di Fabrizio Funtò / Le “parolacce” nel titolo sono il profondissimo tema corrente sul “filo sottile” di questo documentario ― A Good American ― che in realtà è un documento esso stesso: fatto per noi, per te che stai leggendo queste poche parole, in questo momento. Ne va della tua vita. E della mia, che però è inscindibilmente legata alla tua. Anche se noi due non lo sappiamo.
Il documento parla da solo, è un’intervista ad una sorta di Will Hunting, il genio ribelle che rifiuta con quel lunghissimo ed esilarante paralogismo catastrofista di farsi arruolare nella NSA. Bill Binney no, accetta quello stesso posto ― ma non è da meno né di Will, né di Alan Turing, che sembra avergli consegnato idealmente il testimone.
La storia del suo gruppo all’NSA, legato al programma “thin_thread”, “filo sottile”, è nel filmato e non vi leverò di certo la voglia di andarlo a vedere.
Ma tu, lettore, saresti giustamente arrabbiato con me se te ne facessi una cronachetta recensoria e banale. E non ti offrissi, invece, l’humus di riflessione profonda, quello che scaturisce, emerge, o affiora dalle parole, pesanti come macigni, che il filmato scaraventa addosso allo spettatore al di là della sottilissima membrana dello schermo cinematografico.
init_thinthread();
Il nostro filo rosso sottile inizia con la possibilità indiscriminata di catturare al volo tutte (dicasi: tutte) le comunicazioni che occupano la Rete Globale: telefonate, messaggi, mail, programmi, database, accessi, chat… tutto! In rete ci saranno due, forse tre miliardi di persone costantemente connesse. Ma fossero anche il doppio, il triplo, il problema che vi sta saltellando nella mente non esiste: si può fare.
Si può tranquillamente tracciare, e si sta tracciando da anni, ogni “documento”, ogni “atto” digitale che ciascun essere umano compie in rete. Questo fa l’intelligence occidentale, riempiendo enormi magazzini digitali di dati. “Big Data”, li chiamano oggi i neofiti, ma stanno lì da anni. Da quando si è diffusa pervasivamente la Rete. Non solo Internet, ma il complesso delle Comunicazioni nel loro insieme. Che è il vero, grande, immenso business attuale.
Il problema che spiega Bill nel documentario ideato da Friedrich Moser è: ma cosa ci fai con tutta questa enorme massa di dati?
Ed il secondo problema, specifico per la parte “buona” dell’NSA, è vieppiù il seguente: ma se questi dati contengono le tracce di un pericolo imminente, come facciamo a farle emergere “prima” che la minaccia si manifesti nelle vesti di una tragedia?
Bill ha lavorato ad entrambi i problemi, e dando una soluzione al primo ha risolto anche il secondo. Ma, sappiatelo subito, queste soluzioni lo hanno trasformato in un nemico del sistema, al pari di Julian Assange o di Edward Snowden, per lui “good guys” al pari di se stesso.
Qui sta il genio. Se passi una enorme massa di informazioni agli analisti, devono leggere, analizzare, confrontare, confrontarsi fra di loro: devono esercitare la difficile arte dell’Ermeneutica per rintracciare un filo sottile fra i dati menzogneri o cifrati, che li avvisi per tempo di un possibile pericolo imminente per la sicurezza nazionale. Ed ecco il primo termine del titolo: con questo approccio, non si va da nessuna parte. Lo aveva dimostrato Alan Turing nel corso del secondo conflitto mondiale. Ci vuole un sistema in grado di esercitare lui l’ermeneutica necessaria. Un sistema che pensi in maniera “diversa”.
Non è infatti importante quello che dici, ma è più importante che lo dici, quante volte lo dici, con che tono lo dici, a chi lo dici, a chi lo dice quelli con cui tu parli… e via dicendo.
Non è importante la semantica in sé, ma la struttura, l’intelaiatura della comunicazione. E’ questa struttura che diventa essa stessa “Semantica”. La seconda parolaccia del titolo.
Bill aveva creato, insieme al suo piccolo gruppo all’NSA (non più di una dozzina di persone) un programma in grado di racchiudere la sfera globale delle comunicazioni (tutte le comunicazioni digitali) in un modello matematico in grado di ridisegnare la struttura di questi segnali. Trascurandone il contenuto.
