La crisi del maschio, vista dal fortunato regista di Krampack, quel Cesc Gay, spagnolo di Barcellona, che si è distinto per le sue acute osservazioni della urban middle-class catalana, da sempre la realtà più europea della Spagna. In realtà Una pistola en cada mano ha un che di profondamente spagnolo, almeno di quel Paese che abbiamo imparato ad ammirare negli ultimi anni, schietto, ironico e capace di guardare senza alibi alla realtà delle cose. Non ce lo immaginiamo un film così in Italia, dove gli ultimi maschi rimasti faticano, almeno nel genere della commedia, a venir fuori da battute triviali e volgari, mentre in questo film, che arriva come una ventata di sana freschezza in un festival che ha probabilmente raggiunto il suo punto più basso, si ride, e tanto, e si parla, e tanto, di sesso, senza mai scadere.
Dicevamo della crisi del maschio: Gay costruisce un film corale, a episodi, storie diverse, divertenti ed ironiche, di uomini, uomini che si incontrano quasi per caso, ma mai senza un motivo, e mettono a nudo i loro tormenti, le insicurezze, i fallimenti, l’impossibilità, in piena crisi di identità, di conservare quel ruolo di supermacho, che sembrano oggigiorno aver totalmente smarrito. Non può che risuonare profondamente ironico quindi il titolo, quella pistola en cada mano, che, a parte la facile allusione alla capacità tipica del maschio di ragionare solo seguendo quella cosa lì, fa riferimento probabilmente a quel John Wayne citato da uno dei protagonisti, di cui loro non sono ormai che un’ombra smorta; i maschi hanno perso la pistola, e non solo quella, visto che i protagonisti non hanno più nemmeno un nome, ma sono contraddistinti solo dalle lettere iniziali: J. È bipolare, è in analisi e sta diventando un paziente modello; E. rimpiazza la fidanzata con un gatto e torna a vivere da sua madre; S. ha un debole per le scappatelle ma fa un maldestro tentativo di riconquistare la ex moglie, incinta di un altro; G., imbottito di farmaci fino al midollo, pedina la moglie fin sotto la casa dell’amante; L. confonde il nome di sua moglie con quello del suo cane; P. è sposato e diventa lo zimbello di tutti dopo un approccio goffo con una collega a una festa aziendale; infine, due mogli insegnano ognuna al marito dell’altro come esprimere i propri sentimenti.
Questi maschi, ridicoli e goffi, senza charme e quasi patetici, senza pistola e senza nome, suscitano accorata partecipazione, anche quando le donne, loro sì dotate di nome e personalità, ne fanno risaltare ancor di più i limiti. Si ritroveranno tutti insieme a una festa, in un quadro grottesco, che racchiude tutti questi esemplari del fu il sesso forte. E nel finale, rimbombano forti le parole del protagonista del primo episodio: “nessuno ci ha detto che la vita sarebbe stata così” e poi, continua, “non ti avvisano, né ti danno un manuale”. Eh sì, non esistono più manuali, ma uomini smarriti, alla ricerca del loro posto nel mondo.
Lontano anni luce dai drammi almodovariani contorti, dal sangue e dall’eros e thanatos di tanto cinema spagnolo, Cesc Gay confeziona una commedia moderna, leggera e arguta su un tema molto serio; si ride tanto in questo film, ci si appassiona, anche se alla lunga iniziamo purtroppo a riconoscere il giochino, con il rischio di lasciar spazio a qualche, sia pur piccolo, sbadiglio.