Tommaso Cotronei è un vibonese, un calabrese della nuova provincia di Vibo Valentia, che dalla sua Terra è scappato come un merlo dalla gabbia. Tommaso Cotronei è un regista. Di film o di documentari, a seconda della sensibilità. Perché, nel caso di Cotronei, non è questione di realtà o finzione; davanti alle sue immagini non puoi dubitare neanche per un attimo che quel signore non ti stia raccontando una storia vera, cruda e tosta, tanto rimossa dalle nostre quotidiane pre-occupazioni, quanto attuale, inaccettabile, intollerabile. Con uno stile che sottrae, che toglie, che rinuncia, che alleggerisce fino al punto da far esclamare a molti “è pesante”.

Cotronei, allora, è un regista di film documentari che idea, progetta, filma e monta in maniera totalmente autonoma, indipendente dai condizionanti finanziamenti del Ministero o del Luce. I suoi lavori hanno girato i Festival di Parigi, Madrid, Locarno, Pesaro, Torino, Salina e molti altri. L’Aniene Film Festival permetterà di vedere due suoi film: Lavoratori, storia di due bambini contadini nell’entroterra calabrese, si potrà vedere il 4 agosto a Roviano, mentre Ritrarsi, storia del vecchio ‘Ntoni e di sua moglie nel paesino montano di Dasà, si potrà vedere lunedì 30 agosto al cinema Farnese di Roma.

 

Nella vita di tutti i giorni, poi, è anche un libraio, un ambulante di Porta Portese, un bravo venditore della domenica. Se lo vai a trovare, sette per tre ventuno e ti porti a casa una buona lettura a un prezzo scontatissimo.

T.C.: "Mi spiace che oggi la gente i libri se li debba cercare sotto il sole, ma mi hanno rubato la base dell'ombrellone. L'ho lasciata qui un attimo ed è sparita. Domani parto, vado in Calabria. Vendere libri è un'attività che mi dà da vivere e che mi piace. Spaccio un pò di cultura a poco prezzo. Hai visto? Ho arrotondato perchè voglio che la gente vada via felice. Vengo qui anche per socializzare un pò, fare due chiacchiere. Vivo fuori Roma, abbastanza solitario, ogni tanto qualche fotografo mi lascia da montare dei matrimoni. Prima lavoravo in una libreria all’EUR: se provavi a sfogliare un libro, il padrone ti riprendeva e allora mi sono licenziato. Ho scoperto i libri verso i trent'anni, a quaranta mi sono iscritto all'università, ma non l'ho mai terminata. Però ho scoperto gli studi, quelli umanistici: ti salvano la vita. Sono uno strumento di comprensione, ti aiutano a dominare l'angoscia, l'ansia, le frustrazioni. Qualche tempo fa è venuto un ragazzo, cercava tutti libri di filosofia. Sapeva tutto, sembrava un professore. Gli ho chiesto "che mestiere fai". Indovina? Il portantino al Policlinico."

Se lo vuoi incontrare, Tommaso, oltre a farti il prezzo, ti parla, ti racconta, con rabbia e lucidità. Se lo trovi aggressivo e astioso qualche motivo ci sarà. Ma se gli dici che sei uno studente del DAMS o un appassionato di cinema ti guarda malissimo…

T.C.: "Anche io prima leggevo i libri di Fofi, lo osannavo. Fofi qui, Fofi lì. Ma poi Fofi critica Moretti, Moretti critica Fofi e invece sono la stessa cosa".

T.C.: "I miei film costano pochissimo, quasi niente. Giro 50, 60, anche 70 ore. Poi monto a casa con Premiere. Final Cut l'ho studiato, ma non lo uso. La spesa più grossa è stata la videocamera, qualche anno fa. Oggi vieni a Porta Portese e te la porti via a 1000 euro, magari rubata.”

