Definendo Simon Konianski come una Little Miss Sunshine in versione Yiddish, l’Humanitè forse ha usurpato brutalmente il diritto ad ogni commentatore a cimentarsi in ulteriori esercizi di critica su questo film.
Sono talmente tanti i punti di contatto tra la commedia del fortunato tandem Dayton-Faris e quella di Micha Wald, che viene da pensare che senza aver mai visto la storia della famiglia Hoover, probabilmente il regista belga non sarebbe mai riuscito a completare in maniera così brillante la sua seconda produzione.
Logicamente sono i disequilibri familiari e le disfunzioni intra-generazionali a dare un senso a tutto il film e se in Little Miss Sunshine erano centrali le considerazioni sul successo e la brama di popolarità, terribili negli Usa, in Simon Konianski gran parte di tutte le dinamiche della scenaggiatura si alimentano sui processi di convivenza dei nuovi giovani ebrei in Europa con la responsabilità e l’onere della commemorazione per i drammi dell’olocausto.
Come esponenti maschili, abbiamo sempre riconosciuto la preminenza del fascino di tutte le donne edotte dalle pratiche della danza. Wald nelle scene iniziali va anche oltre la celebrazione epica di Soriga nell’ottimo Sardinia Blues e descrive lucidamente i tratti di disperazione in cui un uomo può abbandonarsi se lasciato da un’iresistibile ballerina goy come Corazon, in questo caso, ex compagna del protagonista.
Per Simon però i rapporti sono ancora più complicati con il padre. Una volta perso anche il lavoro e affidamento del figlio, il nostro è oltretutto costretto a tornare a vivere con l’anziano genitore che logicamente non gli risparmierà frecciate spietate per rinfacciargli l’incerta affermazione sociale e la scarsa – diciamo così – sensibilità ai valori tradizionali della cultura ebraica.
Proprio dal confronto di due modi differenti di vivere le proprie radici nasce uno degli spunti più interessanti del film. All’interno di gag più o meno prevedibili, se solo si è visto un trailer dei Coen o Borat, Wald riesce infatti ad inanellare un ritmo incalzante e un’immedesimazione credibile nei protagonisti potendo alternare momenti di grande comicità e altri di assoluto silenzio, come quelli della visita nel campo di concentramento, del tutto funzionali e non pretestuosi, allo sviluppo della storia.
Oltre alla riflessione sui drammi passati degli ebrei, non manca l’approfondimento in modo caustico su alcune delle colpe e responsabilità più inerenti all’attuale scontro israeliano-palestinese.
In questo senso la critica del regista non si concentra solo sulle vecchie generazioni ebree, ma coglie un respiro sicuramente più ampio coinvolgendo il processo di involuzione ideologica e morale che colpisce oggi molti vecchi progressisti e antinazisti, la cui virtù del passato, non ha resistito all’insidia del razzismo strisciante che contagia tutti.
Simon Konianski è sicuramente venuto dopo Little Miss Sunshine, ma a nostro modo di vedere ha molti più spunti di riflessione. Ottimo per i vostri cineforum, se volete.