Si è svolta a Roma, nella meravigliosa cornice della Casa del Cinema di Villa Borghese, la conferenza stampa di “Sorelle Mai”, l’ultima opera di Marco Bellocchio, presentata fuori concorso alla sessantasettesima edizione del Festival del Cinema di Venezia. Hanno partecipato all’evento tutti i protagonisti, eccezion fatta per le due sorelle del cineasta che in linea con lo spirito e i contenuti della pellicola hanno deciso di rimanere fedelissime alla “prigione dorata” di Bobbio. L’atmosfera è inizialmente distesa, ma le pratiche di rito che precedono la presentazione sembrano avere infastidito qualcuno tra il pubblico. E così, d’improvviso, si accende una miccia che surriscalda l’ambiente, mentre Bellocchio risponde alle domande dei giornalisti con la consueta energia nevrotica “da fare invidia a un ventenne”, per dirla con il figlio Pier Giorgio.
Parla il direttore della Teodora Film:
“Distribuire un film di Marco Bellocchio per la Teodora è un punto di arrivo. Siccome sembra un anno piuttosto fortunato (abbiamo appena avuto l’Oscar per il Miglior Film straniero) spero che questo momento propizio si espanda su Sorelle Mai: il film ci piace enormemente di là da qualsiasi considerazione commerciale. Però più persone lo vedranno più saremo tutti contenti”.
L’Ufficio Stampa del Film: “Rompiamo il ghiaccio con una domanda che qualcuno vuole fare…”
Dal religioso silenzio irrompe una voce annoiata e un po’ rotta: “Vorrei fare due domande. Una all’Ufficio Stampa: perché spostare una proiezione stampa? Io avevo visto il film al Festival di Roma…”
Marco Bellocchio: “Allora ha visto una cosa diversa. Noi oggi presentiamo un altro film”.
Pier Giorgio Bellocchio: “Cominciamo proprio scoppiettando!”
Prosegue l’anonimo giornalista: “ Volevo vedere il film questa mattina insieme alla conferenza stampa. Visto che c’è una proiezione in concomitanza con un altro film blockbuster a mezzogiorno, c’ è questo problema insomma… e questa era per l’ufficio stampa. La seconda domanda: ho visto i Pugni in tasca a teatro. Complimenti! volevo sapere qualcosa in più in chiave psicoanalitica nel rapporto padre/figlio; nel senso che a una domanda che è stata fatta a Pier Giorgio sui tre film che ha fatto col papà lui ha detto che quelli sono forse i suoi film meno riusciti: perché?”
P.G.B.: “Per la verità io ho risposto esattamente il contrario”.
Anonimo: “Ho qui la sua dichiarazione…”
P.G.B.: “No, per fortuna sono ancora abbastanza giovane da ricordarmi le cose che dico!”
Anonimo: “No, voglio dire… cioè… la psicoanalisi fa bene o male al cinema e viceversa?”
P.G. B.: “Io ho risposto che proprio il percorso che ha fatto mio padre lo ha portato a fare dei film che sono i più riusciti della sua carriera, ovvero: L’ora di religione, Il regista di matrimoni, Buongiorno, notte e Vincere. Poi nell’ambito di quel suo percorso personale ci possono essere dentro dei film meno riusciti. Ma meno riusciti per il grande pubblico… però se questo signore, seduto qui a fianco a me, a settant’anni ha ancora una vitalità che molti ventenni se la sognano evidentemente ci sarà qualcosa di buono nel percorso che ha fatto: non potrà di certo essere un percorso da buttare via, no?”
Anonimo: “No no, ma non era questa la domanda. Cioè, della psicanalisi al cinema…”
P.G.: “La psicoanalisi al cinema: nel senso la rappresentazione al cinema della psicanalisi o quanto il percorso psicoanalitico privato si può rivedere nei film?”
Anonimo: “La seconda che ha detto.”
P.G.: “E allora le ho risposto. E’ ovvio: io non penso che la brillantezza, la vitalità e quanto lui sappia guardare avanti nonostante non sia più un giovincello possa essere scindibile dal suo percorso personale. Il suo percorso privato… e poi vuoi rispondere tu?” (si rivolge al padre visibilmente irritato).
M.B.: “Io non voglio rispondere. Mi scusi ma… lei non ha visto il film, quindi già questo la squalifica… abbia pazienza, non ho nessun interesse a rispondere perché lei non ha visto il film. Grazie!”.
Nell’allontanare il microfono il regista invita sommessamente l’interlocutore finalmente imbarazzato a trasferirsi, senza fare ritorno, in una Bobbio qualunque.
Per stemperare la tensione evidente interviene con diplomazia l’Ufficio Stampa:
“Cercheremo di far rivedere il film alla stampa, ma lo sciopero di venerdì durava fino alle 17.00 e molti suoi colleghi erano presenti alla proiezione. Comunque ha ragione Bellocchio quando dice che fare delle domande quando non si è visto il film è un po’ difficile.”
