di Stefania Bonelli/Incontro con Silvia Tarquini, fondatrice della casa editrice Artdigiland e coautrice, con Vittoria Caterina Caratozzolo, del volume Adriana Berselli. L’avventura del costume. Cinema teatro moda televisione design (2016)
Adriana Berselli, diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma come costumista, ha esordito nel 1952 con La voce del silenzio di Pabst. Negli anni ’50 ha lavorato con Blasetti, Camerini, Risi, Comencini, Vasile, Steno. Nel 1960 firma i costumi de L’avventura di Antonioni, inventando l’icona di donna moderna interpretata da Monica Vitti. Successivamente continua a collaborare alla storia del cinema italiano al fianco di Indovina, Tessari, Lizzani, Bevilacqua e, in ambito internazionale, con Bernhardt, Cosmatos, Amateau, Allégret, Polanski. Veste attori come Jean Marais, Marcello Mastroianni, Vittorio De Sica, Eduardo, Totò, Sophia Loren, Virna Lisi, Monica Vitti, Burt Lancaster, Ava Gardner, Giorgio Albertazzi, Harvey Keitel. Nel 78 lascia l’Italia nel pieno della carriera per seguire il marito, pittore, scenografo, mosaicista in Sudamerica, dove reinventa il suo mestiere e si afferma nel teatro e nella moda. Al ritorno in Italia, dopo 12 anni, lavora con Margheriti, Brinckerhoff e Castellari in varie mini serie per cinema e televisione.
Raccontaci Silvia come è nata l’idea del progetto editoriale indipendente Artdigiland e come è nato il progetto di un libro sulla Berselli.
Il desiderio di fare come autore delle operazioni editoriali in un certo modo, liberamente, e di favorire il lavoro di altri intorno a temi e autori per me importanti mi ha portato a fondare questo progetto editoriale. Una delle cose che mi ha ispirato di più, che ci tengo di più a fare, accanto ad altri tipi di pubblicazioni, sono i libri intervista. Perché mi piace raccogliere dal vivo un’esperienza che altrimenti andrebbe perduta e renderla duratura, testimoniarla. Il libro intervista con Adriana Berselli è un esempio di questo approccio.
Il metodo che stiamo sperimentando e che mi sembra molto produttivo quando si parla con gli artisti è quello di seguire lo sviluppo della persona, partendo dall’infanzia, dalla formazione, seguendo la biografia, in modo da mettere in evidenza l’individuazione artistica di queste persone, facendo centro sull’identità. In questo modo la vita e l’opera di questi autori vengono fuori nelle loro corrispondenze. Che è una cosa abbastanza rara, perché più spesso si tende a separare, a escludere gli elementi biografici e a far rimanere qualcosa che a mio parere diventa più costruito da un lato e più semplificato dall’altro. Non vorrei essere fraintesa, lungi da me l’idea di libri ricchi di “aneddoti”. Né si tratta di un credo o di una regola; può darsi che con un certo artista venga fuori un approccio diverso. Ma anche in quel caso si tratterebbe comunque di “attenersi alla persona”. È questo che mi interessa, e l’intento è quello dell’indagine sull’identità artistica.
Un’impresa abbastanza rara perché più spesso nella critica troviamo scritti su autori e opere da una parte e dall’altra biografie e racconti di vita. Molto interessante. Funziona?
Secondo me sì, precisando meglio che l’interesse è sulla “persona” e non sulla “biografia”. Con Marc Scialom, nelle cui opere è fortissima la presenza delle vicende personali ‒ il tema dell’esilio, della memoria ‒ non sarebbe stato possibile un approccio diverso. Adriana Berselli ci ha mostrato i disegni che faceva a 13 anni provando diversi tipi di abbigliamento e di acconciature nei ritratti delle compagne di scuola, e ci ha raccontato come da bambina la affascinasse una collezione della mamma di cartoline che rappresentavano costumi antichi. Fabrizio Crisafulli, artista e teorico estremamente consapevole, nell’intervista ha individuato per la prima volta, come fonte di ispirazione del suo lavoro con la luce, la visione della lava dell’Etna quando era bambino a Catania. Con il direttore della fotografia Luca Bigazzi ci siamo stupiti nel trovarci a parlare molto più di politica, di approccio politico alla vita, che non di tecnica fotografica. Con Beppe Lanci, anche lui direttore della fotografia, abbiamo scoperto l’influenza sul lavoro di una componente spirituale. Tutto questo è meraviglioso, e affascinante.
Come hai conosciuto Adriana Berselli?
