[***] – Catherine Corsini ha rivelato che durante il montaggio di Partir – questo il bellissimo titolo originale tradito dall’italiano L’amante inglese – in alcune scene si poteva udire il battito del cuore di Kristin Scott Thomas. Noi spettatori non abbiamo avuto questo piacere, ma in compenso abbiamo visto il personaggio da lei interpretato – Suzanne, una donna sposata e con figli adolescenti travolta da insolita passione per Ivan, operaio spagnolo – avvampare emozionata o sbiancare improvvisamente per la paura, e abbiamo capito da una vena improvvisamente rigonfia sulla sua fronte che si stava innamorando di Ivan-Sergi Lopez. Sta in questo tipo di verità corporea la principale qualità del L’amante inglese, che non è certo il primo film a raccontarci l’amour fou, ma che lo fa in maniera inesorabile e soprattutto concreta.
In uno di quei rari momenti di verità che si fanno largo nelle crisi, durante uno scontro fisico con il marito, la protagonista dice: “So che vi faccio soffrire, ma non posso fare altrimenti…”: non è lei a tenere il timone della sua vita, è come posseduta da un desiderio che non le consente di far altro che trasformarla, abbandonando marito, figli e un’agiata esistenza di moglie borghese. La regia di Catherine Corsini e la recitazione di Kristin Scott Thomas rendono perfettamente questo aspetto trasformativo, rivoluzionario della passione, che è tale proprio perché rende passivi, lascia prevalere i sensi e il corpo a discapito delle volontà, delle convenienze, delle regole morali.
Suzanne e Ivan si innamorano faticando insieme sotto l’afa estiva, Ivan rischia di morire per salvarla da un incidente, Suzanne si accorge della sua disponibilità quando si ritrova a denudarsi in pubblico per una puntura di vespa, Ivan la guarda per la prima volta in quel modo mentre lei gli fa una puntura. Tutto avviene fisicamente, prima che i protagonisti riescano a percepirlo coscientemente. Ed è con questa sensibilità spiccatamente femminile per i segnali del corpo, con questa regia sensoriale, che il film ci avvince e conquista quella credibilità che ci fa accettare tutto quel che di molto romanzesco succederà dopo: la fuga, la lotta, la tragedia.
E’ questo che rende bello e originale L’amante inglese. Perché tutto il resto è Truffaut, è Chabrol e già lo sapevamo. La donna col fucile, l’arrivo dell’amante in casa, la follia d’amore che rende capaci di gesti, estremi, distruttivi, e perfino le musiche di George Delerue e Antoine Duhamel, dichiaratamente rubate a Finalmente domenica, La mia droga si chiama Julie, e a La signora della porta accanto. Ma Catherine Corsini ruba ai registi della Nouvelle vague così come loro avevano rubato a Hitchcock e Rossellini, con amore e inventiva, e per questo le si lascia passare anche un’operazione così spericolata e postmoderna come il riutilizzo pari pari delle colonne sonore di Truffaut.
Poi c’è il discorso dell’ottica femminile e persino moderatamente femminista, che indubbiamente caratterizza L’amante inglese e ci fa percepire con chiarezza la ricattabilità di una moglie senza indipendenza economica, l’assurdità di dover rimanere accanto ad un uomo detestabile per garantirsi la sopravvivenza materiale, il paradosso di ritrovarsi nullatenente dopo una vita dedicata ad una casa che legalmente, però, continua ad essere di proprietà del marito. Interpretato da Yvan Attal, quest’uomo è una figura di marito-padrone disposto a ricorrere anche ai mezzi più odiosi per “impadronirsi” nuovamente della moglie, il cui tradimento lo turba solo nella misura in cui intacca il suo status sociale e la sua sicurezza virile, non certo per motivi passionali-affettivi. Una figura forse un po’ macchiettistica nella sua monolitica cattiveria, che però fa risaltare il candore dei due amanti, che hanno il coraggio sventato e naif degli adolescenti ribelli. Alcuni comportamenti della donna sembrano incredibili, se si pensa che ci sono di mezzo anche due figli, ma “d’altronde i film – dice la Corsini – ci consentono di vivere quello che non permettiamo a noi stessi di sperimentare nella vita quotidiana”, e su questo non possiamo che darle ragione.
Giovanna che bello tornare a leggerti,come sempre le tue recensioni sono dotate di grande chiarezza e significatività
sì è vero, sono d’accordo con enzo