Bibliothéque Pascal è stato presentato in questi giorni al Torino Film Festival nella sezione Festa Mobile. Ripubblichiamo la recensione della nostra collaboratrice Maria Giovanna Vagenas scritta in occassione del passaggio del film al Forum berlinese.
In un evento cinematografico gigantesco come la Berlinale inevitabilmente bisogna operare delle scelte a priori; forse non sarei mai andata a vedere Bibliothéque Pascal – presentato nella sezione Forum – se il suo titolo, associato alla luminosissima fotografia di una giovane donna sulla spiaggia, non avesse risvegliato la mia curiosità. La mia intuizione si è dimostrata giusta: Bibliothèque Pascal, realizzato dal giovane regista ungherese Szabolcs Hajdu, è un film di una bellezza surrealista e di una ricchezza visuale incredibile. Hajdu riesce a trattare nel film un soggetto duro e doloroso come quello della tratta delle bianche attraverso una piccola favola dei giorni nostri piena di affetto e di autentica compassione.
Bibliothèque Pascal ci trasporta in una dimensione fantastica dove tutto sembra possibile e tutto coesiste: il bene ed il male, in una filastrocca vorticosa, per farci approdare alla fine, di nuovo – forse – nel grigiore e nella tristezza della vera vita, della vita di tutti i giorni.
L’eroina di questa incredibile avventura è Mona Paparou, una giovane donna rumena di origine ungherese. La pellicola si apre con una scena sobria e prosaica: Mona si trova di fronte ad un assistente sociale e deve convincerlo che merita di ottenere di nuovo il diritto di tutela della sua bimba. La ragazza inizia così a raccontargli la sua storia. Se fin qui lo stile del film era palesemente realista a partire da questo momento penetriamo in un universo completamente diverso: il mondo della memoria di Mona, un mondo in cui i fatti reali si trasformano in altrettante avventure mozzafiato, meravigliose e terribili allo stesso tempo. In una lunga epopea magica vediamo snodarsi davanti ai nostri occhi le diverse tappe dell’incredibile vicenda di Mona, veloci come dei pensieri, colorate ed inverosimili come dei sogni. Mona organizza dei concerti all’aria aperta ma un giorno durante lo spettacolo si azzuffa col suo compagno, poi arriva una pioggia torrenziale e così perde il suo lavoro. Su una spiaggia fa la conoscenza di un affascinante criminale in fuga: Viorel. Mona lo nasconde e soccombe al suo fascino. Il giorno dopo Viorel viene ucciso dalla polizia… Qualche anno è passato: Mona lavora in una fiera, ha un teatro di burattini. Con lei c’è una bimba: é sua figlia, Viorica, nata dal rapporto con Viorel. È capodanno, la notte è splendida e gioiosa, i fuochi d’artificio illuminano il cielo ma in questa notte il destino di Mona prenderà un’altra piega. Suo padre si fa vivo improvvisamente dopo molti anni d’assenza: deve dei soldi a dei criminali che minacciano di ucciderlo se non paga. Ha promesso loro in cambio dei suoi debiti una “ragazza”, cerca di persuadere le donne che conosce ma nessuna è disposta a seguirlo. Sua figlia è la sua ultima chance; prega Mona di accompagnarlo mentendole e dicendole di essere malato. Mona lo crede in buona fede ed accetta. Lascia di malincuore Viorica in custodia dalla zia – una cartomante creativa e fantasiosa – e parte con lui. Le cose vanno a finire male: suo padre viene ucciso e lei viene veduta come prostituta ad un bordello di Liverpool.
Il posto si chiama Bibliothéque Pascal ed è tenuto da un mefistofelico personaggio, metà clown, metà spietato aguzzino. In questo bordello sado-masochista frequentato da una clientela di riguardo ogni stanza è dedicata ad un personaggio letterario incarnato dagli infelici prigionieri della biblioteca: Giovanna d’Arco, Pinocchio, Lolita, Dorian Gray… Tutti vivono nel terrore di finire nella stanza di Desdemona… Un giorno Mona si ritrova in questo spazio, per lei sembra arrivata la fine ma all’ultimo momento un miracolo le renderà di nuovo la libertà. Cut. Di colpo ci ritroviamo nell’ufficio dell’assistente sociale: l’uomo che ha ascoltato incredulo tutta questa storia dice alla ragazza che se vuole riprendere la custodia di sua figlia deve, finalmente, raccontargli come sono veramente andate le cose.
