Takashi Miike ha iniziato la sua carriera in televisione rimanendoci per dieci anni e diventando, col tempo, aiuto regista. Nel 1987 diventa terzo assistente alla regia de Il mezzano (Zegen), diretto dal maestro Shōhei Imamura, entrando così nel mondo del cinema. Miike lavora nuovamente con Imamura in Pioggia nera (Kuroi ame, 1989), che segna il suo debutto in veste di attore. Il suo passaggio dietro la macchina da presa avviene nel 1991, dirigendo il film d’azione Eyecatch Junction, destinato al V-Cinema (ovvero all’home video), senza passare per la sala. Sempre in quell’anno Miike sostituisce il regista Toshihiko Yahagi nella direzione di Lady Hunter, che è considerato il suo vero esordio. Da allora in poi il cineasta inizia a realizzare film a un ritmo davvero notevole: cinque/sei all’anno, soffermandosi maggiormente sul genere yakuza.
Tra il 1999 e il 2000 il cineasta si è fatto conoscere a livello mondiale come un autore dissacrante grazie a film quali: la trilogia di Dead or Alive e Audition, titoli vincitori di diversi premi nei festival europei. Visionario, estremo e provocatorio, oltre che originale nel raccontare tanto i suoi personaggi quanto le storie, sono molti gli aspetti presenti nei suoi film che lo rendono tale: il primo che colpisce l’attenzione è la violenza che li pervade, e a seguire si nota l’afflizione del corpo in tutte le sue forme, dalla tortura alla mutilazione, dallo stupro allo zampillio di sangue che fuoriesce in quantità copiose.
13 assassini è stato presentato in Concorso alla 67esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. L’eclettico regista ha realizzato il remake del film del 1963 di Eiichi Kudo con il preciso intento di non snaturarlo, nel rispetto dell’originale. “Non ero interessato a lasciare una firma riconoscibile, proprio perché ho rispetto dell’originale”, ha spiegato.
Miike è davvero prolifico e 13 assassini rappresenta il suo ottantaduesimo film (compresi quelli girati per la TV): prova piacere a realizzare film, gli è necessario per far fluire la sua artisticità e mettere in scena la sua fervida creatività. Il suo cinema lo si può definire un cinema a 360° per la quasi totalità dei generi con i quali il cineasta si è cimentato: l’horror, i film yakuza, il western, la fantascienza, il fantasy, il cinema d’azione, il musical, il jidaigeki (film storico di samurai), dissacrandoli quasi sempre. Li ha stravolti, reinventandoli, creando uno spazio espressivo libero da regole e restringimenti, in cui poter mostrare la sua vena artistica.
13 assassini appartiene a quest’ultimo genere e racconta una storia ambientata nel Giappone feudale. Il periodo di pace è minacciato dal sadico e spietato Naritsugu, figlio del precedente Shogun e fratello dell’attuale. Il giovane si sente intoccabile e fa tutto ciò che gli aggrada. L’onorevole Doi, alto ufficiale dello Shogun, chiede segretamente al samurai Shinzaemon Shimada di occuparsi dell’assassinio di Naritsugu. Shimada, visto il male che il giovane sta compiendo, accetta e recluta un gruppo di valorosi samurai per compiere l’incarico. Il numero degli assassini lentamente cresce fino ad arrivare a 13. Il piano sarà quello di attendere Naritsugu lungo la strada del suo viaggio di ritorno verso Edo e attaccarlo con tutto il suo seguito. La battaglia sarà all’ultimo sangue.
13 assassini è stato realizzato nel pieno rispetto della tradizione, mantenendone intatta la struttura. Nella prima parte c’è la formazione del gruppo di samurai e la loro preparazione per il combattimento. Nella seconda si partecipa all’allestimento dello scenario del confronto e allo scontro finale, che vede una lunga e appassionata serie di sequenze in cui la lotta tra i samurai è protagonista assoluta. All’occhio attento, però, non sfuggono alcune marche d’autore messi in immagini dal regista.
Quelle di Miike possono essere delle immagini disturbanti, irritanti, ma sotto la superficie si cela un intero universo di individui pulsanti, soli al mondo, disturbati, che si sentono dei falliti, dei perdenti, con un vuoto emozionale che deve essere colmato e quando la normalità della vita non basta, si rivolgono altrove, cercando quel qualcosa che li faccia sentire vivi. Nei suoi film la violenza fisica raffigura le anime ferite dei personaggi descritti, personaggi che sono stati a loro volta devastati, passandone di tutti i colori; c’è il ribaltamento ironico dal drammatico al comico, portando l’eccesso a diventare fumettistico e quindi dichiaratamente di finzione. Miike vuole che lo spettatore partecipi attivamente a ciò che sta guardando, giocando con lui. Un altro aspetto è lo sradicamento di un individuo dalla sua terra d’origine. Nei suoi lavori sono presenti uomini giapponesi che ritornano in patria dopo una lunga assenza o individui di diverse nazionalità che non vivono nella loro patria e che si sentono permanentemente degli estranei.
Così, il mostrare la mutilazione degli arti e della lingua di un personaggio nella parte iniziale di 13 assassini ricorda la mutilazione del corpo presente in diversi film del regista. In più il giovane selvaggio Koyata (che pur non essendo un samurai si unisce al gruppo) rimane un personaggio misterioso, che prende in giro gli scontri tra i samurai definendoli delle “risse divertenti”, dissacrando il genere, e che infine risulta essere invulnerabile come se non fosse di questo mondo, avvalorando il nonsenso che spesso aleggia nei film di Miike. Rimane il fatto che i combattimenti con la spada portano alla morte e quindi al sangue e alla violenza, temi onnipresenti nel cinema del regista, anche se qui non ci sono gli eccessi per i quali è internazionalmente rinomato.
13 assassini ha un ritmo coinvolgente, che via via diventa sempre più serrato. Miike è un artista ricco di talento, che come pochi riesce a scandagliare l’animo umano fin dentro le sue viscere e a mostrare la devastazione interore a cui può essere sottoposto un individuo con una forza lacerante, ma necessaria ad attivare lo sguardo. La musica, composta da Koji Endo, collaboratore di Miike da più di un decennio, contribuisce a rendere l’epicità della storia. Ogni inquadratura, ogni angolazione ha l’intento di catturare lo spettatore, per fargli vivere un’esperienza diversa e pulsante.
Prodotto da Toshiaki Nakazawa, produttore, oltre che di numerosi altri film di Miike, del pluripremiato Departures, vincitore dell’Oscar come Miglior Film Straniero nel 2009, il film è indirizzato a tutti gli appassionati di questo genere, non solo ai conoscitori di Miike, il quale, nel realizzare questo film, si avvicina al vasto pubblico cinematografico.