[****] – Opera anomala nel nostro panorama cinematografico, come tutto il cinema di Ferrario, Tutta colpa di Giuda è un musical di ambientazione carceraria sulla passione di Cristo. Sembrerebbe una follia morettiana, come il musical sul pasticciere trotzkista, eppure è proprio quello che il regista indipendente ha realizzato, dopo l’insipido Se devo essere sincera: un esperimento come quelli a cui ci ha abituato, a metà tra fiction e documentario, le due anime interconnesse del suo cinema.
La trama è semplice: un regista teatrale deve organizzare uno spettacolo in un carcere. Protagonisti i detenuti e il tema la Passione di Cristo. Il problema, uno dei tanti, è che non si riesce a trovare nessuno che voglia interpretare la parte di Giuda. Alla base dell’operazione c’è proprio l’alternanza tra due livelli di messa in scena, dove i veri carcerati interpretano se stessi, con effetti inevitabilmente divertenti, da slapstick comedy, con i detenuti costretti a muoversi a ritmo, a cantare e recitare versi a volte molto complicati, anche se Ferrario non cerca ovviamente la facile risata.
Dopo aver frequentato il carcere milanese di San Vittore, dove teneva lezioni di montaggio video, e quello delle Vallette di Torino, la sua città, il regista ha deciso di fare un film “nel” carcere e non “sul” carcere. L’argomento religioso, invece, è venuto alla mente di Ferrario pensando ad un luogo di penitenza in cui nessuno avrebbe voluto avere il ruolo di Giuda, del delatore, di chi tradisce le regole interne di un consesso civile. La sfida ardua era appunto quella di rendere credibile una commedia musicale, con tutto il suo carico di levità e sogno, in un ambiente che proprio questa dimensione rifiuta. Il risultato è una lunga prova di aggregazione, ironica e surreale, tenuta insieme dal filo trasparente delle battute estemporanee dei detenuti. Un cinema che si affida interamente alla spontaneità degli interpreti, quasi fosse un happening colto nel suo intelligente svolgersi.
A parte i veri detenuti, gli stessi attori professionisti, da Kasia Smutniak a Fabio Troiano, si integrano armoniosamente al resto del cast, senza cadere in facili retoriche né in soluzioni di comodo. Persino Luciana Littizzetto riesce a non essere ingombrante con la sua presenza, vestendo i panni di una suora dal temperamento molto lontano da quello a cui la comica ci ha abituati.