Chi va a vedere Il gioiellino cercando una chiave di interpretazione definitiva sullo scandalo Parmalat può rimanere profondamente deluso. Chi va solo per assistere ad un bel film anche. Di suo, la saga della famiglia Tanzi, viste anche le ripercussioni che certe vicende hanno provocato sull’immaginario e le tasche degli italiani, poteva offrire una serie di spunti e riletture a dir poco epiche. Andrea Molaioli, dopo il successo de La Ragazza del Lago, sceglie invece per questa sua seconda prova un incedere incredibilmente dimesso e basico.
Capiamo che filmare gli andamenti delle plusvalenze e le oscillazioni dei tassi obbligazionari equivalga ad un suicidio cinematografico. Oltre a non andare a fondo nello scandagliare la rete delle connivenze politico-bancarie che consentono giornalmente truffe colossali, a Il Gioiellino è come se mancasse l’indice anche solo per puntare il dito contro i paradigmi più aberranti della nuova finanza globale. Limitarsi alle carrellate sugli equivoci abbracci di Girone-Rastelli con il vescovo anticomunista o il politicante di area democratico cristiana forse è un pò poco. Il regista, del resto, sembra seguire solo la famigerata dimensione privata e il respiro più ravvicinato dei manager della cosidetta Leda. Nella ricostruzione narrativa poi, l’unica libertà nello scheletro della sceneggiatura rispetto ai fatti della Parmalat, è quella attinente alla biografia del Rag. Botta, interpretato da Servillo. L’attore napoletano però è come se si approfittasse della porta che gli lascia aperta la produzione per autogestire con maestria e la solita classe il suo ruolo, ma imbrigliandolo nella voragine del suo portentoso talento.
Va detto che la bravissima Sara Felberbaum gli tiene testa con un fascino ed una ostinazione assolutamente all’altezza della situazione fino ad una scena di sesso incredibilmente torrida e liberatoria. Il rapporto d’amore-odio tra i due è filmato in modo intenso, ma non tanto da riuscire a far capire se l’intenzione del regista era quella di far primeggiare nell’andamento del film questa relazione rispetto a tutto il resto. A nostro modo di vedere la pecca più grande è stata quella di attribuire le cause maggiori del crollo dell’azienda del bravo Remo Girone al pressapochismo, all’inadeguatezza e ad una sorta di devozione ottusa dei suoi collaboratori (e soprattutto di Servillo). La cosa in sè non sarebbe un problema, ma l’insistenza di tutto questo, unitamente allo sguardo troppo familiare sui protagonisti (Girone che asciuga i piatti), è come se desse un’interpretazione troppo accomodante a dei truffatori che poi sono rimasti anche impuniti. E i risparmiatori finiti sul lastrico?
Peccato, perchè alcune intuizioni nel montaggio e nella musica, come l’abbruttimento morale (Gelminizzazione?) della Felberbaum in pochi secondi è veramente da togliere il fiato.
bellissimo! Gli manca l’indice!!!!!!!!!