[***] – Realizzare un film ambientato nella Puglia degli anni ’50 è come camminare su un cornicione, c’è il rischio in ogni momento di cadere di sotto, tra i luoghi comuni di un’Italia da cartolina, quella che fino a un paio di decenni fa piaceva tanto negli Stati Uniti, una miscela di folklore addomesticato a marketing che permetteva di immaginare una sorta di neorealismo a colori, un vintage del nostro paese con sole mare cibo e donne rotonde e cariche di sensualità. Primo incarico non precipita dal cornicione, lo attraversa con abilità, anche perché la regista Giorgia Cecere ha delle risorse che le permettono di orientarsi in modo originale in quel mondo contadino.
È facile, infatti, cogliere nel film delle “risonanze” visive e una sensibilità nell’inquadrare la realtà che appaiono filtrate direttamente dal cinema di Ermanno Olmi, in particolare L’albero degli zoccoli, ma al tempo stesso se ne colgono le distanze, quel tanto che basta per intravvedere, anche se al primo lungometraggio, un’originalità di approccio e una temperatura diversa, quanto meno dovuta alla differente latitudine di provenienza tra i due registi, da una parte la campagna bergamasca, dall’altra quella salentina. Ed è altrettanto facile intravvedere l’altro paletto di riferimento nella gestazione dell’opera, François Truffaut, che permette alla regista di evitare un sociologismo elementare e poco interessante sulla vita del mondo agreste o sulle differenze di classe e di genere – anche se quest’ultime vanno particolarmente di moda in certi ambienti – e intraprendere la narrazione di un desiderio che specie quando rimane inappagato può avere dei tratti ossessivi.
La protagonista è Nena, una giovane maestra, innamorata di un ragazzo dell’alta borghesia, a cui deve la sua emancipazione intellettuale. Quando arriva la lettera di assunzione in una piccola scuola nel sud salentino, parte a malincuore perché deve lasciare il suo amore. La nuova esperienza pian piano la coinvolge sino a quando la sua vita è sconvolta dalla scoperta che il fidanzato sta con un’altra donna. Nena è interpretata da Isabella Aragonese, che riesce di volta in volta a esprimere la mobilità emotiva della maestra: bastano poche espressioni e turbamenti minimi sul volto per raccontare il sali e scendi delle emozioni a cui è sottoposto l’animo della protagonista. Una recitazione capace di disperdersi con l’ambiente circostante, con i non attori che a volte l’affiancano, e contemporaneamente tracciare una dissonanza interpretativa nei punti sensibili della narrazione.
C’è in Primo incarico un gusto per l’alterità della messinscena che consiste nel considerare i luoghi della ripresa come altri rispetto al mondo, pur nella loro inesorabile somiglianza con il reale, così da restituire lo stupore per quanto cade sotto i nostri occhi. Ovviamente non basta rivolgere l’attenzione al passato, col fascino che inevitabilmente possono avere certi periodi storici, per ricondurre la regia di un film sotto un dominio estetico persuasivo, c’è bisogno di uno sguardo vergine e abile a scansare i luoghi comuni dell’immaginario, ricostruendo il tutto in una sintesi efficace, ed è quello che riesce a fare Giorgia Cecere.