma on line, di raggiungere un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo), questo evento in presenza non è stato solo l’occasione per celebrare degnamente i vincitori ( scelti dopo un’attenta e anche complessa discussione vista la qualità e la ricchezza delle proposte in tutte le sezioni), ma anche un momento per fare il punto su un’idea, anzi su una visione di cinema, quello indipendente appunto, che sembra ormai essere il riferimento produttivo, estetico e narrativo per chi vuole cominciare un percorso autoriale, sperimentale, personale; fuori dagli schemi e dalle regole di un’industria più strutturata che comunque, e ormai da tempo, sembra avviata verso un inevitabile declino.
Il pubblico presente nell’allestita sala proiezioni ha potuto visionare, dopo l’assegnazione dei premi e la lettura delle motivazioni, le tre opere premiate. E mi fa piacere tornare a citare titoli e autori, così come le parole del perché in quanto giuria abbiamo scelto proprio quei film , trovandoci piacevolmente costretti ad aggiungere svariate menzioni speciali per categoria, proprio per non escludere, ma per valorizzare la fecondità e la qualità di ciò che abbiamo visto.
Cominciamo con il miglior film , L’ultimo tango-Spaghetti Noir di Giuseppe Iacono:
“Vincitore per la capacità di mettere in scena con un budget adeguato e contenuto, in maniera ironica, il noir, mixando generi diversi in modo intelligente e giocando con gli stereotipi in modo coraggioso, restituendo, attraverso una narrazione a tratti leggera, un’immagine fresca del cinema italiano”.Una scelta che ha valorizzato dunque la (ri)scoperta capacità del cinema italiano di rappropriarsi di codici linguistici e narrativi non autoctoni , come si è cominciato a fare negli anni ’70 e si è proseguito fino a un proliferazione nell’epoca del post moderno, e contaminarli con il proprio gusto e la propria sensibilità (in questo caso la commedia all’italiana e l’arte di arrangiarsi partenopea) , anche con audacia, al limite tra la parodia e il grottesco.
Ma dalla stessa sezione sono state segnalate opere , con suggestioni differenti, che percorrono strade anche diametralmente opposte: è il caso de Il Metodo Kempinsky di Federico Salsano “Menzione per la modalità fascinatoria delle immagini, l’originalità delle metafore e un’inclinazione impressionista. Libero anarchico senza coordinate”.Un cinema di mare e di viaggio, che ibrida documentario, racconto autobiografico e anche un elemento fantastico e visionario (meno narrativo in senso stretto, più pervasivo in senso estetico).
E ,sulla stessa linea, abbiamo fatto la scelta di citare Occidente di Jorge Acebo Canedo “per il prezioso lavoro sulle origini del linguaggio, della cultura, dell’umanità, attraverso una trama narrativa ed un linguaggio esteticamente ricco, ipnotico, forte”. Sicuramente l’opera più articolata e ambiziosa di tutta la manifestazione, ma anche quella che ci ha messo di fronte al significato di questo festival , in quanto chiaramente dotata di un budget economico che ha permesso di tradurre certe idee complesse e affascinanti in una realizzazione tecnicamente più riuscita. E, a parità di ispirazione, per il primo premio ha prevalso l’inventiva di chi ha invece sopperito alla mancanza di soldi.
Un discorso che si è fatto ancora più specifico nella categoria dei documentari, proprio a cominciare dal vincitore, Il filo dell’acqua di Rossana Cingolani.“Vincitore per il modo in cui racconta un figura complessa dal punto di vista antropologico e socio-culturale come quella del “maestro”, calata in un contesto di quotidianità, mettendone in risalto sia l’aspetto l’educativo che quello archetipico, attraverso una forma cinematografica semplice e profonda, che restituisce tutte le caratteristiche del personaggio e della realtà da cui proviene , con un linguaggio lineare, lucido e chiaro, senza rinunciare a momenti evocativi e suggestivi”.Anche in questo caso a convincerci è stata la capacità dell’autrice di trovare , oltre il limite materiale, il mood, l’afflato, la sintonia con una figura mitica e segreta come quella di Chiara Vigo , Maestro in Sardegna non solo dell’antica arte della tessitura con il filo ricavato dal bisso di mare, ma anche custode di un rapporto con il tempo, con lo spazio e con la memoria.
Aspetti che, coerentemente con una linea di ragionamento e discussione, hanno toccato le motivazioni delle due menzioni speciali : Il conte magico di Marco Melluso e Diego Schiavo “Per l’originalità e l’equilibrio della messa in scena e la rappresentazione esoterica di una città attraverso una chiave steampunk e un linguaggio ironico e misto adatta al contemporaneo, accompagnato da un’ottima colonna sonora” .Una ricostruzione caledoiscopica, metalinguistica e scanzonata di un personaggio realmente esistito (ma che qui pare inventato da un immaginario steampunk, appunto ) come Cesare Mattei ,omeopata, alchimista, scienziato e filantropo, a suo modo anche lui, come la Viganò , uno sciamano della cura tra passato e futuro.E proseguendo su questa direzione ci spingiamo ancora oltre con il sogno di Omero di Emiliano Aiello scelto “Per l’audacia e il coraggio nel raccontare una condizione come quella della cecità, trasfigurandola nell’atto della costruzione di un’immaginario che si fa esperienza della visione cinematografica attraverso un linguaggio che ripropone questo processo, alternando lucidità e poesia” : in questo caso ad essere rappresentato non è più un personaggio, ma proprio la più sciamanica, magica e misteriosa delle capacità , una sorta di sesto senso, l’iperbole più affascinante: vedere senza poter vedere.