Ha ora inizio la conferenza:
Eliana Ruggero dell’Agi: “Io ho visto il film (risate generali). Mi hanno emozionato i personaggi delle due sorelle, sono commoventi, si sono sempre sacrificate per la famiglia… mi sembra poi che i protagonisti del film siano anche il tempo e lo stabile: volevo sapere da lei come ha lavorato nell’arco di questi quindici anni.”
M.B.: “E’ chiaro che lì ci sono tanti protagonisti… verso le mie sorelle c’è un’attenzione e un affetto tutto particolare, inevitabilmente malinconico, ma non patetico perché Sorelle Mai è anche la scelta a cui in parte sono state costrette: rinunciare in qualche modo alla vita. Per un benessere, per una vita confortevole, per una vita protetta. Ma credo che inizialmente non fosse questo il loro desiderio. Cechov e Pascoli sono gli autori di riferimento, cioè la mia personale formazione. Lo stabile è la casa di famiglia dove ho girato buona parte di I pugni in tasca, dove dormo quando vadoa fare il laboratorio a Bobbio, quindi io ho una familiarità con questa casa che è cambiata nel corso degli anni ma ha tenuto la stessa struttura. E’ chiaro che il film sono anche i giovani figli che vanno e tornano continuamente in quest’immobile paese. E ci sono anche i personaggi di fantasia, come la sorella di Giorgio, Donatella, che è siciliana – e non c’è niente di più improbabile e di inverosimile che lei sia sorella di Pier Giorgio, però di fatto è un rapporto che vive in questo laboratorio. Spesso nell’anno in cui lavoro chiedo agli attori se vogliono passare qualche giorno lì a Bobbio inventandoci dei personaggi. Il personaggio di Alba (Rohrwacher n.d.r) è stato inventato e lei lo ha creato in tre giorni. Con Donatella avevamo fatto Il regista di matrimoni e poi è voluta tornare anche se è stata un po’ obbligata in quanto so
rella, madre di Elena… Dunque è un personaggio un po’ obbligato. Naturalmente qui è presente anche Gianni Schicchi Gabrieli, amico da una vita: ci conosciamo da più di mezzo secolo e anche lui nel film fa un personaggio inventato, l’amico di Giorgio, l’amministratore della famiglia. E’ un amico che fa se stesso, ma come tutti gli altri attori è in parte un personaggio inventato: questa è la caratteristica del film, da una parte in presa diretta sul passato e sul presente, ma tutti i personaggi in qualche modo sono interpretati dagli attori.”
“Quando è nata l’idea di rendere il film qualcosa di perfettamente in bilico fra l’interpretazione e la realtà? Per quanto riguarda il rapporto con le attrici: perché proprio loro due?”
M.B.: “Dal momento che sono episodi che vengono improvvisati anno per anno e hanno un budget pari a zero è chiaro che io devo chiedere a degli attori di partecipare gratuitamente, pagare soltanto le spese del viaggio e della permanenza. Naturalmente ogni episodio è stato elaborato e improvvisato in una sua autonomia. Infatti tutti gli episodi hanno un inizio e una fine. C’è stata la possibilità di fare un incontro molto importante con Bernardo Bertolucci al Festival di Roma e quindi ho preparato i primi tre episodi, che però avevano ancora una forma di inizio-fine per ogni episodio. Poi l’invito di Marco Mueller di presentarlo a Venezia mi ha permesso di rielaborare tutto il montaggio del film e cercare di dare al resto una compattezza. Il film ha un suo andamento di apparente casualità, non c’è una suspense che dia il racconto dall’inizio alla fine; ha una sua particolare cadenza, ma i temi ricorrenti gli conferiscono una certa unità. Naturalmente siamo fuori dalla consuetudine o dal conformismo di certe forme che adesso sono di grandissimo successo. E’ un film sicuramente rivoluzionario.
In realtà poi non mi sembra che questa forma sia così eccentrica. La drammaturgia americana, soprattutto, ha imposto la formula “primo secondo e terzo atto”, qualche volta c’è anche il quarto. Però nel cinema europeo questo non è cosi straordinariamente stravagante. Se pensiamo agli anni sessanta, alla maggior libertà di forme espressive… certo oggi siamo talmente chiusi nel conformismo che questo ci sorprende, ma il film ha una unità straordinaria e soprattutto ci terrei a precisare che Sorelle Mai non è un documentario nel modo più assoluto.
M.B.: “Il termine documentario è scorretto. Non di certo in termini morali, ma proprio in termini di definizione critica.”
“Il tuo esperimento a Bobbio può rappresentare il futuro del nostro modo di fare cinema, considerata la clandestinità in cui si è costretti oggi a lavorare?”
M.B.: “Questa è una dimensione di disperazione che riguarda, purtroppo, più i giovani. Io me la cavo perché sono abbastanza conosciuto anche all’estero. Spero di poter fare ancora molti film e di trovare il denaro per poterli fare. Però sicuramente film che abbiano un po’ d’inventiva e che non abbiano come scopo il botteghino sono quasi impossibili da fare oggi. Questo è un film girato a costo zero, però è stato editato con molta cura. Ad esempio abbiamo anche girato un episodio La monaca di Bobbio sull’inquisizione, nel Seicento: lo abbiamo fatto in un carcere che abbiamo ripulito, con quattro costumi etc… Certamente in una situazione di disperazione, di cinismo così esasperato come quella di oggi bisogna cercare di inventare più ancora che in passato.”