T.C.: “Giro sempre da solo, senza neanche il fonico. Non mi serve. Chi insegna a fare documentari dice che un film si può vedere male, ma si deve sentire bene. Io invece curo di più la fotografia, la composizione del quadro. Lavoratori è un film praticamente muto e quelle poche conversazioni che si sentono (in dialetto non sottotitolato, ndr) non hanno alcuna importanza. In Ritrarsi invece le parole contano eccome, infatti è sottotitolato. Però, in quella situazione così intima, personale, delicata, se ti porti un fonico, un estraneo, rischi di perdere in profondità, in sincerità. Fino ad oggi i personaggi dei miei film sono persone che conosco e frequento veramente, che anche davanti una videocamera mi aprono la porta dell’anima oltre che quella di casa”.

T.C. "Sono andato al cinema a vedere delle cose ultimamente, ma non mi è sembrato di scovare nulla di nuovo. Sempre questo sguardo o da antropologo o da guardone, alla De Seta. Io sono un calabrese vero, non ho studiato a Roma o a Milano insieme ai figli di papà per poi tornare giù con in mano una videocamera a fare l'artista. Quello che si vede in Lavoratori io l'ho vissuto veramente. Io ho la schiena cosi (disegna una S nell'aria ndr) perchè a 10 anni portavo i pali a spalla. Mio padre era boscaiolo e mi portava a lavorare con lui. A quell'età hai il mito del padre: lo vuoi aiutare, vuoi essere come lui, ti vuoi sentire più grande. Poi piano piano realizzi: mai un pomeriggio per andartene al mare, mai un gelato la sera. Per evadere un pò mi sarebbe bastato leggere un giornale la domenica. Neanche quello avevo. E il mio destino era di diventare boscaiolo anch’io. Perciò se metto nel film l'immagine di un bel paesaggio con la nebbia, o un bel tramonto, una bella montagna, o il profilo di un paese in controluce, so benissimo che se vivi e lavori lì, tutti i giorni della tua vita in quei posti, con il sudore e la fatica costantemente addosso, non hai alcuna possibilità di notarli, di vederli, di apprezzarli in senso estetico. Sei talmente stanco e annoiato, talmente assuefatto, hai tanti di quei problemi che non te ne fotte niente. Invece chi si approccia a queste situazioni con un fare intellettuale, borghese, guarda questa gente dall’alto in basso e sembra dirti "che fortuna questi contadini a vivere tra queste belle montagne; che fortuna questi bambini a vivere all'aria aperta”. Ma quale bellezza, quale fortuna. Se non scappi, se non hai l’istinto di reagire, sei a rischio impiccagione. Uno dei protagonisti di Lavoratori, il più grande, adesso è cresciuto. Vorrebbe andare a scuola, si è iscritto, ma il padre, che è un ignorante, non ce lo manda. Io sono scappato a 23 anni, sono andato in Svizzera, lavoravo nei cantieri edili, guadagnavo il doppio che in Italia, ma sempre di pala e piccone si trattava. Allora ho iniziato a girare l'Europa sui treni, senza biglietto. Dormivo nelle stazioni e la polizia ti svegliava a calci".

 T.C.: “Lavoratori è il mio film che colpisce di più. Lavoratori ha girato molti festival ed è piaciuto un pò ovunque perchè tocca dei punti sensibili: vedere dei bambini costretti dai propri genitori a lavorare è una cosa che tocca sia l'adulto, che è stato bambino, sia i genitori di oggi che vedono i loro figli costretti a quegli stessi sacrifici. Invece Ritrarsi ha faticato molto a circolare, forse perchè parlo male della CGIL (ride, ndr). Paolo e Cristina sono stati molto coraggiosi a sceglierlo per la serata al Cinema Farnese. Però pure loro un po’ di paura ce l’hanno, infatti mi hanno messo all’ultimo spettacolo. (ride ancora, ndr)

T.C.: “Per me non è questione semplicemente di occupazione o disoccupazione. Non voglio passare per comunista perchè non lo sono, ma qualche giorno fa ho sentito una notizia che mi ha fatto riflettere: a Cuba, se perdi il lavoro, il governo continua a pagarti una parte del salario a patto che tu ti iscriva all'università e che porti a compimento gli studi scelti in un certo arco di tempo. Anche se hai 50 anni. Questa è una cosa bellissima, giuro mi si è accapponata la pelle. Perché è questo il punto: non vuol dire niente “lavori o non lavori”. Bisogna vedere se, nel tuo lavoro o parallelamente al tuo lavoro, hai la possibilità di esprimere te stesso e le tue esigenze più profonde.”

