Un’auto con due signori a bordo attraversa la classica baraccopoli romana anni Sessanta quali potevano essere il Mandrione, Valle Aurelia o Prati Fiscali. Uno dei due esclama: “Guarda che roba, baracche con l'antenna. Non hanno il cesso, ma hanno la televisione!”. Che film era? Chi era l'attore? E che personaggio interpretava: un contadino sprovveduto, un operaio emigrato, un commenda furbo e disonesto, un semplice burocrate?
La commedia all'italiana, madre eccellente del “tipus italicus” (come direbbe Brancaleone) ha partorito, in poco meno di quarant'anni, una casistica varia, vasta e vicendevole di maschi italiani. Mariti amanti figli padri, pasciuti o straccioni, tutti ugualmente cinici arrivisti falsamente intraprendenti: delle simpatiche canaglie.
Con I mostri al lavoro Edoardo Zaccagnini ha pensato di utilizzare questo folto e sgangherato esercito di abili doppiogiochisti per sistematizzare alcune figure maggiormente ricorrenti e analizzare, tramite la loro evoluzione, i cambiamenti dei costumi nazionali. Il mondo contadino che lascia il posto a quello operaio, la campagna e il sud che si spopolano a favore della città e del nord, i sogni di grandezza e ricchezza portati dal boom che svaniscono e la mai domata piccola ossessione del posto fisso.
Le penne più famose del cinema italiano sono quegli uomini che, con fortuna e grande lucidità, hanno attraversato e vissuto in prima persona il passaggio dal fascismo alla Repubblica, dal boom alla prima crisi petrolifera, dalla Resistenza agli anni di piombo. I loro nomi sono Sonego, Age, Scarpelli, Cecchi d'amico, Flaiano, Pinelli, Marchesi, Maccari, spesso legati in sodalizio ai più famosi Monicelli, Risi, Comencini, Scola, Zampa, Magni, essi a loro volta innamorati di interpreti come Sordi, Mastroianni, Manfredi e Gassman. E già questo breve elenco la dice lunga sulla abissale disparità di attenzione filmica tra l'emancipazione dell'uomo, rappresentata in mille sfumature, e quella della donna, vagamente tratteggiata dalla Valeri e poche altre.
Un piccolo drappello, arricchito da magnifici caratteristi, che ha suonato, o almeno cercato di suonare, la sveglia a un popolino umile e sonnacchioso. Artisti e intellettuali facenti parte di una generazione cresciuta passando dalla fame all'appetito per arrivare alla sazietà. Come disse uno di loro, “la commedia è finita quando i registi hanno smesso di prendere l'autobus”.
Magari non sarà proprio così, forse è finita un po’ dopo e forse il distacco tra artisti e realtà non c'entra molto. Grazie alle pagine de I mostri al lavoro, con la loro enorme e gustosa mole di film citati, con le trascrizione di brani di dialoghi e battute memorabili dei nostri capolavori della risata, sale spontanea una riflessione. La commedia all'italiana trova terreno fertile tra un pubblico che era abituato a sorridere, ma non a ridere. L'evasione dalla realtà benvoluta, se non imposta, dal fascismo ha prodotto storie senza malizia e malvagità, imperniate su equivoci innocui nei quali incappavano soprattutto i giovani. Assente ingiustificata ogni debolezza dell'età adulta. Dopo i trionfi degli anni Cinquanta e Sessanta la commedia si annacqua e si spegne lentamente, durante gli anni Settanta, negli erotic movies banfo-fenechiani nei quali l'unico conflitto sociale e storico presente è quello dell'uomo con il suo pene. Ovvero, in una decade durante la quale, secondo alcuni storici, in Italia è in atto una guerra civile a bassa intensità, il sistema produttivo repubblicano e democratico (sia cinematografico che televisivo) reagisce in maniera analoga a quello fascista, intrattenendo un pubblico (ancora) vasto con piccole fughe dalla realtà per traguardarlo dentro fantasie ataviche e lontano dalla politica, dalle mafie, dalle speculazioni, dagli abusi di potere, dagli eterni e irrisolti problemi di questo Paese. Una risata ci ha elevato a consapevolezza e una ci ha seppellito. Non ci resta che piangere, tanto per rimanere in tema.
Edoardo Zaccagnini – I mostri al lavoro –ed. Sovera, (€ 14,00)
Dignità e umiliazioni, il mondo del lavoro nel cinema italiano
Repubblica — 25 gennaio 2010 pagina 7 sezione: ROMA
ACHI ama il cinema, ma anche a chi si interroga su cosa sia stato e cosa sia il lavoro, e quanta dignità e quante umiliazioni contenga, non posso che consigliare “I mostri al lavoro” di Edoardo Zaccagnini, giovane studioso romano. “Contadini, operai, commendatori e impiegati nella commedia all’ italiana” è il sottotitolo di quest’ opera un po’ spietata, che scava tra le pieghe dei film dagli anni 50 alla fine dei 70 alla ricerca del senso del lavoro e di com’ è stato raccontato dai maestri della commedia. Certo, l’ immagine più celebre rimane quella di Sordi ne “I vitelloni”, con la sua pernacchia ai “lavoratori”. Siamo un popolo che sogna una domenica perenne, ma sappiamo che la vita è fatta soprattutto di lunedì sudati. E allora ecco l’ Italia contadinae quella operaia, il sogno del posto fisso, i commenda da barzelletta. È un viaggio nel cinema che fu, quando l’ Italia era campagnae poi fabbrica, soldi difficili o troppo facili, pena e solidarietà. Un libro che fa venire voglia di rivedere tanti film dimenticati. © RIPRODUZIONE RISERVATA – MARCO LODOLI
L’articolo riportato sopra è stato preso dal sito del quotidiano “la Repubblica” (Repubblica.it), ed è stato pubblicato dal giornalista e scrittore Marco Lodoli sullo stesso quotidiano “la Repubblica” il 25.01.10.