Mi reco nella saletta Kodak della Casa del Cinema di Roma all’anteprima del film, rosa dalla curiosità e ansiosa di scoprire una verità nascosta che mi aiuti a indagare sulle origini, lontane o vicine, di questa malattia, di questo cancro, di questa suburra che ha invaso l’Italia e che ha dato origine al fenomeno del berlusconismo. Confesso che l’approccio metodologico adottato verso la visione di un qualsiasi spettacolo è quello di ignorare ogni informazione preventiva, per lasciare il più possibile spazio allo stupore. Consapevole del turbinio delle passioni che un argomento come Silvio Berlusconi suscita in molti di noi, mi siedo e cerco di placarmi.
Nell’attesa della proiezione, leggo così le note di regia del pressbook e mi chiedo quali risposte possano emergere dalle interviste ai collaboratori più vicini al Caimano: cosa si propone di raccontare S. B. io lo conoscevo bene? Risalirà fino alla civiltà comunale o alla mancanza del senso civico degli italiani che ha origine nella sudditanza feudale per spiegare questo strano fenomeno italiano oppure al fascismo? O al craxismo? E il titolo poi, a che cosa vorrà alludere? Non può essere casuale la scelta della citazione del film di Pietrangeli Io la conoscevo bene in cui la protagonista Adriana (Stefania Sandrelli) rimane vittima di meschinità e umiliazioni che la porteranno al suicidio. Non è che allora mi troverò di fronte a un tentativo di riabilitazione del sordido personaggio?
Per fortuna i registi, Giacomo Durzi e Giovanni Fasanella, intervengono prontamente cercando subito di dissuadere da alcuni errori interpretativi: “volevamo parlare di questo mostro attraverso uno sguardo attento alla storicizzazione del personaggio e della sua vicenda, più che al giudizio politico-morale o moralistico”. Rimango perplessa di fronte alla convivenza dei termini mostro e sguardo storicizzante senza giudizio, sempre più incuriosiita e in preda a sentimenti contrastanti. Ambizioso. Finalmente inizia la proiezione e, mi dico, chiarezza sarà fatta.
Sfilano sullo schermo Vittorio Dotti, Paolo Pillitteri, Gabriella Carlucci, Giuliano Ferrara, Paolo Cirino Pomicino, per citarne alcuni, tutti impegnati a raccontare la nascita dell’impero di Berlusconi come frutto del suo genio e della sua straordinaria facoltà di intuire la modernità. Non posso nascondere di avere provato un sussulto dell’animo di fronte a racconti che omettono dati della storia importanti: il successo di Berlusconi, del suo “impero”, si è costruito grazie alla sua capacità reiterata di violare la legge, e grazie all’appoggio di Craxi, presentato come amico intimo del Caimano, condannato in seguito, in via definitiva, per corruzione. Va bene, mi dico, viene messo in evidenza un punto di vista amichevole, parziale, che è questo. L’oggettività garantita dalla legge di uno stato di diritto può non essere utile in un racconto che vuole rimanere privo di giudizi e interpretazioni. Vediamo dove vanno a parare. Man a mano che la narrazione procede, cerco di controllarmi (a stento) quando la Carlucci, una delle “ideologhe” del nostro statista, dice che il Cavaliere ha modernizzato la televisione coinvolgendo le masse, trasformandole in concorrenti attivi attraverso la premuta di un pulsante. Berlusconi, un vero postdemocratico. Il clou arriva quando Francesco Gironda, responsabile della guerra psicologica di Gladio, ci informa che grazie alla scesa in campo di Berlusconi l’Italia è stata salvata dal pericolo di un’invasione delle truppe del patto di Varsavia. A questo punto mi aspetto una qualche sorpresa, non posso davvero credere che i prossimi cinquanta minuti continuino su questo leitmotiv. Un qualche elemento, foss’anche solamente ironico, deve entrare per liberare dalla sua prigionia questa narrazione a senso unico.
E infatti arriva: a un certo punto, gli stessi personaggi cominciano a introdurre nei loro racconti elementi di criticità dal fenomeno berlusconiano. La modernizzazione a cui hanno alluso finora comincia ad apparire come una sorta di falsa modernità, un ritorno a un passato in cui la politica era fatta solo di interessi personali, consorterie e scambi di favori. Cirino Pomicino, Ferrara e Guzzanti sono unanimemente convinti nel sostenere che Berlusconi non sia un politico ma uno showman, che nessun convincimento ideologico lo abbia mai animato, che l’unico suo interesse è sempre stato il proprio interesse. E con loro, ne sono convinti anche due terzi degli italiani. Ma dalla loro revisione nel racconto del fenomeno non emerge mai un certo spessore nell’analisi. Pomicino, a un tratto, accenna al tumore alla prostata del Cavaliere come movente verso una deriva ossessiva della sua sessualità nella quale anche la politica viene travolta, ma tutto questo non basta a una spiegazione antropologica del berlusconismo.
Sono soddisfatta quando sento dire che Berlusconi, ossessionato dall’idea di invecchiare e quindi di non poter più praticare il fascino della seduzione del don Giovanni, candida in politica tutte le sue olgettine? Ho ottenuto la risposta alla domanda: perché lui e perché proprio qui in Italia? Una delle osservazioni più interessanti viene proprio da Pillitteri quando, sul finale, accenna al berlusconismo “come una categoria dello spirito”, affermazione importante che avrebbe forse meritato un maggiore approfondimento, che però rimane lì e risuona come una inquietante domanda senza risposta. Che vuol dire? Forse che in ognuno di noi c’è un Berlusconi difficile da estirpare? Ma dove risiede la sua origine? Non viene affrontato con determinazione il vero argomento della questione, e se l’obiettivo era mostrare la mancanza di coraggio degli intervistati nel definire chiaramente le cause del fenomeno, ecco, il film risente dello stesso limite dei suoi intervistati. Anche se condivido il principio in base al quale nell’arte non c’è una sola verità, una sola interpretazione, davvero su Berlusconi avevamo bisogno anche di questa?
Forse senza la nuova discesa in campo del Cavaliere, S. B. io lo conoscevo bene avrebbe potuto suscitare maggiore magnanimità da parte mia in quanto avrebbe svolto una funzione liberatoria, mentre il cambiamento delle condizioni storiche sconforta sempre di più chi ancora non riesce a spiegarsi la reiterazione di questa piaga drammatica e purulenta che continua ad affliggere un paese senza speranza.
Molto bello quello che hai scritto. Le tante domande che poni rimarranno anche dopo la lettura. E restando sull’arte, mi viene da pensare proprio a Il Caimano, il film di Moretti, che pur senza andare alle origini del “nostro” berlusconismo, quantomeno fornisce una documentazione abbastanza precisa (non solo simbolica) sulla nascita del potere di B. offrendoci, attraverso lo specchio dell’immagine, porprio la possibilità di prendere coscienza del virus (mix di cinismo, narcisismo e affarismo) che oramai, almeno un po’, si è abbarbicato al nostro organismo (collettivo e individuale). Moretti alla fine interpreta B. e il film da serie z e poi critica ironica diventa drammatico.