“Chi era la monaca?”
M.B.: “Un’attrice russa. Però è un mistero…”
Domanda a Francesca Calvelli, la montatrice del film: “Qual’è stata la peculiarità di quest’ultimo lavoro con Bellocchio rispetto ai precedenti con il regista?”
F.C.: “Non l’ho montato da sola. Lo abbiamo montato sei mesi dopo averlo girato, poi un anno dopo averlo girato… la peculiarità è stata che non abbiamo avuto dei tempi per chiudere il film. Abbiamo lavorato in famiglia. Ci siamo trovati alla fine a dover chiudere il film, rimaneggiando alla fine tutti gli episodi nel momento in cui si è capito che sarebbe diventato un lungometraggio. Ho letto su molti blog una cosa inesatta: un film già presentato nel 2006. In quell’anno fu presentato un montaggio di tre episodi. Adesso il film è composto da sei episodi e quei tre episodi che sono stati presentati a Roma sono stati rimontati. Ci tengo a precisarlo perché l’ho letto più volte.”
“A Venezia hai detto che l’ultimo episodio poteva diventare un film… e in quante copie verrà distribuito?”
M.B.: “No. Sorelle Mai si chiude così. La monaca di Bobbio potrebbe diventare un film fatto con lo stesso spirito di questo, ma con il passare del tempo. Il film esce in quaranta copie.”
“Una domanda sulla costruzione degli ultimi episodi. Mi sembra che ci sia un approccio differente: uno costituisce una storia intera e l’ultimo è pieno di spunti narrativi forti che mi sembra manchino negli episodi precedenti che si concentrano di più sulle piccole cose concrete. Insomma, quali erano gli spunti che avevano animato questi ultimi episodi?”
M.B.: “Il penultimo è nato da un racconto di una mia carissima amica, una professoressa di filosofia che tra l’altro recita a fianco del preside, che poi è mio fratello Alberto. Infatti nel montaggio avevo qualche dubbio se inserirlo o meno. E poi c’erano dei personaggi che comunque inevitabilmente si inserivano, come Elena, come Gianni… parlando con Irene mi ha raccontato questo episodio che le è capitato e ho pensato che si potesse ricreare, sviluppare: ho chiesto ad Alba e quindi si è fatto. Nell’ultimo episodio c’era l’idea di chiudere… poiché qualche anno prima l’amico Gianni ha un suo numero che fa in varie circostanze, come nei festival, nelle feste, in pratica cantare L’uomo in frac allora abbiamo fatto in modo che si potesse realizzare questa scena. Nell’ultimo episodio abbiamo rimesso alcuni personaggi che erano presenti in altri episodi e gli abbiamo dato una conclusione. Effettivamente aveva il senso di una fine, anche se io non avevo in mente di fare un film di sei episodi. Ma certamente volevo concludere questa storia.”
“Alle due attrici protagoniste, Donatella Finocchiaro e Alba Rohrwacher: come vi siete trovate nei vostri ruoli?”
D.F.: “Per noi credo sia stata una sorta di vacanza studio questo “Laboratorio Fare Cinema”. Bobbio è una città incantata, una cittadina che sembra la città delle fate, con questo fiume bellissimo, il Trebbia, dove andavamo a fare il bagno, con le cascate… insomma stavamo bene, non c’era lo stress di un set cinematografico ed è stato
una sorta di work in progress: si lavorava con i ragazzi alla sceneggiatura prima di partire per andare a girare. Ovviamente c’era la supervisione di Marco che garantiva la riuscita del tutto.”
A.R.: “Io sono stata un’estate sola a Bobbio e sono stati dieci giorni molto belli. Appena arrivata a Bobbio Marco mi fece vedere i primi tre episodi e mi disse che nel nuovo montaggio si sarebbe entrati nella storia in maniera più trasversale. Mi sembra che la leggerezza che ho vissuto in quei giorni senza la pressione di una macchina cinematografica ingombrante si veda chiaramente sullo schermo. Ci divertivamo anche durante un lavoro molto concentrato in cui seguivamo Marco. Secondo me è un documento incredibile sulla crescita del personaggio di Elena o lo sviluppo emotivo del personaggio di Pier Giorgio: mi sembra un tutto molto prezioso.”
“Elena (Bellocchio n.d.r), avevi la sensazione di recitare quando hai cominciato oppure ti muovevi liberamente?”
E. B.: “No. Io ricordo che nel primo episodio, quando avevo appena quattro anni non mi rendevo minimamente conto che stavo recitando – ad esempio quando stavo nel letto e Giorgio mi diceva “Dormi!” io non volevo assolutamente dormire – infatti col passare del tempo, quando avevo tredici o quattordici anni me ne rendevo conto, però all’inizio no: era un gioco o la realtà? Mi chiedevo. Mi piaceva, mi divertivo, ma non è mai stato uno sforzo, anche se mi impegnavo.”