Quinzaine – Filmato con una macchina fotografica, in un unico piano-sequenza di 78 minuti ed in tempo reale, La casa muda dell’uruguaiano Gustavo Hernández, prometteva di essere il film-sensazione della Quinzaine. La casa muda, produzione indipendente a piccolo budget, si basa sulla storia reale di un doppio omicidio commesso in Uruguay negli anni Venti: un caso mai risolto che ha finito per diventare una sorta di leggenda nazionale. In una vecchia casa abbandonata in mezzo a un bosco erano stati ritrovati i corpi orrendamente mutilati di due uomini circondati da une serie di fotografie inquietanti. Gustavo Hernádez traspone questa vicenda ai giorni nostri e ci offre la sua versione dei fatti.
La trama può essere riassunta in poche parole: una ragazza, Laura, e suo padre, vengono assunti dal proprietario di una casa disabitata per prendersi cura del giardino. Una volta entrati nella dimora, le cui finestre sono sprangate, i protagonisti vengono inghiottiti dall’oscurità: lo scenario sarà d’ora in poi illuminato solo da due torce elettriche. La casa si rivela essere una trappola mortale: dei suoni inquietanti costringono il padre ad avventurarsi al piano superiore e la sua curiosità gli costerà la vita. Laura, terrorizzata, con la maglietta schizzata di sangue, inizia a cercare una spiegazione a quanto è successo. In questo suo tentativo esplora a tentoni lo spazio che la circonda: assediata da rumori agghiaccianti e ombre minaccianti, dopo varie peripezie, riesce finalmente a scappare. Nei paraggi s’imbatte nel proprietario che la convince a tornare sul posto. Inutile dire che questa seconda incursione nella casa avrà un esito fatale.
Il punto di vista del film è quello dello sguardo soggettivo di Laura: partendo dal presupposto di un’unica ripresa, l’obbiettivo la segue, non senza maestria, in un complicatissimo gioco di messa in scena pensato fino ai minimi dettagli, accompagnando ininterrottamente i suoi movimenti nello spazio. Di fatto qualche taglio c’è, ma bisogna ammettere che un piano-sequenza di 78 minuti, anche se truccato, è un tour de force che non può lasciarci indifferenti. L’attesa, costantemente frustrata di un raccordo, la tensione creata da un percorso continuo, l’impressione di partecipare agli eventi in tempo reale, il punto di vista soggettivo forzato che intensifica la dimensione del fuori campo, potrebbero in teoria creare un universo sorprendente a patto di essere coniugati con un’autentica vena creativa. La casa muda si esaurisce purtroppo in un esercizio formale sterile e, dopo i primi dieci minuti, diventa francamente monotono. Al di là della curiosità che può suscitare la prodezza tecnica, è assai difficile mantenere vivo l’interesse e l’attenzione del pubblico per un’interminabile sequenza in cui la protagonista non fa altro che tastare nella semioscurità il suolo e le pareti di una vecchia casa coperta di polvere scoprendovi, per lo più, dei mobili e degli oggetti fuori uso. Ad eccezione di qualche trovata originale – come la scena in cui Laura cerca di vedere il suo aggressore nel buio attivando il flash di una vecchia polaroid scoperta per caso – il film avanza accumulando una serie di effetti scontati: giochi di luce che alternano l’oscurità totale a lampi improvvisi e fasci luminosi che filtrano obliqui dalle finestre sprangate, scricchiolii e suoni sordi che fanno improvvisamente vibrare l’ambiente sonoro, sospiri e respirazione sincopata.
Un riciclaggio di elementi cari al genere – il topos della casa malefica, l’apparizione di una misteriosa bambina zombie (impossibile non pensare qui alle gemelle di Shining), delle silhouette inquietanti che attraversano fugacemente il fondo dello schermo, una falce come strumento di tortura – completano l’universo della pellicola.
Lo sguardo soggettivo della ragazza si capovolge nell’ultimo quarto d’ora rivelandoci la presunta vittima come il reale artefice del massacro, eppure anche questa sorpresa manca l’effetto sperato. La casa muda è un esperimento tecnico che punta sull’idea di un lunghissimo e falso piano-sequenza, per attrarci nel corridoio dell’horror. Sfortunatamente quest’impresa – alquanto simile nelle intenzioni anche se nettamente inferiore nel risultato a The Blair Witch project – ha finito per lasciare molti assopiti nelle loro poltrone.