Che cosa significa Fortapàsc?
Fortapàsc è un termine volutamente storpiato che evoca il Fort Apache della tradizione western rendendo il senso dell’assedio alla città da parte della malavita. Nello stesso tempo descrive la drammatica situazione partenopea nei giorni dall’assassinio di Giancarlo Siani, ucciso a soli 26 anni da un commando camorrista nel 1985. Mentre i cronisti vittime della mafia sono stati numerosi, Siani è l’unico giornalista eliminato dalla camorra perché nelle sue coraggiose inchieste per Il Mattino (prima da Torre Annunziata e poi da Napoli) aveva il difetto imperdonabile di informarsi, di verificare le notizie, di indagare sui fatti e di denunciare i misfatti. Ci sono voluti 12 anni e alcuni pentiti per assicurare finalmente alla giustizia i responsabili del delitto attualmente ancora in carcere.
Come e quando ha avuto l’idea di realizzare questo film?
Rimasi molto colpito dall’uccisione di Siani, mi chiesi subito cosa avesse fatto questo ragazzo che vedevo nelle immagini ferito a morte, come sorpreso, sembrava appoggiato come qualcuno che non avesse nulla da nascondere né alcun motivo per proteggersi. Non era una vittima predestinata, e non si aspettava certo di essere colpito all’improvviso. A un certo punto, cinque anni fa, nacque una prima possibilità di girare un film sulla sua storia. Avevo letto un trattamento cinematografico, scritto da Andrea Purgatori e Jim Carrington, e avevo collaborato alla sceneggiatura per la quale abbiamo ottenuto immediatamente il finanziamento di Rai Cinema. Siamo arrivati ad uno stadio avanzato della preparazione, ma strada facendo sono nati problemi di produzione e poco prima delle riprese il film è stato accantonato. Il grande merito di averlo fatto “rinascere” va dato – oltre che a Rai Cinema – ad Angelo Barbagallo, un produttore libero e coraggioso che mi ha messo in condizione di girare il film esattamente come lo volevo.
Perché crede che la vicenda Siani sia ancora attuale?
Sappiamo tutti quanto la Campania sia costantemente sotto osservazione per ciò che vi accade. Ma mentre in Gomorra tutto appare disperato, nel nostro caso e nonostante tutto alla fine è la speranza ad essere uccisa, io mi auguro che lo spettatore possa provare il desiderio di somigliare al nostro protagonista. Fortapàsc è per me un film necessario – soprattutto nella Napoli umiliata e offesa di oggi – perché Giancarlo Siani può diventare un raggio di luce, una nuova speranza.
Che cosa le stava a cuore raccontare?
Il film non è una biografia, non intende descrivere un’intera esistenza ma solo gli ultimi quattro mesi della vita di Giancarlo e l’atmosfera in cui è maturata la sua condanna a morte. Sono le ultime settimane di questo ragazzo che, partendo dal “quartiere bene” del Vomero, ogni giorno andava a sporcarsi come un giglio nel fango degli intrallazzi tra politica, corruzione e camorra a Torre Annunziata, regno del boss Valentino Gionta. In una zona dove in quel periodo tutto ruotava intorno agli interessi per la ricostruzione del dopo terremoto, un luogo ancora oggi territorio privilegiato di smistamento della droga. Giancarlo era un ragazzo allegro che amava il suo lavoro e cercava di farlo bene. Mi piaceva descrivere gli aspetti di quella sua vita privata così piena di passione, ma anche di leggerezza, ricca di amici, interessi, avventure, donne, fidanzate, ma soprattutto il suo impegno per il lavoro. Non gli interessava fare il giornalista-impiegato, diceva, ma il giornalista-giornalista. Oggi l’Italia, tranne poche eccezioni, è diventata sempre più un Paese di giornalisti-impiegati e Giancarlo Siani si è trasformato in un simbolo per i veri giornalisti che amano il proprio mestiere tanto che a Napoli e dintorni sono state intitolate a suo nome numerose scuole.
La famiglia Siani vi ha aiutato nel lavoro di documentazione e ricerca?
Sì, ci è stata molto vicina. Dopo la morte dei genitori di Giancarlo, a coltivarne la memoria sono rimasti suo fratello Paolo con la propria moglie e i loro figli, che non hanno mai conosciuto lo zio. Paolo ha letto il copione, si è commosso e si è rivelato per noi molto prezioso. Come lo è stata una ex fidanzata di Giancarlo a cui lui tra l’altro aveva rivelato di essere in possesso di alcuni importanti documenti destinati alla pubblicazione di un libro.
C’è stato qualche momento della lavorazione che per lei è stato particolarmente decisivo?
La cosa più emozionante è accaduta una settimana prima dell’inizio riprese quando è stata ritrovata in un agriturismo siciliano la vera Citroën Mehari di Giancarlo. Così abbiamo potuto utilizzare in scena la sua macchina guidata dal nostro protagonista Libero De Rienzo. Un giorno mentre eravamo in una strada del Vomero è passato per caso vicino al nostro set un amico di Giancarlo che ha riconosciuto la macchina e, commuovendosi fino alle lacrime, ci ha detto: “Mi raccomando fatelo bene questo film perché Giancarlo aveva un cuore grande così”.
Come ha scelto i suoi attori?
Dopo molti provini e vari tentativi con diversi attori, è stato Libero ad ottenere il ruolo di Siani. Non è stata una scelta scontata, mi ha convinto la sua partecipazione emotiva e le cose che mi ha detto dopo aver letto il copione, che rivelavano quanto avesse capito il personaggio nella sua profondità e complessità. Quando poi l’ho visto per la prima volta truccato e vestito con gli abiti di scena, ho ritrovato in lui Giancarlo: ne aveva catturato l’anima. Non c’è bisogno forse di elencare gli altri attori, ma certamente a film ultimato, sia a me che ai miei collaboratori, gli interpreti ci appaiono più che mai credibili e convincenti, vorrei proprio dire “la faccia giusta” nel ruolo giusto.
Crede sia necessario in Italia il cinema civile?
Sono da sempre un grande ammiratore del nostro glorioso cinema di impegno sociale. In Fortapàsc c’è anche un piccolo omaggio a Francesco Rosi ed al suo capolavoro Le mani sulla città: in una seduta di un consiglio comunale vediamo infatti gli esponenti di maggioranza e di opposizione “scannarsi” sotto gli occhi dei cittadini. Spero allora che raccontare questa storia serva a scuotere le coscienze dal diffuso torpore.
(fonte: l'intervista è stata ripresa dal pressbook del film)