Un sabato piovoso. Bisogno di sognare, di viaggiare con la fantasia. Mi faccio condurre da una locandina elegante, dal sapore demodé: su sfondo scuro, la sagoma di un uomo di tre quarti, alto, vestito di un completo rosso (con pantaloni e maniche della giacca troppo corti), con in mano un piccolo tavolino: sembra in equilibrio precario per spiare al di là di un sipario… Cosa starà guardando? Sagoma inconfondibile… E, infatti, spiccano due nomi: Chomet (dell’indimenticabile Appuntamento a Belleville) e Tati.
In tempo di 3D, di Wii, L’illusionista ha il sapore di un viaggio d’altri tempi, un po’ “fuori moda”, ma magico e poetico che riporta la memoria alla mia infanzia, alla trepidazione per la nuova animazione Disney in arrivo. Confesso che sono cresciuta a Libro della Giungla, Biancaneve, La carica dei 101: ricordo di aver visto quest’ultimo con mio padre – mia madre non amava e non ama l’animazione – in un cinema di un piccolo paese di mare della Liguria (mia terra di origine). Alla fine del film ad aspettarci la nostra 127 bianca (tipica degli anni ’70). L’andare al cinema era un rituale bello ed emozionante della mia infanzia, ed era solo mio e di mio padre, come l’andare in bicicletta: lui su una leggera da corsa io in “Graziella”, gli stavo perfettamente dietro anche in salita… Proprio con lui vidi il primo film “da grande” (in un cinema di seconda visione): Grease.
L’illusionista è lontano dalle animazioni Disney, ma ne conserva il sapore artigianale dei disegni fatti a mano che ho amato per anni e che ho poi ritrovato in Nick Park – mago della plastilina e il suo magico Wallace&Gromit con cui spiegai che cos’è un’inquadratura a dei curiosi e attenti bambini di 7 anni che non erano mai stati al cinema… Ma anche nel cinema di Myiazachi… Pur se in due dimensioni L’illusionista è tridimensionale con movimenti di macchina che mostrano luoghi, soggettive che fanno entrare dentro la scena. Un perfetto racconto per immagini fatto di disegni, colori, musica e pochissime parole. In epoca di 3D non è stato facile per il regista – a sei anni dal successo del poetico e surreale Appuntamento a Belleville – trovare animatori che sapessero ancora fare un’animazione in 2D. Alcuni tra l’altro ormai si erano dati a tutt’altro mestiere (dall’autista al cameriere).
Un padre e una figlia. L’illusionista è arrivato a vivere grazie all’amore di una figlia per un padre. E’ tratto infatti da una sceneggiatura mai realizzata di Tati e conservata nel cassetto dalla figlia (Sophie Tatischeff) che ha deciso di darla a Chomet dopo che le aveva chiesto la sequenza del postino in bicicletta di Giorno di festa per Appuntamento a Belleville. Solo la magia di un animatore poteva far rinascere sullo schermo Monsieur Hulot: quale attore avrebbe mai potuto interpretare la sua inconfondibile gestualità? Il film doveva essere girato dopo il successo di Hulot quando ormai Tati poteva fare tutto quello che voleva e invece girò Playtime che fu accolto così negativamente che divenne il suo ultimo film. Playtime racconta di un mondo di follia tecnologica: il protagonista è un personaggio che non parla a cui gli oggetti si rivoltano contro. E’ un film ultramoderno, dove non esiste un primo piano. Di una potente avanguardia, incompresa negli anni in cui uscì.
Un padre e una figlia. L’illusionista racconta proprio dell’amore paterno tra un vecchio prestigiatore che è costretto a lasciare Parigi e Londra in cerca di fortuna in uno sperduto villaggio scozzese e Alice, una ragazzina, povera che crede nella realtà della sua magia… Alice lo segue ad Edimburgo. L’uomo l’accoglie come una figlia. L’uomo è vittima di un mondo che sta cambiando: al vaudeville subentrano gruppi rock di giovani scalmanati. Alice e il prestigiatore vivono in povere pensioni insieme a clown, acrobati, appartenenti a un mondo ormai al tramonto che è sostituito da una società materiale e disincantata che non può apprezzare la poesia della bacchetta magica dell’uomo che fa uscire fiori e conigli da un cilindro. Il Film che è un omaggio a Tati, risuona anche degli echi chapliniani di Luci della ribalta. Tati come Chaplin era riconoscibile in tutto il mondo per il movimento, per la gestualità.
Esco dal cinema e sull’autobus che mi riporta a casa un vecchietto alto, slanciato elegante coi pantaloni alla caviglia (un Tati “de roma”) attacca discorso con un ragazzino un po’ soprappeso. “Se vieni con me ti faccio dimagrire… Oggi ho fatto 105 kilometri… Fino al Lago di Bracciano: conosci? Devi dimagrire… Devi fare sport…” “Ma io nuoto” “Quanto sei alto? Quanto pesi?”. Per caso sono stata risucchiata dentro al film?