Nel 1619 una  nave approda a Jamestown in Virginia, nella sua stiva ci sono venti schiavi negri.

È  la prima di una lunga serie che porterà il numero degli schiavi e della loro discendenza, nel 1860, a superare i quattro milioni di persone e il cotone da loro raccolto a passare dalle mille tonnellate del 1790 al milione di tonnellate dell’epoca dei fatti narrati.

Negli stati abolizionisti del nord a quel tempo si trovavano circa 200.000 uomini neri liberi, che erano scappati o nati liberi da genitori schiavi. Il Fugitive Slave Act del 1793 li rendeva potenzialmente (e praticamente) esposti al rischio di essere ri-catturati e restituiti ai “legittimi” proprietari nel sud; a seguito di questo atto si svilupparono gruppi di cacciatori di schiavi e succedeva anche che uomini (neri) liberi fossero catturati e venduti illegalmente.

Contro questo abominio si mobilitarono i neri e i bianchi abolizionisti che attraverso la Underground Railroad, una organizzazione che aveva steso una rete di protezioni, di rifugi sicuri, di percorsi per raggiungere gli stati abolizionisti e il Canada, condussero una eroica lotta contro lo schiavismo. Non c’è mai stata, nella storia, una condizione peggiore di quella degli uomini neri in America, e il racconto della ribellione, dell’emancipazione, del sacrificio è sempre stato pieno di pathos e di sentimento, dal libro La Capanna dello zio Tom della bianca abolizionista Harriet Beecher Stowe a Ragazzo negro Richard Wright e così via.

This image released by Fox Searchlight shows Michael Fassbender, left, Lupita Nyong'o and Chiwetel Ejiofor, right, in a scene from "12 Years A Slave." Fassbender was nominated for a Golden Globe for best supporting actor in a motion picture, Nyong'o was nominated for best supporting actress in a motion picture and Ejiofor was nominated for best actor in a motion picture drama for their roles in the film on Thursday, Dec. 12, 2013.  The film was also nominated for best drama. The 71st annual Golden Globes will air on Sunday, Jan. 12.(AP Photo/Fox Searchlight, Francois Duhamel)

Nel film di Steve McQueen, che racconta la storia di Solomon Northup, tratta dal suo libro autobiografico, di questo pathos e di questo sentimento non c’è traccia, o forse ce n’è quel tanto che basta per poter portare il film a Hollywood; ma probabilmente non è questo che interessa il signor McQueen, nero imponente e britannico, di Shakespeariana formazione e intelligenza.

Il film appunto non è americano ma europeo, e il regista è condotto da ossessioni gelide, ma al contempo appassionanti, di un pensiero analitico mirato alla rappresentazione della realtà psicologica dei personaggi e della loro complessità, piuttosto che non alla loro storia umana intesa come storia di rapporti e relazioni che legano gli essere umani tra di loro in quanto comunità sociali.

Si respira il condizionamento di questo compromesso, il film entra in una logica che struttura un racconto che non appartiene totalmente alle intenzioni del regista e trasmette una sensazione di freddezza e  incompiutezza, che  solo a tratti riesce a penetrare l’apparato descrittivo e che, per forza di cose, porta a deviare l’attenzione da quelle che sono le migliori sequenze introspettive a un quadro incerto e spiazzante. Un film in un certo senso non riuscito.

L’istinto di sopravvivenza lotta contro l’altruismo, contro il senso di giustizia e contro la pietà, ed è lui naturalmente a vincere, ma senza la grandiosità della battaglia che nelle tragedie di Sheakespeare i protagonisti affrontano con epicità fredda e potente.

La freddezza di McQueen è incompiuta e impotente.

Il tema della crudeltà è quello più interessante, anche se non riesce a imporre la sua centralità,il rapporto feroce che lega il padrone alla schiava, minuta, forte, e in un certo senso indomabile, è quello che coinvolge maggiormente, e non solo per la crudezza delle scene, dallo stupro continuo alla violenza delle frustate e della carne lacerata, alle urla di dolore straziante di un volto ormai reso grottesco dalla sofferenza. È qui il vero tema che sta a cuore al regista, qui forse nasce la pietà per il genere umano. Il padrone crudele,innamorato, sua moglie resa ancora più crudele dalla gelosia e l’essere umano posto al centro dei loro istinti,  materia vitale del conflitto tra questi,e usato per la loro declinazione, costruiscono uno squarcio che illumina parzialmente la visione del film.

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