In occasione della proiezione al Cineclub Detour (di Via Urbana 107 a Roma) di domani sera martedì 23 settembre ore 21.00, di DOWNTOWN 81 ripubblichiamo questo articolo di Cristina Nisticò che vide il film in anteprima nel 2007 quando ancora il film non aveva una distribuzione. Nel frattempo il film è stato acquistato dall’Istituto Luce ed è uscito in dvd con Feltrinelli. 

Downtown 81, girato tra il 1980 ed il 1981, documenta un giorno intero della vita di Jean Michel Basquiat (1960-1988), alle prese con i problemi quotidiani di giovane artista a New York. Il film, in origine New York Beat, fiabesco e giocoso, nasce da un’idea di alcuni buoni amici. Glenn O’Brien lo scrive, Edo Bertoglio lo dirige, Maripol lo produce e tutti gli artisti ed i musicisti della Downtown anni ottanta, collaborano come attori improvvisati interpretando se stessi nel loro ambiente naturale: Deborah Harry dei Blondie, i DNA, i Tuxedo Moon, i Plastics, Kid Creole and the Coconuts, James White and the Blacks, Walter Steding and the Dragon People. Altri, come John Lurie, Lydia Lunch, Melle Mel, Vincent Gallo, Kenny Burrell, i Suicide e la band di Basquiat i Grey, contribuiscono alla colonna sonora.

Edo Bertoglio, con il suo ultimo film Face Addict, ribadisce il suo sentimento d’amicizia nei confronti di tutti loro. Dopo aver vissuto tanti anni a NY, lavorando come fotografo per riviste come “Vogue” e “Andy Warhol’s Interview”, torna in Svizzera dove è nato. Passano gli anni. Il suo nuovo film nasce così, sfogliando le fotografie scattate ai suoi amici negli anni ottanta. La nostalgia lo porta di nuovo nella Grande Mela per mostrarle a tutti loro, alla ricerca del tempo perduto, di quel tempo durante il quale tutto poteva essere reinventato. Quando il cinema, la televisione, le scritte sui muri erano arte. Downtown 81 è molto diverso da Face Addict, per ritmo e contenuti. Se Downtown 81 è un inno alla gioia, alla spensieratezza, alle feste, alla moda e alla vita spericolata, Face Addict è una serenata notturna, suonata con “il cuore messo a nudo” (Baudelaire da E. A. Poe).

Downtown 81, seppur con molte licenze poetiche e trovate divertenti, è un documento importante dell’opera iniziale di Jean Michel Basquiat. Il film inizia con una voce suadente: “Le favole posso diventare realtà. A volte può succedere a te, soprattutto se sei giovane a New York. (…) Comunque la storia che state per vedere non è vera, ma nemmeno inventata”. Subito dopo vediamo Jean Michel che si sveglia nel letto dell’ospedale. Gli ultimi accertamenti e viene dimesso. Raccoglie i suoi averi, pochi spiccioli e la sua inseparabile tromba, saluta le infermiere con fare gentile e si avvia all’uscita. La scena è ora concentrata sulla sua figura intera di spalle, con le braccia alzate al cielo, davanti alla porta aperta.A dar voce ai pensieri di Jean per tutta la durata del film è il narratore Saul Williams: “Ero libero ma la città non lo era. Il biglietto della metropolitana costava di più ma non era un problema. Conoscevo la strada per il centro e camminare era un lusso” e ancora “Le strade mi sembravano bellissime. Sembravano opere d’arte: marmo e catrame, benzina e acciaio, cromo e vetro”.

Mentre Basquiat attraversa a piedi la città, noi lo ascoltiamo declamare una sua poesia:

La terra era informe, deserta, le tenebre sull’abisso.
Lo spirito aleggiava sulle acque e la luce fu. It was good.
Principi e re, antichi e onorati, senza spada né spirito 
non sono dispersi ai quattro angoli della Terra?
Per le falci, per le zappe, per i forconi, per le asce?
La terra era informe, deserta, le tenebre sull’abisso.
Lo spirito aleggiava sulle acque e la luce fu. It was good. 

Seguendo la passeggiata di Jean, osserviamo la zona di New York che parte dalla 14th Street fino alla parte più bassa dell’East Side, Downtown, abbandonata da molti dei residenti tra il 1974 ed il 1981. All’epoca del film è una parte malfamata della città: i blocks della Avenue B sono un mercato a cielo aperto di droghe di ogni genere e Chrystie Street è famosa come luogo di prostituzione. Le strade pullulano di senza tetto, molti dei quali, prima rinchiusi negli ospedali psichiatrici, vengono poi rilasciati a causa della nuova politica che prescrive l’immediata chiusura dei manicomi. Questa drammatica situazione è dovuta alla crisi finanziaria di quegli anni nella città di NY.

