Nel primo weekend di programmazione più o meno 90.000 persone hanno visto Diaz. Negli stessi giorni, un film di pluri-fantascienza picchiaduro come Battleship ha sbancato il botteghino incassando oltre cinque volte il film di Vicari. La cosa potrebbe incoraggiare qualche considerazione nemmeno troppo ardita su come l’attrazione per certe dinamiche dello scontro e della violenza abbiano comunque prevalso, seppur con un chiaro sbilanciamento a favore della componente più inequivocabilmente estetica e con una vita interiore con molti meno dettagli dei Transformers.
Il fatto che il pubblico preferisca le storie di evasione non è una novità. Questa volta però il paradosso è che nel caso del lavoro di Vicari, la natura dei fatti da cui si trae spunto è talmente surreale e fuori dalla realtà che sconfina ampiamente nel campo del peggior incubo da film del terrore che Rihanna – forse – non potrebbe mai interpretare. Il corto circuito tra la bestialità di alcuni poliziotti e le fredde ragioni di opportunità politica di qualche pezzo grosso dell’Interno ha dato vita infatti ad una delle pagine più cupe della nostra storia a cui però il nostro cinema, dopo dieci anni, non aveva ancora minimamente accennato, se non di striscio nel 2003 con Ora o mai più di Lucio Pellegrini e, in modo pretestuoso e scorretto, da Sollima con Acab a inizio di questo 2012.
La cosa stride, se vogliamo, con gli attuali tempi di gratificazione istantanea del web e di questa nuova epoca tendenzialmente sempre più veloce a fagocitare e appiattire la portata di ogni notizia, prima ancora che queste finiscano in edicola. Le ferite della Diaz e di Bolzaneto però sono ancora apertissime e la serie impressionante di commenti ad alta voce tra il pubblico che abbiamo sentito in sala mentre assistevamo al film ne è una riprova incontestabile. A qualsiasi livello si possa aver rimosso o elaborato la drammaticità di quei giorni pensiamo che già la prima scena dell’assalto alla scuola, dopo nemmeno venti minuti, sia semplicemente estenuante. Proprio per questo forse l’occhio dello spettatore più coinvolto può avere una sorta di rifiuto inconsapevole a calarsi in una immedesimazione totale nel flusso vorticoso del film per finire ad alienarsi, al contrario, nella voragine di alcuni sfilacciamenti e debug narrativi. La miriade di personaggi, tra cui spicca il grande Claudio Santamaria, dal basso di una sedia su cui non si vuole rimanere seduti forse sembra quasi casuale e dispersiva. La sovraesposizione alle critiche che ha ricevuto Diaz prima che andassimo a vederlo poi ci ha quasi predisposto ad annotare che Vicari si astiene dallo stendere una mappatura interpretativa delle dinamiche e delle strategie che hanno indotto alcuni dirigenti della polizia a procedere in un modo così disumano. Se l’alternativa, però, era aspettare quarant’anni come Giordana per Piazza Fontana e poi produrre un Romanzo di una strage in cui ogni aspetto è approfondito e con la faccia umana, ma nell’insieme incredibilmente dimesso e paradossalmente compiacente, noi stiamo totalmente dalla parte di Diaz.
Nel complesso multiforme e scomposto della marea di Vicari le tante storie diverse, del resto, hanno una tonalità di fondo che risalta come un’accusa fortissima alle ingiustizie del nostro Stato. Le scene delle torture alla Bolzaneto rielaborano con un’intensità disarmante e un linguaggio assolutamente consapevole l’idea che alcune degenerazioni fanno parte di un malessere profondo nelle forze dell’ordine che deve essere assolutamente approfondito. Come ha scritto Giona Nazzaro, il cinema americano ha raggiunto pagine di denuncia apocalittiche sullo stato deviante di alcune sfere della polizia statunitense. Vicari dimostra che si può andare oltre la macchietta dell’agente che gioca la schedina con il barista. Continuiamo a pensare che al momento l’unica esperienza cinematografica totale su Genova sia il documentario Black Block di Bachschidt. Glaciale. Con Diaz però si è realizzata un’opera importante, forse quella che al momento vi consigliamo più caldamente dall’inizio di quest’anno.
Il regista teatino non banalizza affatto il presupposto-cardine che non si possa creare una società giusta attraverso la violenza. Tanto più che i soprusi di scena a Genova sono rimasti impuniti e molti agenti coinvolti nelle vicende sono stati esentati dalla partecipazione ai processo in corso per andare ad insegnare agli agenti iracheni come diventare una polizia democratica.
Credo sia un film importante per mantenere viva la memoria di quelle violazioni dei diritti umani in un paese come il nostro che ama le rimozioni e dove si ha la sensazione che non finisca mai nulla.
Ho sentito poche reazione di sdegno alla nomina di De Gennaro come sottosegretario al governo Monti. Per gli smemorati ricordo che era capo della polizia all’epoca dei fatti di Genova (e Napoli, con governo di altra compagine) ed è stato indagato per induzione alla falsa testimonianza per i fatti della Diaz.
cfr nhttp://www.corriere.it/cronache/10_dicembre_18/sentenza-G8-genova_bc3ee53a-0aa3-11e0-b99d-00144f02aabc.shtml