Una delle immagini più forti ed emozionalmenti del festival pesarese 2011 non viene dallo schermo, ma dalla realtà di un incontro pubblico e di una conversazione con Bernardo Bertolucci in una sala gremita di critici e pubblico. L'autore esce fuori da anni di silenzio (The dreamers è del 2003) e di immobilità fisica cui l’ha costretto un'operazione all'ernia del disco.
E’ bello vederlo ironico, vitale e di nuovo in procinto di girare, dopo che aveva pensato di dover chiudere definitivamente con il cinema. Ha annunciato l'inizio del lavoro per un film tratto da Io e te di Ammaniti, un tentativo di usare il 3D senza per forza essere costretti alla fantascienza o all'animazione.
Nell’incontro ha ripercorso alcune tappe della sua lunga carriera: dai film “miura” chiusi e difficili come i tori, come li chiamava ironicamente con Glauber Rocha, film che non facevano entrare pubblico in sala, alla svolta del Conformista fino via via al successo internazionale con Ultimo tango a Parigi e all’epica avventura di Novecento.
Parlando del suo film più spettacolare e premiato, L’ultimo imperatore, ha confessato come lui, che era andato a girare in Cina per fuggire dall’Italia craxiana, ebbe a chiedere una mano politica al premier socialista quando la CBS minacciava di scavalcare il progetto dell’Ultimo imperatore con una serie tv sullo stesso argomento. Craxi convinse il governo cinese a privilegiare la produzione italiana.
Altro elemento curioso narrato dal regista parmense è il progetto, dei primi anni ottanta, di trasporre il romanzo di Moravia 1934, storia di due gemelle tedesche a Capri durante la presa del potere del nazismo, che avrebbe voluto deviare in chiave di commedia e per il cui trattamento si avvalse di Ian McEwan, allora poco noto in Italia. Ma le settimane di lavoro comune a Sabaudia non portarono a nulla di concreto, entrambi forse erano troppo lontani dalle corde del genere.
A proposito del suo secondo film Prima della rivoluzione, che in Italia non venne capito da molti alla sua uscita, Bruno Torri, che conduceva la conversazione con il regista insieme ad Adriano Aprà, ha rivelato essere stato un film fondante dell'idea stessa di "Nuovo" cinema che aveva spinto lui, Miccichè ed altri critici a iniziare l'avventura di un festival pesarese che ha negli anni cercato i germi del nuovo tra le pellicole e poi via via nel digitale e nei vari formati del cinema.
Torri e Bertolucci, inscenando anche un affettuoso battibecco critico, hanno ricordato Pasolini che definì Prima della rivoluzione "cinema di poesia" contrapponendolo al "cinema di prosa", in un intervento scritto proprio per un dibattito alla Mostra del cinema di Pesaro, ora raccolto in Empirismo eretico. Di quelle prime partecipazioni alla Mostra, Bertolucci ha svelato un episodio personale: l’amicizia con Jack Nicholson nata a Pesaro per aver corteggiato inutilmente la stessa ragazza, la modella, cantante e attrice Zouzou, che qualcuno ricorderà protagonista nel film di Romher L’amore il pomeriggio o tra le interpreti de L’ultima donna di Ferreri
L'insuccesso di pubblico e le ingiuste stroncature avute a Cannes dai critici italiani, "con l'eccezione di Morandini interprete nel film e quindi in palese conflitto di interessi" ha scherzato Bertolucci, lo portarono a un periodo di stasi per l'impossibilità di trovare appoggi produttivi.
"I miei primi film -ha proseguito il regista- uscirono quando il neorealismo stava diventando qualcosa di obsoleto e si stava trasformando in commedia all'italiana. Io mi sentivo in una specie di tenaglia, tra spaghetti-western e commedia. Non avevo accettato la regola del gioco. Ma tra i due generi preferivo il western, tant'è che quando andai al primo spettacolo de Il buono, il brutto e il cattivo, Leone, che era nascosto nella cabina di proiezione, mi vide e mi telefonò proponendomi di scrivere il suo prossimo film, C'era una volta il west. Quell'esperienza di sceneggiatura con Dario Argento e Leone mi allargò il cervello".
Probabilmente, ipotizzo io, può aver contribuito a quell'uscita dalla sindrome dei film "miura" e alla scoperta del piacere del contatto con il pubblico avvenuta con Il conformista.
"Con quel film – ha raccontato l'autore – si è liberato qualcosa: il piacere del testo, per dirla alla Barthes. Non ho più avuto la paura di incontrare il pubblico e ho cominciato a sentire che dalle platee venivano ondate di piacere. Poi è arrivato il successo mondiale di Ultimo tango che è stato destabilizzante come una droga. Essendo cercato da tutte le Majors mi sono detto, le farò pagare per la più grande bandiera rossa mai vista al cinema. Ma l'idea fallì, perché per l'uscita negli Usa dovetti accettare una versione di Novecento tagliata di un'ora".
Alla domanda su quanto abbia pesato la psicanalisi nel suo percorso artistico, Bertolucci ha risposto: "Molto, elaboravo i miei film più nelle sedute di psicanalisi che in quelle di sceneggiatura. Tanto che dissi che avrei dovuto mettere il nome del mio psicanalista nei titoli di testa del Conformista. Tra gli elementi importanti della mia vita ci sono stati l'obiettivo Zeiss, Freud ed ora spero ci sarà il 3D per realizzare il mio prossimo film".
Ringraziando per la gigantografia della scena del ballo del Conformista che campeggiava sullo schermo alle sue spalle, come in una personale regia e scelta dei tempi, Bertolucci ha chiuso l'incontro dicendo con un sorriso: "Ora ci stiamo avviando verso una di queste belle cene pesaresi".
Che regista formidabile, forse l’ultimo in grado di dirigere produzioni italiane di respiro internazionale. L’Ultimo tango e Novecento sono due pellicole imprescindibili, ma anche La tragedia di un uomo ridicolo è un bel film, un po’ sottostimato. Il Conformista mi manca ma prometto di colmare al più presto la lacuna.