E’ dedicata al tema dell’ossessione amorosa (in senso lato e non) la terza giornata dei film in concorso a Pesaro. Una novia errante dell’argentina Ana Kats e Anna M. del francese Michel Spinosa trattano rispettivamente di come la perdita (o l’assenza) dell’oggetto amoroso possa trasformarsi in una inutile e dolorosa attesa angosciosa (o in una psicosi).

Nel primo film, la protagonista Inés, dopo una discussione in pullman con il fidanzato Miguel, viene lasciata sola a Mar de las Pampas, dove avrebbe dovuto trascorrere alcuni giorni di vacanza insieme a lui. Da qui in poi il film segue tutte le fasi che derivano dalla rottura traumatica della separazione: da un primo momento di rimozione accompagnato da una finta serenità, alla dolorosa presa di coscienza dell’accaduto, fino all’esplosione della rabbia, della disperazione, accompagnate da un profondo senso di disorientamento. La regista osserva l’evolversi degli stati d’animo di Inés e i suoi tentativi di reazione con l’occhio di un entomologo: la paralisi dopo la fine di un amore e il disagio nel doversi ridefinire in una nuova identità sono seguiti inquadratura per inquadratura, lontano da qualsiasi tenerezza o sguardo autoironico. E’ proprio questo a generare nello spettatore una certa irritazione, il ripetersi, nella compulsività, di gesti e azioni del tutto intimi che possiedono un senso solo per chi li vive e che risultano particolarmente incomprensibili a chi li vede dal di fuori. E’ qui la peculiarità dell’ossessione (in questo caso non patologica) amorosa: quella di isolare dal resto del mondo, di chiudere in gabbia, senza via di scampo, chi ne cade vittima; di rendere incapaci di vedere qualsiasi altra possibilità intorno a sé che, invece, risulta evidente a chi è esterno al dramma degli avvenimenti. L’ossessione svolge la doppia funzione di una scatola vuota che può rinchiudere qualsiasi oggetto e nella quale, a sua volta, ci si può rinchiudere pericolosamente se non si riprende contatto con la realtà esterna. Alla fine Inés riesce a uscire da questa condizione di angosciante frustrazione, riprende contatto col mondo in un quotidiano che irrompe nella scena finale relativizzando la sua esperienza soggettiva (la protagonista gioca e si diverte a farsi travolgere dalle onde del mare).

L’ossessione come follia è invece messa in scena in Anna M. del già citato regista marsigliese. La protagonista del film è l’apparentemente equilibrata Anna, restauratrice di libri antichi, che vive con sua madre e che un giorno, senza un evidente motivo, si getta sotto una macchina. In seguito all’incidente viene operata e in ospedale sviluppa un’ossessione amorosa verso il suo medico, che la porterà alla follia. Il tema del film rimanda direttamente al Caso di Anna O., celebre studio di Freud su un caso di isteria femminile da cui, tra l’altro, risultò evidente come l’innamoramento del paziente verso il suo medico non fosse altro che lo spostamento di un sentimento amoroso diretto precedentemente verso i propri genitori. Stessa cosa avviene ad Anna, che trasferisce l’amore per sua madre sul dottor Zanevsky: così facendo rivive quel sentimento primitivo in una sorta di coazione a ripetere nel vano tentativo di liberarsene per conquistare una definitiva autonomia affettiva. La sua ossessione viene inoltre accompagnata da una sorta di delirio lucido attraverso il quale Anna filtrerà in maniera distorta tutti i messaggi che le vengono dalla realtà: l’impedimento al compimento del suo sogno d’amore viene quindi imputato alle costrizioni che Zanevsky subirebbe dalla moglie (e non a un reale desiderio del dottore di non volerci avere a che fare); il sottrarsi alla relazione da parte del medico è interpretato da lei come un crudele gioco amoroso con il quale l’innamorato tenta di metterla alla prova. In questa prospettiva di alterazione della realtà, i punti di vista si capovolgono fino a trasformare la protagonista in un oggetto posseduto dalla sua stessa ossessione, in un crescendo di toni sempre più drammatici. Come in seguito Anna riesca a guarire liberandosi della sua malattia non ci è dato saperlo (attraverso la maternità?): la ritroviamo sulle dolomiti francesi nell’idilliaco quadretto finale di una serenità e guarigione definitivamente recuperate. A questo proposito non possiamo che concludere citando Adele H. di Truffaut, anche lei in fuga da un padre opprimente dietro cui nasconde la sua ossessione amorosa per un ufficiale. Qui, invece, la stessa rigorosa ricostruzione delle fasi dello sviluppo della malattia aveva portato l’autore a immaginare un unico e inevitabile epilogo: Adele, isolata sempre più dal mondo, arriverà lentamente e inesorabilmente alla pazzia e alla morte.

2 Replies to “Mostra Nuovo Cinema di Pesaro: ossessione d’amore”

  1. bello. aggiugo una citazione dal Diario di DEnton Welch.
    “Quando desideri con tutto il cuore che qualcuno ti ami, dentro si radica una follia che toglie ogni senso agli alberi, all’acqua e alla terra. E per te non esiste più
    nulla, eccetto quell’insieme, profondo, amaro bisogno. Ed è un sentimento comune a tutti, dalla nascita alla morte”

  2. errore: “E per te non esiste più nulla, eccetto quell’insistente, profondo, amaro bisogno. …”

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