[****] – Nell’incontrare questo film avevo il sospetto che potesse rivelarsi un polpettone new age. A fine visione ho costatato che così non è stato. Anzi. Quando il popolo di Israele, liberato dalle schiavitù dell’Egitto, conobbe il proprio Padre le prime parole che udì da Lui furono: "Shemà Isael (מעש לישרא). Ascolta Israele". La fine è il mio inizio è un film sull’ascolto di un dialogo d’amore tra padre e figlio. Il padre è Tiziano Terzani, suo figlio è Folco.
“Tiziano Terzani è stato un pellegrino pagato per la sua crescita personale – ha affermato Folco durante l’incontro con la stampa – A lui piaceva girare il mondo e ha incontrato in tutti i suoi viaggi molte delle sue curiosità. Voleva vedere cos’era la guerra ed è stato corrispondente durante il conflitto in Vietnam. Cos’era l’ingiustizia? Ha visto il comunismo dall’interno vivendo in Cina quasi trent’anni. Queste sono occasioni che possiamo avere tutti”. Non era solo il suo lavoro, era la sua vita. Il suo modo di stare al mondo.
Ma torniamo all’ascolto. “Questo film va aldilà del mio percorso professionale” Elio Germano interpreta Folco. “E’ un film diverso dagli altri, è un’esperienza grande. Ho avuto la possibilità di avvicinarmi a cose molto grandi. La storia stessa, attraverso la narrazione del film, mi ha preso per mano e mi ha avvicinato a molte riflessioni. Allo stesso tempo sono stato al servizio di una storia per riuscire a comunicare quello che è avvenuto tra due persone.” Tra padre e figlio appunto. Questo infatti non è un film sulla morte di un padre. O su come si possa accompagnare il proprio padre nel morire. Questo è un film sul rapporto di una vita tra padre e figlio. Su una figura sicuramente ingombrante come Tiziano Terzani, ma anche su come proprio questo continuo confrontarsi di un figlio verso suo padre, possa trasformarsi in un’occasione per maturare velocemente. Tutto il film in ogni sua parte è vero. Tutto ciò che si racconta corrisponde alla realtà.
“Avevamo scritto delle scene di flash back, ma poi le abbiamo scartate quasi subito” Ulrich Limmer è produttore e sceneggiatore del film. “Ci siamo concentrati sull’attimo presente per non distogliere dalla narrazione, dall’ascolto. Le emozioni non dovevano perdere il significato del presente ed è per questo che siamo rimasti attaccati alla realtà. Volevamo mostrare al pubblico una vita possibile”.
Tiziano Terzani sa di essere al termine della sua vita terrena. Sa che il suo cerchio sta per chiudersi. Convoca il figlio Folco che vive a New York e decide di raccontargli la sua vita. Il ritmo è avvincente, i dialoghi sono molto fitti e soprattutto ricchissimi di considerazioni e spunti personali che ispirano lo spettatore verso un viaggio di riflessioni personali. Quando Folco è nato,Tiziano voleva chiamarlo “Mao”. Era un uomo profondamente colpito e incuriosito dall’ideologia comunista. Come molte persone della sua generazione, ci aveva creduto, ma poi durante gli anni trascorsi in Cina e i recenti crolli ideologici qualcosa era cambiato dentro di lui. Dove riporre i propri sforzi? Dove trovare la felicità? La scoperta di una dimensione interiore, dell’esistenza dello spirito che vive in noi, ha rappresentato una rivoluzione per la sua vita e soprattutto ne ha determinato il compimento. “Perché sono qui? Quale progetto meraviglioso è la mia vita?” Questo è stato il senso della scoperta della vita per Tiziano Terzani. Una “scoperta” che l’ha trasformato, l’ha messo immediatamente in moto. Un ribaltamento di punti di riferimento, tale da fargli affermare in un’intervista che considerava la sua malattia come una benedizione, perché l’aveva spinto verso la vita che desiderava, appartata, tra le meditazioni e la sua famiglia. Aveva finalmente una scusa e uno spazio per sottrarsi al mondo degli appuntamenti e delle alte rappresentanze. E questo rovesciamento, questo cambiamento di ritmo si avverte, anche durante la visione del film.
La sostanza dei dialoghi nella sceneggiatura sembra essere suddivisa per blocchi, molti argomenti intrecciati in un dialogo fitto e ricco di dinamiche. C’è la guerra, l’assurdità della violenza, la convinzione profonda che nessun conflitto porterà mai alla pace tra i popoli. C’è il rapporto con i desideri. C’è l’esperienza con il lavoro. C’è una dichiarazione d’amore profonda e intensa a una donna, la stessa, che si ama da sempre. C’è il momento in cui un uomo sa di essere parte di qualcosa d’immenso, che lo circonda, ma è anche dentro. C’è l’illuminazione. C’è il paradosso che si possa raggiungere finalmente la pace e il compimento della missione di padre facendosi finalmente mandare a quel paese dal proprio figlio. C’è la morte accolta con il sorriso. E poi c’è un elemento nuovo, variabile, che passa dallo spettatore all’ascoltatore. Per tutta la durata del film ci accorgiamo che qualcosa si muove dentro di noi. Che quest’uomo barbuto in fondo non sta parlando solo a Fosco, ma a tutti noi. Gli si comincia a voler bene, e anche quando bisogna salutarlo non scende la tristezza, ma la gratitudine perché con la sua vita ci ha testimoniato molto. Tanto.
Personalmente provo molta ammirazione per un uomo così. Cambiare idea non è mai semplice, sentirlo dire con onestà e lucidità da una figura come quella di Terzani, giornalista affermato, è cosa molto rara. Ha messo in gioco se stesso e la sua famiglia in quei luoghi dove la maggior parte dei giornalisti del mondo approdava per fare trincea. Terzani ha fatto della trincea del giornalismo il capolavoro della sua vita. Spesso rischiando la pelle, ma sempre è riuscito a cavarsela portando a casa una lezione di vita. La figura di sua moglie è centrale, fondamentale come l’Amore per la sua famiglia che l’ha accompagnato per tutta la sua vita.
E’ inutile svelare trame e sviscerare considerazioni. La migliore risposta a questo film sarà la sua visione e quello che potrà raccontare alla vita di tutti noi. Essere indipendenti e liberi interiormente, anche dal proprio padre, amandolo profondamente è la lezione finale che Tiziano paradossalmente offre al figlio. O che il Folco offre a Tiziano… Infine, vale la pena porre l’accento su i luoghi, anche questi conformi alla realtà, in cui è stato girato il film. Il monte Ors
igna, in Toscana, detto anche la piccola Himalaya di Tiziano è il protagonista silenzioso della bellezza di questo film. Lì si è scelto di girare nella vera casa Terzani. Racconta Folco: “Tutte le scene all’Orsigna sono state un dono. Non c’è neppure un effetto speciale. Quel tempo, quei colori, quei venti, quel tappeto di nuvole, non li avevo mai visti in 40 anni. Era un dono per noi e per il nostro film.” Se riuscirete a vedere questo film, quando sarete immersi nei panorami dell’Himalaya di Terzani in Toscana, fatemi sapere se anche a voi verrà voglia di condividere la battuta di Folco/Germano “Babbo, che cosa vedi quando guardi il mondo?”