Adriana l’ho conosciuta in occasione di un libro che il Centro Sperimentale di Cinematografia ha pubblicato nel 2005 per la schedatura del fondo da lei donato alla loro biblioteca del Centro “Luigi Chiarini”. Negli anni siamo rimaste sempre in contatto. Sapevo che Adriana aveva ancora a casa moltissimo materiale, bozzetti, fotografie, e ho avuto voglia di realizzare un libro di grande formato e ricchissimo di materiale iconografico, e di coinvolgere nell’intervista un curatore che avesse competenze adeguate, che sapesse trattare in modo scientifico i temi della moda e del costume e che sapesse contestualizzare nell’ambito di processi più ampi la carriera di Adriana. Ho fatto questa proposta a Vittoria Caterina Caratozzolo, storica del costume e della moda, e lei è stata felice di prendere parte al progetto. Il lavoro dei costumisti, come forse quello di tutte le altre competenze che convergono alla realizzazione di un film, è ancora molto poco studiato e tanto meno storicizzato.
E in che modo si è strutturato un libro con tanto materiale? C’era il rischio di perdersi in un magma indistinto?
Questa è la scommessa di ogni singolo libro e per ognuno bisogna trovare delle soluzioni diverse. Ed è anche forse la parte più creativa per i curatori. Quasi automaticamente, per il fatto che l’intervista è curata da persone con competenze specifiche, si fanno interagire l’“ascolto”, da una parte, e delle categorie storico-critiche, dall’altra. Ti faccio un esempio. Nel caso della Berselli la formazione era una cosa a sé, un primo capitolo molto importante con precisi connotati storici; l’esordio era un episodio a cui dare spazio; gli anni Cinquanta costituivano un grosso blocco piuttosto unitario; l’esperienza con Antonioni non poteva non essere approfondita il più possibile e in un certo senso isolata; Monica Vitti è stata l’attrice con cui Adriana ha lavorato di più, quindi abbiamo dato spazio ad un approfondimento sul rapporto con lei, in questo caso intrecciando un focus tematico all’andamento cronologico. Facendo l’intervista, dunque, quasi automaticamente si seguono dei grandi filoni, abbastanza riconoscibili. Una seconda fase è quella a posteriori, quando ti ritrovi con, non so, dieci, dodici ore di intervista registrata e devi verificarne la struttura, ripensarla, modificarla, montare qualcosa in modo diverso in base all’insieme delle informazioni emerse.
Si tratta di svelare quindi una struttura.
Sì, esattamente.
Adriana è stata la costumista de L’avventura di Antonioni…
Sì. Lei ha inventato la figura di donna moderna che è la Vitti in questo film epocale, in armonia con Antonioni che aveva idee chiarissime su questa essenzialità del personaggio. Credo che la Berselli abbia saputo razionalizzare le richieste del regista, infatti ci ha raccontato che contrapponeva Monica Vitti in maniera molto chiara con l’altra donna, Lea Massari, più “griffata”, più elegante, alla moda, all’interno della necessità di autorappresentazione della classe sociale alto borghese. Mentre la Vitti era più popolare, più semplice, più genuina. L’avventura è davvero un film esemplare per capire come si possano comunicare contenuti fondamentali solo attraverso gli abiti, mettendo in atto un’analisi antropologica che passa interamente per il visivo.
Silvia, racconta dove si trovano i tuoi libri… In che senso Artdigiland è indipendente?
Questa indipendenza si realizza grazie ad un sistema che si chiama “print on demand”, che è proposto da Amazon. Utilizziamo un service di stampa interno ad Amazon in grado di stampare e spedire anche una sola copia quando un utente la compra, quando, cioè, l’utente l’ha già comprata. Tutto questo in tre, quattro giorni. Questo ci permette di non avere spese di tipografia, di non avere un magazzino, di non avere dipendenti che gestiscano le spedizioni, tutto viene delegato a queste grandi compagnie che, dal mio punto di vista, costituiscono in questo momento uno spazio di libertà. So che molti pensano malissimo di Amazon, perché stanno chiudendo le librerie, ma quando solo la distribuzione ti chiede il 60% del prezzo di copertina fare l’editore diventa impossibile a meno che tutto diventi televisione e marketing. Quindi il tentativo è quello di utilizzare le nuove tecnologie di stampa e la distribuzione on line per cercare di difendere spazi culturali che innegabilmente, nel nostro paese e non solo, stanno soccombendo ai sistemi capitalistici e protezionistici (grandi monopoli editori-distributori, autori “televisivi” ecc.). Può sembrare un paradosso che una multinazionale permetta a piccoli autori e editori di portare avanti progetti che diversamente non vedrebbero la luce, ma l’opinione che mi sono fatta confrontando il sistema Amazon con il mercato editoriale italiano è che in America c’è un’idea di produttività che è positiva per tutti, magari solo perché la popolazione raggiunge numeri altissimi: i piccoli editori portano lavoro ed è bene che siano in molti, mentre il sistema italiano vive di protezioni, di grandi concentrazioni che tendono ad escludere la concorrenza e ad eliminare sempre di più i piccoli imprenditori. Insomma, ci trovate on line e in alcune selezionate librerie specializzate.
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