“Lo spazio, nel cinema, è più importante del tempo”, a dirlo è Emir Kusturica nel corso dell’attesa lectio magistralis tenuta a Pisticci, nel suggestivo scenario del centro antico di Terravecchia, quale evento clou del tredicesimo Lucania Film Festival. Più che di una lezione accademica si è trattato, in realtà, di una chiacchierata assai informale, nel pieno spirito libero del regista di Underground, sollecitato qui da Manuela Gieri, docente di Storia e Teoria del Cinema all’Università della Basilicata e a Toronto. Davanti a un pubblico folto e attento, il grande Emir, sigaro spento tra le labbra e sacchettino di noccioline in una mano, ha parlato con schiettezza del cinema che gli piace e di quello che gli piace meno, così come di politica e individualità («Io credo che la collocazione drammatica di ogni individuo nell’universo debba essere definita politicamente»), di musica (la sua seconda grande passione), di globalizzazione e di religione. Senza tralasciare un po’ di autobiografia, con la dichiarazione di gratitudine verso sua madre, senza la cui spinta, ha detto, non avrebbe mai tentato la via del cinema.
Ma soprattutto, come si accennava all’inizio, al cineasta e musicista nato cinquantasette anni fa a Sarajevo, da sempre sensibile alle questioni etniche, ai conflitti tra i popoli e quindi ai luoghi che questi abitano e spesso si contendono, interessava portare alla luce il discorso sul territorio, a suo parere il grande rimosso del nostro tempo. Traslando nel campo del cinema una riflessione di evidente derivazione geopolitica, Kusturica ha stigmatizzato l’imperialismo hollywoodiano (ecco il cinema che gli piace meno), colpevole di aver appiattito l’intera produzione occidentale, dando vita a prodotti spesso troppo simili tra loro, tendenzialmente seriali. Al contrario del cinema del passato, quello europeo di Fellini e di Visconti, ma anche quello americano di Scorsese e di Coppola (ecco il cinema che gli piace), a molti film di oggi manca una forte caratterizzazione nell’ambientazione, sacrificata sull’altare dell’omologazione del gusto. Anche gli spazi della programmazione ne risentono, straziati da una distribuzione che esclude dal giro le opere più originali e vitali. Da qui la scelta di Kusturica di fondare Kustendorf, il piccolo «villaggio dell’arte e della socialità», fatto costruire in Serbia, interamente in legno di recupero, nel 2004, anche per accogliere un festival dedicato alla settima arte, dove mostrare ciò che rimane fuori dai canoni dettati da Hollywood.
L’incontro con Kusturica, fortemente voluto dagli organizzatori del Lucania proprio nello spirito di condivisione delle questioni sollevate dell’autore serbo, ha suggellato un’edizione del festival caratterizzata da un buon livello delle opere in programma. A spuntarla tra i cortometraggi è stato il norvegese Tuba Atlantic diretto da Hallvar Witzo, acutissima tragedia sublimata di un’ironia tutta nordica. Nella sezione lungometraggi, inedita al LFF, ha vinto Siberia mon amour del russo Slava Ros.