Giunto alla sua 35esima edizione il Cinéma du Réel, é una vera e propria istituzione che attrae, di anno in anno, un numero sempre maggiore di spettatori entusiasti ed esigenti. Dal 21 al 31 marzo il Centre Pompidou di Parigi diventa l’epicentro della creazione documentaria accogliendo registi provenienti dal mondo intero pronti a condividere, in un’atmosfera distesa e conviviale, il loro lavoro e le loro aspirazioni con il pubblico.
Le redini del Cinéma du Réel passano quest’anno a Maria Bonsanti, giovane e dinamica ex-direttrice del Festival dei popoli, che succede in questa funzione a Javier Packer Comyn. Nominata a settembre, Maria Bonsanti si è trovata a dovere mettere in piedi la manifestazione in pochissimo tempo; un compito alquanto arduo che la nuova direttrice ha affrontato appoggiandosi sull’equipe esistente del festival.
La manifestazione si è inaugurata festivamente tre giorni fa con la proiezione di La maison de la radio di Nicola Philibert, osservazione minuziosa e miniatura sottile, piena di empatia, di affetto e di humor di un luogo di lavoro la materia prima del quale è, per definizione, invisibile. La musicalità del montaggio fa eco alle voci degli speaker, al canto, agli strumenti e ai suoni che popolano gli uffici e le sale di registrazione della radio nazionale francese, annunciando, involontariamente, un motivo ricorrente nelle varie sezioni del festival: la musica.
Questa nota iniziale, gioiosa e positiva, ci incita alla scoperta degli impulsi e delle innovazioni apportate alla manifestazione dalla sua nuova direttrice artistica. Un’occhiata al programma, compatto e ben articolato, rivela subito un rapporto equilibrato fra le quattro sezioni competitive, chiare e facilmente leggibili. Concorso internazionale, concorso opera prima, concorso cortometraggi e concorso francese ci offrono una panoramica di 42 documentari provenienti da tutte le parti del mondo.
Opere di autori affermati e di giovani registi alle prese con il loro primo film creano un tessuto complesso di sinergie tematiche e stilistiche, instaurando un dialogo complesso e multiforme con la realtà. Osservando le opere in concorso nel loro insieme, si possono individuare alcune linee di fuga ricorrenti.
La riflessione sul sè passa principalmente attraverso un confronto con l’altro; questa ricerca dell’alterità spinge spesso i registi a partire verso luoghi lontani, come se lo sguardo avesse bisogno di una distanza, a volte incommensurabile, per sondare le pieghe dell’anima. Accanto a questo filone intimista che predilige spesso l’autobiografia e la biografia famigliare, si annunciano dei film che sondano soggetti di attualità come le conseguenze di calamità naturali e disastri ecologici sull’ambiente e sulla vita degli uomini. Un’altra corrente rivendica la necessità di riesumare la memoria storica prima che le ingiustizie del passato vengano inghiottite dall’oblio del tempo senza lasciare alcuna traccia; l’atto di filmare è in questi documentari sinonimo di resistenza e di lotta politica.
Le prime proiezioni ci rivelano delle opere appassionanti come il cortometraggio di Daniel Kvitko: Madera. Film di fine studi all’ EICTV di Cuba questo lavoro ci sorprende per il rigore e la giustezza con cui riesce a tratteggiare, in pochi minuti, temi tanto profondi ed universali come il rapporto dell’uomo con il tempo e con la natura. Attraverso il ritratto di una coppia di anziani che vive isolata in mezzo ad un bosco, il regista ci offre una meditazione sobria e poetica sul senso della vita e sul modo migliore di affrontare la morte. Illuminato da una fotografia tersa ed eterea, il corto di Daniel Kvitko è una piccola gemma.
Un altro piccolo-grande film è A new product firmato dal veterano Harun Farocki. Cambiamento radicale di stile, soggetto e tono: il film di Farocki è una mordente satira sociale e politica che smaschera tutta l’assurdità, l’insensatezza ed il ridicolo di un gruppo di dirigenti in atto di discutere le loro strategie di mercato. Farocki getta uno sguardo ironico, ma non per questo meno agghiacciante, nei laboratori dei cosiddetti “decisions makers” filmando con precisione scientifica una fiera delle vanità dove il discorso fatuo, pretenzioso e grottesco non ha assolutamente nessun contatto con la realtà che pretende strutturare.
