Valerio Jalongo arriva al Festival di Roma 2010 con il primo film italiano in concorso e, dietro La Scuola è Finita, si avverte la mano di chi la sa lunga in fatto di pubblica istruzione. Insegnante per alcuni anni, traspare la sensibilità di chi ha vissuto le pratiche quotidiane del fare scuola, ma anche il meno scontato approfondimento del rapporto che interessa le origini sociali degli studenti con il loro successo scolastico e, più in generale, sociale.
Ambientato in un istituto superiore romano, la pellicola fa un quadro decisamente poco incoraggiante dell’ambiente scolastico italiano: noia e apatia regnano sovrani interessando gli stessi docenti, disillusi e sfiancati da un ambiente che sembra concedere pochi sprazzi di entusiasmo. In aula volti assenti di chi, anche al di fuori delle mura scolastiche, non saprebbe bene cosa fare, studenti dediti allo spaccio e al consumo di droghe sintetiche che occupano l’istituto senza reali motivazione e che sembrano avere un guizzo solo al cospetto della musica.
Molte le sfaccettature, forse troppe, che Jalongo porta all’interno della sua pellicola spronato dai diversi mesi passati attraverso l’esperienza di indagini fatte nella quotidianità scolastica e di interviste nelle case degli studenti. La paura di perdere alcuni aspetti o segmenti messi in luce nel corso delle sue esperienze e analisi, costituisce uno dei primi punti deboli de La Scuola è Finita. Tre i protagonisti principali: lo studente Donadei, e i due docenti Quarenghi e Talarico; così il film entra ed esce dalle mura dell’istituzione pubblica per analizzare vissuti ed aspetti privati dei suoi personaggi: il rapporto tra i due professori ex coniugi, il rapporto ambivalente tra Donadei e la professoressa Quarenghi impegnata nel recupero del ragazzo, il retroscena famigliare dello studente con una madre smarrita quanto lui e un padre ex eroinomane che compare dopo anni di recupero, lo sbandato professor Talarico che ‘partecipa’ all’occupazione dell’istituto e sperimenta la ketamina con Donadei.
Vicende che nella messa in scena risultano pur credibili, al di là di quel che si possa immaginare dal resoconto di una semplice descrizione. Ciò che non torna è quello che sembra attanagliare, in sceneggiatura, gran parte della cinematografia italiana contemporanea: esagerare con aspetti che minano la credibilità della complessiva operazione, eccedere nella narrazione nel tentativo di assicurarsi il coinvolgimento dello spettatore, giungendo però ad una mancanza di reale approfondimento, un focus su quel segmento della realtà affrontato che investa pochi aspetti ma con risultati che ne permettano la comprensione, lì dove ciò che non viene raccontato, o spiegato, è percepibile nel palesarsi di indeterminatezze che acquistano la potenza di un’epifania. Generalizzando: cineasti e sceneggiatori che sembrano smarriti e disorientati tanto quando la realtà che cercano di indagare.
Perché Jalongo adotta a tratti un’estetica che sembri andare incontro ai gusti della generazione che sta analizzando? Un ennesimo indizio di indecisione sulle migliori strade da intraprendere per la sua indagine? Gli stessi inserti musicali con protagonisti gli studenti, e che separano ciascun capitolo della pellicola, poco ci aiutano a capire perché e quali sono le coordinate che permettono ad una generazione demotivata di destare sensibilità ed entusiasmi inaspettati verso altri ambiti, come può esserlo quello musicale. Quel che più convince è, paradossalmente, non l’analisi di una giovane generazione o dello stato attuale del mondo scolastico, ma l’osservazione di una generazione più adulta, quella dei due docenti, travolti dalla disgregazione privata, prima che sociale, che li rende loro malgrado esitanti e confusi su come e dove agire, su cosa sia giusto o sbagliato fare, chiedendosi quale sia il limite massimo entro cui può muoversi il loro intervento in mancanza di qualsiasi solidità istituzionale.
La pellicola, più che nel non dare risposte, pecca nel suscitare poche domande, e dispiace della sensazione prevalente che La Scuola è Finita lascia in bocca a proiezione ultimata, e questo non solo per le buone interpretazioni degli attori, su cui spicca immancabile la Golino, ma anche perché si percepisce in Jalongo una certa genuinità e onestà di intenti.
CONCORDO…