La struttura stessa, una volta costruita, contiene l’annuncio del pericolo. E ciò avviene solo perché è una struttura che riguarda la globalità del fenomeno. Ora, ad esempio, quando cerco di capire chi sia Bin Laden e che ruolo occupi in questo mondo globalizzato (per il generale comandante dell’NSA, era soltanto un “cammelliere ubriaco”), mi basta afferrare il nodo che lo rappresenta e metterlo in evidenza.
var hotspot = ‘Bin Laden’;
thinthread(hotspot);
E il Programma fa emergere dalla sfera planetaria dei dati, la piramide di Al Qaeda, e mi “mostra” che il nodo che sto interrogando ― nel momento in cui lo interrogo ― corrisponde al suo vertice.
Non mi serve più conoscere il contenuto dei messaggi che si scambiano in quella struttura. Lo posso immaginare. Oppure, quando ho circoscritto il focus sugli elementi più attivi e identificati essere al comando della piramide, scateno su di loro gli analisti.
Ma il resto dei messaggi del pianeta riposa in pace nei silenziosi ed insonni hard disk sotterranei dell’Agenzia. Lì dentro ci sono anche i dati riguardanti l’attuale Presidente (POCUS), ovviamente. E qualcuno ha già scritto:
var hotspot = ‘Donald Trump’;
Thinthread avrebbe potuto salvare qualche migliaio di americani dal rogo delle Torri Gemelle. Avrebbe sicuramente potuto aiutare l’occidente ad annichilire l’ISIS. Ma è stato abbandonato, in favore di un costosissimo ed inconcludente programma alternativo che non è mai giunto da nessuna parte, non ha mai salvato nessuno, ma in compenso è costato dieci volte quello che sarebbe potuto costare Thinthread se fosse stato messo in funzione. Finanziamenti a società esterne. Il gioco lo conosciamo bene da queste parti.
Perché vedete, questo è il punto. Al sistema non importa nulla che vi siano migliaia di morti. E’ solo un dato statistico. Importa invece che vi sia del terrorismo in giro, che invece è la scusa fondamentale su cui si basano tutti i programmi di sicurezza. Nei quali il nemico ― o meglio il soggetto interessante ― non è il terrorista medesimo. Ma siete voi. Sono io.
Voi ed il vostro modello di vita. Voi e le vostre abitudini, voi e la vostra vita dentro Matrix. E finché siete nel gregge e vivete nei recinti, l’Agenzia rimane in quiete. Come coccodrilli sonnolenti, i programmi ed i dischi di immagazzinamento della NSA, della CIA rimangono silenziosi e apparentemente in quiete.
Ma voi fate la prova a scendere nel fiume, a sporcarvi la camicia con una rivolta, con un dissenso, con un comportamento giudicato inadatto o minaccioso dal sistema (di Potere, l’ultimo termine del titolo). Fate la prova di andare a stuzzicare il coccodrillo sonnolento.
Gli umani sono il vero business. Rinchiusi nei loro recinti maleodoranti (e Facebook ne è un esempio lampante, in forma di perenne sfogatoio di imbecillità: Umberto Eco aveva ragione), obbligati a combattere ogni giorno per soddisfare gli elementari bisogni corporali di base, vanno tenuti occupati nella loro schiavitù allucinata e permanente. Con o senza il tubo dietro la nuca o con il tubo catodico.
Discutendo con Bill dopo la proiezione, vi riporto una sua citazione: al sistema non interessa quello che pensi, né che ci si senta al sicuro perché “se non ho fatto nulla di male, non ho neanche nulla da temere” (coniata da Goebbels, peraltro). Quello che pensi è assolutamente inessenziale. Quando la macchina si scatena contro di te, scoprirai di aver fatto ogni male possibile.
“Ma non vi è nulla di peggiore dello schiavo assoluto, che ritiene invece di essere completamente libero”.
L’unica arma, per Bill, è il voto. Ma questa è un’altra storia.
Dal 2 marzo nelle sale italiane distribuito da Arch film