L’estate di mio fratello inizia una bella manciata di anni fa e la sua storia, in questi giorni, torna alla ribalta, dei quotidiani e della critica, per mezzo di una visibilità messa in vita solo ora. Fatto: dopo circa nove anni dalla sua nascita il film di Pietro Reggiani, esordiente veronese, esce in sala. La sua storia è veramente bizzarra, curiosa ed in un certo senso emblematica del rapporto tra nazione e cultura. Film voluto e sofferto, partorito a rate, con mille difficoltà. Poi invisibile e muto, un film vivo solo in certi festival dove, tra l’altro, ottiene non solo consensi: menzione speciale della giuria al Tribeca film festival, quello di De Niro e di New York, ad esempio. Reggiani passa gli anni a tentare di diventare un esordiente, spinge il film a piedi, come si fa con le auto rimaste senza benzina. E spingi spingi, suda suda, ecco l’incontro con la neonata associazione “Myself”, che propone al regista una “pre-vendita” di biglietti legata al film. Qualcosa di simile a quanto accaduto per la pellicola d’esordio di Moroni, Tu devi essere il Lupo, altro manufatto faticoso. La distribuzione diventa opera degli spettatori, che preacquistando i biglietti di un film convincono gli esercenti delle sale italiane a proiettarlo. La pellicola di Reggiani è un prodotto che entra nel mondo dell’infanzia con un atteggiamento che rispetta prima di tutto i bambini stessi, e con loro la magia della loro età. Giusta dose di tenerezza, momenti di piacevole e semplice poesia, cinema in dosi sufficienti rispetto alla media, fantasia, originalità e idee in numero considerevole. È la storia di un bambino che racconta al pubblico la potenza immaginativa che la sua categoria adopera costantemente. L’elemento scatenante è la nascita imminente di un “pericoloso” fratellino. Da questo evento in poi tutta l’estate di un bambino normale diventa racconto del suo immaginario interiore. Segreto confessato e dolce alle papille dello spettatore. C’è delicatezza nella narrazione ed intelligenza nel passaggio dal realismo del quotidiano alla messa in immagini dell’universo intimo delle emozioni di un bambino. Il film attraversa un arco di tempo lungo cinque anni e si chiude con lo spegnimento di un modo di rapportarsi alla vita che resterà legato ai ricordi di quel periodo magico e irripetibile che si chiama infanzia. Film povero di mezzi e abbastanza ricco di tutto quello che la povertà economica impone. Da vedere per più di un motivo.
Io ho avuto la fortuna di vederlo due volte. Lo trovo fantastico! Un’idea originale e ben realizzata.
L’appendice finale è un po’ disarmante ma per il resto nulla da dire.
Se avete l’occasione non perdetelo.
ciao ciao