[***] – Nel 2007, con il sorprendente La Zona, Rodrigo Plà era riuscito a tessere una critica spietata a tutti quei modelli culturali che tendono ad alimentare una contrapposizione insanabile tra i ricchi e i poveri in ogni contesto sociale. L’idea di un incubo fanta-metropolitano sembrava la trasposizione cinematografica perfetta per rielaborare anche in modo simbolico alcune delle teorie più lucide di Bauman o della Sassen sul tema attualissimo della psicosi della sicurezza.

Ora purtroppo la realtà ha superato a destra qualsiasi ipotesi avveniristica o  finzione scenica. Anzi, assistendo a Welcome di Loiret e a tutti gli  effetti devastanti che la legge 622/1  sta provocando nei pressi del porto di Calais (disseminandolo ovunque di code interminabili per l'accesso all'acqua, le perquisizioni o a processi sommari) è difficile non farsi assalire dal senso del surreale e  dell'improbabile come davanti al vecchio Alba rossa di Jhon Milius. Eppure, grazie al provvedimento voluto da Sarkozy per arginare i flussi migratori da e per la Francia, chi ospita o aiuta oltralpe un clandestino rischia davvero 5 anni di carcere e l'ingresso in molti supermercati del paese è vietato agli stranieri che possono disturbare la vista di altri clienti. Proprio in un contesto così disumanizzato con la delazione elevata a valore implicito della cittadinanza, Lioret ambienta una delle storie più intense e appassionanti degli ultimi mesi. Come sempre gli opposti si attraggono, ed era scontato che Bilal, un clandestino curdo pronto ad attraversare illegalmente ed anche a nuoto la Manica per raggiungere la sua ragazza a Londra, si imbattesse nello splendido Lindon, umile maestro di nuoto travolto dall'abbandono della moglie.   
La disperazione e la forza di volontà dell'uno sembra attrarre e ritemprare tutto l'ottundimento sentimentale e morale dell'altro in un rapporto di amicizia paterna che è chiaro sin dall'inizio che finirà per stringersi profondamente. Il regista però lo rende sempre  e incredibilmente appassionante calandolo in una rete psicologica delicatissima e ingovernabile, così come tutti gli impedimenti di carattere culturale, sociale e anche penale che tenderanno ad ostacolare  i due sino alla fine.

La cosa che odiamo di più al cinema probabilmente sono le scene delle tempeste marine. Ci siamo calati talmente tanto nel film però che abbiamo sperato sino all'ultimo che una bufera terrificante convincesse Bilal a non partire. Tanto più che così come sono state filmate da Lioret, le onde del mare non sono mai sembrate così gelide e invalicabili. Difficilmente vedremo un film più intenso prima della fine dell'anno. L'unica cosa che non torna è capire come il regista abbia potuto convincere Audrey Dana ad abbandonare un immenso e fantastico Lindon. 

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