Sempre nella sezione dei cortometraggi spicca la testimonianza, crudamente realistica, del documetarista militante cinese Zhu Rikun: The questioning. Una videocamera appoggiata su un comodino filma a sua insaputa la polizia che fa irruzione, senza motivo apparente, nella stanza d’hotel del regista, registrando una scena assurda di abuso di potere. The questioning deve al suo dispositivo minimale e all’immediatezza delle riprese tutta la sua forza come atto di denuncia e di resistenza.
L’alterità si rivela in Kelly, opera prima della regista francese Stéphanie Régnier, sul volto di una ragazza peruviana che un lungo periplo ha gettato sulle sponde di Tanger. Filmata in una stanza d’hotel la giovane donna capta con la sua vitalità, il suo dolore, la sua violenza ed il suo coraggio tutto lo spazio dell’immagine mostrandoci, ben al di là del dramma dell’emigrazione, l’irriducibilità e la dignità dell’essere umano.
Eccitante, curiosa, aperta al mondo, attenta alle proposizioni di un genere cinematografico in costante evoluzione, la programmazione del festival rende omaggio nelle sue sezioni competitive alla creazione contemporanea senza peraltro perdere di vista la dimensione storica del documentario a cui sono dedicati quattro programmi monografici: Pays Réels, pays possibles; L’art et la crise: du New Deal à aujord’hui; Chile 1973- 2013 e Anand Pawardhan at work.
Più snelle che negli anni passati – per volontà della nuova direttrice che intende così dare ai film la chance di passare due volte – le sezioni monografiche riflettono un interesse spiccato per il documentario inteso come strumento di denuncia, rivendicazione sociale, lotta politica e resistenza.
I movimenti popolari in Cile e la cronistoria della dittatura esposti nella panoramica Chile 1973-2013, i sollevamenti sociali filmati in India da Anand Pawardhan, le cronache in bianco e nero della crisi economica degli anni ‘30 mostrate nella sezione sul New Deal e l’interrogazione sull’identità reale ed immaginaria di un paese, sviluppata dal programma Pays Réels, pays possibles, costituiscono altrettanti tasselli di un panorama in cui la storia degli ultimi cento anni si scrive sul vivo.
Dando la parola al singolo, all’uomo comune, al suo dolore, alle sue rivendicazioni, alle sue speranze e ai suoi sogni il documentario riscrive altrimenti la storia, asettica ed impersonale, della storiografia ufficiale. Associata alla forza delle immagini la memoria storica diventa così uno strumento vigoroso di presa concreta sul reale, di forza rivoluzionaria.
Su un tutt’altro registro si situa il programma dedicato all’universo creativo, radicale e singolarissimo, del regista americano Stephen Dwoskin, recentemente scomparso, ci invita a condividere un’esperienza estrema, dolorosa, poetica, profonda e sconvolgente.
Questo viaggio si snoda su
l filo di quattro film rappresentativi, scelti ed introdotti da personaggi vicini a Dwoskyn, prosegue con l’installazione Dream Haus e la proiezione in anteprima dell’ultimo opus del regista: Age is, per concludersi sulle note di un concerto di Alexander Balanescu, suo collaboratore di lunga data.
Sulla scia dell’edizione passata il festival riannoda e sviluppa il suo dialogo con artisti come Nicolas Rey, vincitore del Grand Prix du Réel l’anno scorso e direttore dell’Abominable, un laboratorio di creazione cinematografica artigianale, invitandolo ad animare una discussione intitolata: 35 ans/35 mm, dedicata al futuro della pellicola minacciata ineluttabilmente dall’avvento della proiezione in digitale.
Il programma è completato infine da pepite sparse come la conferenza-performance organizzata dai due artisti libanesi: Khalil Joreige e Joana Hadjithomas in occasione del loro nuovo film: The libanese Rocket society e la proiezione di Comme si nous attrapions un cobra della regista siriana Hala Alabdalla.
Nel caleidoscopio dei film proposti quest’anno dal Cinéma du Réel ideali, sogni, lotte ed utopie si fondono in un insieme d’immagini potenti che testimoniano e rispecchiano la voglia di raccontare il mondo e di cambiarlo: per noi spettatori è un invito a riflettere, ricordare ed agire creando dei futuri possibili.