Bibliohéque Pascal è un film fuori dal comune che sa creare un suo proprio linguaggio estetico originale, audace, inconfondibile. Il film stupisce per il ritmo estremamente sostenuto e al contempo molto fluido che mantiene dalla prima all’ultima scena. All’interno della vicenda gli eventi, uno più incredibile dell’altro, si susseguono con quella strana logica associativa che vige nei sogni e che pare, in quel contesto, completamente giustificata. L’atmosfera fiabesca è tradotta in un universo visuale sontuoso fatto di colori brillanti, forti contrasti cromatici, forme estreme, elementi kitsch e popolato da altrettanti personaggi straordinari. Una colonna sonora dalla melodia ipnotica e delle lunghe carrellate contribuiscono ad accentuare la sensazione di essere costantemente in bilico fra realtà e fantasia.
La forza inventiva di Hajdu è prodigiosa, un vero fuoco d’artificio, coadiuvato da una serie di effetti speciali sempre usati con moderazione e a proposito. L’allestimento della Bibliothéque Pascal è una creazione artistica in sé: le sue stanze sono dei veri e propri tableaux vivants.
Ma è soprattutto l’eroina del film con la sua grazia, la sua dolcezza ed una specie di passività mista ad uno stupore quasi infantile a conquistare i nostri cuori. Quello di Mona è un personaggio incantevole che si lascia portare dagli eventi come da un fiume in piena conservando sempre sul suo bel volto espressivo la sua fiducia nel mondo e negli altri. Vivace e sbarazzina all’inizio, incredula e apatica alla fine Orsolya Török – Illyés riesce a trasmetterci con un’incredibile naturalezza l’odissea emotiva della protagonista; il film deve molto alla sua straordinaria interpretazione.
Degno di nota è anche il resto del cast fra cui spiccano due grandi attori rumeni: Razvan Vasilescu nel ruolo del padre e Oana Pellea, nel ruolo della zia. E poi c’è Fellini mischiato a Kubrick, una goccia di Terry Guilliam, l’universo dei gitani, quello delle fiere e ovviamente il circo. Ma tutto ciò da una miscela completamente nuova, fresca, sorprendente. In questo mondo incantato viene mobilizzata tutta una schiera di artisti di varietà: la ragazza stessa sembra appartenere ad una famiglia di gitani, organizza concerti all’aperto, poi allestisce un teatro di marionette, l’ambiguo Pascal dal canto suo si produce in un esilarante numero di equilibrismo.
Bibliothéque Pascal è costruito con molto affetto e molto amore; è autentico e per questo ci commuove e ci convince. Hajdu parla di un universo che conosce bene perché è il suo: il mondo del circo. Sia lui che suo fratello hanno lavorato per il famoso Cirque du Soleil- un’istituzione unica al mondo nel suo genere. Il regista mette inoltre in scena le due persone per lui più care al mondo: sua moglie Orsolya Török –Illyés, nel ruolo della protagonista, e la loro bimba Luiza Hajdu, nel ruolo di Viorica.
Tutta questa deflagrazione, questa fiaba meravigliosa e straordinaria non è però fine a se stessa: Hajdu ha saputo dare a questo racconto una struttura narrativa che lo ancora nel mondo reale
e gli dà un senso. La fiaba si rivela essere qualcosa di ben più doloroso e profondo: un modo per potere accettare la propria vita e una realtà molto sordida e triste. La mitomania di Mona non è altro che una difesa psichica: dietro il racconto di un’avventura fantastica la ragazza nasconde la sua fragilità e la sua sofferenza.
Bibliothéque Pascal evoca la magia del cinema. Nella tradizione di un Mélies, Hajdu riesce a farci provare quella sensazione di meraviglia e stupore che devono avere sentito i primi spettatori della storia di fronte a tale spettacolo. Mi auguro che un distributore abbia l’occhio ed il coraggio di proporlo al pubblico italiano. In fin dei conti Bibliothéque Pascal non può essere descritto, va visto!