Per concludere, per non parlarsi troppo addosso, per essere brevi e andare al punto, Tommaso Cotronei mi regala un suo scritto. Una poetica sinossi di Ritrarsi, che secondo lui funziona come un piccolo “manifesto” del proprio pensiero e delle proprie esperienze. "Dei bisogni dell’anima politici ed intellettuali in genere non ne parlano mai. E nemmeno quelli di sinistra purtroppo!

E quanto tempo sprecato in tante riunioni: “come mai l’operaio non ci vota?” continuano a domandarsi. E’ perchè non si sente toccato nell’animo, nelle sue esigenze più intime. Si sente lasciato solo assieme ai suoi figli condannati alla medesima esistenza.

E quando di tanto in tanto qualcuno osserva questa “razza inferiore”, in letteratura o cinema che sia, la racconta come bisognosa di sole cose. E con lo sguardo da turista un po’ guardone e non sfiora mai l’anima. Gente guardata solo come fenomeno da studio, ma lasciata sola con i conflitti interiori e con la sua incapacità di risolverli.

Lo sguardo onesto dovrebbe essere verso le speranze incontaminate di un bambino e l’angoscia dei genitori che si trovano ad assistere allo straziante spettacolo dei propri figli condannati a condurre la loro medesima esistenza. Non di rado i migliori fra i giovani contadini, dopo essersi violentemente allontanati dalla scuola per darsi al lavoro, provano di nuovo, terminata l’adolescenza, il bisogno di istruirsi. D’altronde, questo accade anche ai giovani operai. Ma i genitori non dovrebbero avere il diritto di impedirli. E la classe intellettuale dovrebbe stare lì ad aiutare i genitori a comprendere, e sarebbero perfetti intellettuali. Ma è una classe intellettuale mediocre, ed in gran parte è una cultura di intellettuali borghesi, e più particolarmente da qualche tempo, una cultura d’intellettuali funzionari.

Cultura usata come strumento maneggiato da professori per fabbricare professori e che a loro volta fabbricheranno professori. E con bonario sorriso: "Beati voi contadini che potete respirare tra i fiori l’aria pura e potete gustare il formaggio fresco!"…

Ma quando si dividono con gli operai o i contadini faticose giornate di lavoro, e questa è l'unica possibilità di parlare con loro a cuore aperto, si sentono alcuni di loro rimpiangere il lavoro troppo duro che non li lascia godere delle bellezze della natura.

La disoccupazione viene generalmente considerata la madre di questo disagio, ma tanti non si accontentano di un lavoro qualsiasi. Viviamo in una società che non dà possibilità di scelta, una società che nega anche la speranza di poter fare un lavoro affine alla propria personalità.

Ma della impossibilità di scelta se ne parla poco e niente. E quanti morti sul lavoro sono spesso causa di questo intorpidimento generato da ore trascorse su di un’impalcatura in un’occupazione che non si ama!

Nel lavoro manuale c’è un elemento di servitù che nemmeno un’ equità sociale perfetta potrà mai cancellare. E' la conoscenza che dà ad ogni individuo la possibilità di poter decidere della propria vita e di stare in armonia con il mondo.

E questa “razza inferiore”…nel giorno del voto, a modo suo si ribella: non vota. E se vota lo fa per sfogo. E lo sa. Vota per un qualcosa di dannato, di violento: come la violenza che la soffoca da sempre ma che conosce e le sta accanto; una specie di “voto kamikaze” insomma.

E ‘Ntoni una volta mi confida che vende il voto suo e della moglie per cinquanta euro. Ed io: – Ma non ti vede nessuno nell’urna.

E lui: – Si, si…ma io sono onesto – …ed intanto si faceva cadere un bicchiere di candeggina sulle mani come cura dell’eczema… "Fa bene… una volta al mese fa bene”

Firmato: Tommaso Cotronei.

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