Il Festival del Cinema Europeo di Lecce (31 marzo – 5 aprile) ha chiuso in positivo la sua X Edizione, mettendo sulla stessa scia la lunga coda al botteghino del Cineplex Santalucia e lo struscio per la festa delle palme pregno di luminarie, pesci e mandorle.
Numerosi e differenti i film proposti dai due direttori Cristina Soldano e Alberto La Monica, in un programma che ha visto scorrere insieme la sezione internazionale del Concorso con quella dedicata al nuovo cinema bosniaco, l’omaggio cosmopolita a Constantin Costa-Gravas con quello sensibile e piu’ popolare a Margherita Buy e a Fernand Ozpetek, e ancora la creatività un po’ naive dei “locali” Nico Cerasola (Focaccia Blues) e Fluid Video Crew (Diario di uno scuro) rincorrere le visioni barocche del conterraneo Carmelo Bene (Nostra signora dei turchi nella versione integrale restaurata a cura della Cineteca Nazionale).
Ma andiamo con ordine, cominciando innanzitutto dal Concorso, la cui giuria internazionale ha assegnato l’Ulivo d’oro per il miglior film al croato Kino Lika, del giovane regista Dalibor Matanic, poiche’ “con sicuro mestiere e con una solida struttura, riesce a raccontare con efficacia una storia di solitudine e di disperazione di una piccola comunita’ di un villaggio di montagna”. Il premio per la migliore sceneggiatura è andato invece al francese La belle personne, di Christophe Honoré, riuscitissimo avvitamento tutto francese intorno al racconto, molto nouvelle vague, di un’educazione sentimentale che vede la protagonista (la giovane Gilles Taurand) rifiutarsi di credere, per paura di illudersi, all’amore per il professore di italiano, il fascinoso Louis Garrel: “rinunciare al piacere immediato è diventata una forma di perversione”, racconta il regista a proposito della sua storia di “passione troppo virtuosa”. Il Premio speciale della Giuria e il Premio del Pubblico hanno trovato meritevole comune destinazione in For a moment freedom dell’iraniano Arash T. Riahi, coproduzione austro-francese d’ampio respiro “che racconta l’odissea di rifugiati iraniani e curdi in fuga dall’Iran e dall’Iraq, con partecipazione e con impegno solidale, restituendone con incalzante espressivita’ drammi, paure, ansie e speranze di questi uomini di oggi”. Infine, l’autorevole giuria Fipresci ha espresso la propria preferenza per Mukka del regista russo Vladimir Kott “per la rappresentazione vitale ed energica di una societa’ in trasformazione che prende a prestito da tutto il mondo per costruire la propria identita’”.
Le luci puntate sulla Bosnia hanno invece mostrato la doppia faccia di un Paese che se da una parte cerca di essere ottimista, un po’ stolidamente sembrerebbe (It’s hard to be nice di Srdjan Vuletic e Sve dzaba – Tutto gratis di Antonio Nuiç), dall’altra, migliore, si lascia andare ad atmosfere più livide e silenziose con cui affrontare un passato troppo pesante (Mama i tata e Nightguards).
Le retrospettive collegate agli omaggi a Costa-Gravas, Buy e Ozpetek hanno permesso di vedere film persi e di rivedere cult poco televisivi, a quest’ultima categoria è infatti ascrivibile L’Amerikano di Costa-Gravas, film sulla guerriglia urbana e sul ruolo della potenza “amerikana” girato nel 1973 nel Cile di Allende. Dal novero, personalissimo, dei film perduti chi scrive ha, infine, giustamente tolto Fuori dal mondo, film del 1998 frutto dell’incontro più che riuscito tra Giuseppe Piccioni e Margherita Buy. Commedia amara e di acuta sensibilità, mostra i protagonisti che dal chiuso delle proprie solitudini, di un convento o di un grigio lavoro poco cambia, provano a usicre fuori nel mondo attraverso l’imprevedibilità e l’energia creatrice di un incontro. Una intensa e trattenuta Buy presta il proprio corpo nervoso e sfuggente alla protagonista, una suora che ha sostituito l’Istituzione Chiesa all’altrettanto autoritario e possessivo Sistema Famiglia rimanendone schiacciata. Un film pieno di sfumature e di non detto, un modo di fare cinema lontano anni luce dalla presunta oggettività dello stile televisivo oggi dilagante.