E dalla necessità di trovare una visione, passiamo nella categoria corti, con il vincitore In the land of morning calm di Alessandra Pescetta, al bisogno di far vibrare la propria voce:“Vincitore per la capacità di rappresentare, con una sensibilità potente e delicata al tempo stesso ed una notevole capacità simbolica e di sintesi, un viaggio sensoriale nelle profondità dell’anima tra il mistico e l’onirico, trattando la tematica del lutto dalla giusta distanza; il tutto utilizzando linguaggi tipici di una sensibilità asiatica pur essendo europea, dalle immagini alla colonna sonora”.Anche qui, come avviene specularmente ne il filo dell’acqua ,ci ha colpito l’affinità quasi simbiotica, il calarsi in maniera verticale della regista non solo dentro il percorso di ricerca interiore della protagonista, ma anche dei luoghi e dei tempi, il tempo disteso come le vibrazioni che compongono la maglia sottile del “mattino calmo” del titolo.
Ritorniamo ad un approccio più narrativo con le prime menzioni per i corti Elephantbird di Masoud Sohell “per il capace approccio registico nel raccontare un macrocosmo, la triste realtà di un paese devastato dalla guerra, attraverso il microcosmo di un viaggio in autobus”. e Neokosmo di Adelmo Togliani “per la curata messa in scena, anche attraverso le atmosfere e la colonna sonora, di un contemporaneo alienante futuribile”, che hanno in comune il racconto inteso come metafora, nel particolare di un luogo/non luogo (l’autobus) per Elephantbird e di un tempo distopico (il futuro) per Neokosmo, con la chiara focalizzazione su una problematica attuale e vicina (rispettivamente, la ricerca di una stabilità e di un equilibrio nei “paesi-polveriera” del Medio Oriente, la deriva della realtà virtuale), per tornare ad un approccio più sperimentale con Closed Box di Riccardo Salvati e Gianfranco Boattini “per l”originalità del linguaggio nella rappresentazione dell’alienazione dell’immaginario borghese” , che racconta , attraverso la (de)costruzione di immagini iconiche riecheggianti l’ovattato e limitante mondo pop domestico degli anni ’50 ( le serie Mad Man e Wanda Vision, per capirci) e il relativo bisogno di un’orizzonte più aperto e libero.
Per quanto riguarda il premio della colonna sonora, sarebbe stato sicuramente felice Maurizio Principato di assegnare un premio a suo nome a Massimo Zamboni , leggendario chitarrista dei CCCP, per il notevolissimo corto autobiografico La macchia mongolica di Piergiorgio Casotti ( che ha ispirato anche l’omonimo album):“Vincitore per le sonorità evocative delle immense aperture del paesaggio della Mongolia, e la capacità di accompagnare lo spettatore/ascoltatore lungo le traiettorie di un viaggio verso e dentro un universo che orbita in un tempo sospeso”,ma anche della segnalazione per la compilation di Bumba Atomika di Michele Senesi “per l’effetto dirimpente dell’antologia di brani riconducibile all’underground marchigiano, con in prima fila l’hard rock ad alto tasso etilico dei Kurnalcool”.
Anche il pubblico ha espresso il proprio parere con il suo premio ex aequo, trovando affinità con la giuria su Il conte magico e una scelta diversa ma altrettanto interessante nel curioso mockumentary (ossia un documentario realizzato su un personaggio inventato) Herstory di Simon Barletti , che raccontala figura sfaccettata ( e ancora un volta sciamanica e misteriosa: crea una macchina per leggere nella mente ) di una scienziata italo-marocchina .
Cogliamolo come un invito che ci riporta alla possibilità di pensare e di vedere oltre, insieme, in una prospettiva sempre meno limitante e mortificata, ma più collettiva, espansa, viva e vegeta. Com’è successo l’altra sera, al Caffè letterario , e come speriamo succederà sempre di più nelle prossime edizioni a venire.
Hola. Nuestro presupuesto, de Occidente, fue de 25mil €. No nos parece ambicioso. Pero está claro que lo que para unos es poco, para otros es excesivo. Al final es la obra la que debe hablar, creo. Un saludo.
Caro Jorge(scrivo in Italiano perchè mi sembra di aver capito che tu lo capisca), prima di tutto grazie per il tuo commento e soprattutto per il tuo ipnotico, affascinante, visionario film 🙂 hai ragione , è sempre il valore dell’opera a parlare, ma in questo caso , tra opere che ci erano piaciute alla pari, trattandosi di un festival di cinema indipendente , abbiamo preferito dare il primo premio al film che ci sembrava fatto con meno risorse (sempre in un contesto di cinema indipendente, categoria in cui il tuo film rientra alla perfezione!).