Le strade e la metropolitana splendono però dei colori accesi dei graffiti.Il grande movimento graffitista di massa inizia proprio durante i primi anni Settanta negli Stati Uniti, quando i ragazzi dei ghetti iniziano a scrivere sui muri i propri nomi, spesso affiancati dai numeri delle loro strade. Il nome dell’autore è quindi il dispositivo principale da cui creare l’opera, ispirandosi ai colori e all’iconografia popolare della Tv, dei fumetti, della pubblicità e del cinema. Nasce in questo modo la tag, firma e immagine che identifica il graffitista e segnala i luoghi da lui attraversati in città. Dal 1978, anche Jean-Michel Basquiat con alcuni amici riempiono i muri di Manhattan con scritte provocatorie firmandosi tutti SAMO©. Nel 1979 il gruppo si scioglie annunciando la separazione con un graffito: SAMO© IS DEAD. Jean, così come testimonia Downtown 81, continua da solo a scrivere frasi polemiche sulla società.  

In un’altra scena Basquiat cerca di vendere un suo quadro per non essere sfrattato. Claudia, una sua amica incontrata per caso, lo indirizza dalla signora Cavalcanti e, mentre Jean si dirige dalla ricca collezionista, si ferma e scrive: THE WHOLE LIVERY LINE BOW LIKE THIS WITH THE BIG MONEY ALL CRUSHED INTO THESE FEET (nei sottotitoli in italiano: la servitù intera si inchina ai suoi piedi ricoperti d’oro). A questo punto, viene spontaneo chiedersi quale sia la differenza tra un’opera su tela e un graffito per strada. La risposta è semplice: cambia il contesto. Nel caso della street art, l’ambiente dove vive e muore l’opera è la strada e tutto quel che la circonda. Per visualizzare al meglio questo concetto, potremmo immaginare uno zoom che, partendo dal dettaglio del graffito sul muro e allargando poi l’inquadratura fino ad includere la strada, il quartiere e tutta la città, arriva pian piano a comprendere tutte le strade del mondo. Il contesto di un graffito è quindi il paesaggio urbano, il mondo sotto il cielo, una realtà ben diversa da quella delle case dei ricchi collezionisti o dai non-luoghi dedicati all’arte, come il museo e la galleria d’arte contemporanea.

Nella storia dell’arte contemporanea sono molti gli artisti affascinati da queste pratiche, considerate da molti di cattivo gusto quanto illegali: Pablo Picasso, George Grosz, Brassaï, Jean Dubuffet, Giacomo Balla, Jackson Pollock, Joan Mirò, Cy Twombly, Robert Rauschenberg. Denys Riout, nel suo saggio sul graffitismo, cita Grosz che racconta: “Per maturare uno stile che riproducesse la cruda, feroce durezza, così come la disumanità dei miei soggetti, andavo in cerca delle manifestazioni brute dell’istinto artistico. Andavo ad esempio nei vespasiani per copiarne i pittoreschi disegni, che mi apparivano l’espressione più immediata e la traduzione più diretta di sentimenti forti ed elementari”. Sempre Riout riferisce l’esperienza di Asger Jorn, appartenente al gruppo CoBrA, che negli anni cinquanta fonda l’Istituto Scandinavo del Vandalismo Comparato e riporta inoltre la confessione di Roland Barthes che, in un saggio dedicato a Cy Twombly, riflette: “La sventura dello scrittore, la sua differenza (dal pittore), consiste nel fatto che il graffito gli è proibito”. David Alvaro Siqueiros, grande artista appartenente al gruppo dei muralisti messicani degli anni venti e tra i fautori del cambiamento sociale messicano al fianco di Zapata, nell’Appello agli artisti d’America del 1921, afferma che l’arte ha il dovere di divulgare la cultura al popolo, di trasformare la società. Questo può avvenire solo portando l’arte fuori dai musei, alla gente, nelle strade, sugli edifici dove tutti possano goderne.

“Vedevo le scritte sui muri, erano mie. Ho lasciato la mia impronta sul mondo e il mondo ha lasciato la sua su di me. Sono uno scrittore ma a volte mi sembra che qualcuno abbia scritto me (…) Forse mi sono scritto da solo. La vita è così: scrivere, scrivere, riscrivere”, Jean Michel Basquiat in Downtown 81.

2 Replies to “Downtown 81 al Cineclub Detour di Roma”

  1. gran bel documentario, inventato o con forti rimandi al reale poco importa, la leggerezza con la quale basquiat scivola tra figure, ambienti, graffi e graffiti, un uomo che aveva dentro un mondo e il mondo intorno era solo una scheggia …. la conoscenza del buio e la scoperta della luce, pochi artisti hanno il miracolo di saper esprimere entrambi i lati, basquiat era sicuramente uno di loro

  2. 74 minuti di immersione e scivolamento tra i sobborghi degli anni 80. Un Jean Michel impalpabile, come uomo e come artista.

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