Alcune storie restano sepolte nella complicata rete dell’esistenza, vicende troppo delicate per emergere, scomode perché debbano essere portate alla luce. Ma se è vero che nelle sfaccettature di un tutto, come nel caos che dette origine al mondo, esiste il principio di una grande storia, quella di Alan Turing, personaggio sfortunato e geniale al tempo stesso, resta un evento che ha cambiato le vite di milioni di persone.

Che qualcuno, già in passato, si sia forse ricordato di lui oramai lo pensiamo in molti. Chi non sa che la Apple, la notissima azienda informatica statunitense che ci tiene in sospeso ad ogni sua nuova creazione, sembra riferire il suo nome alla mela avvelenata che uccise il matematico? Forse la mela era un frutto amato da Alan? Nel film di Tyldum, infatti, viene offerta ai colleghi di lavoro per accattivarne la complicità. Ma non vi è certezza sull’effettività del tributo a Turing da parte di Steve Jobs, anche se ci piace crederlo. Tutto deporrebbe a favore: la mela al potassio di cianuro che come uccise Biancaneve uccise il sofferente genio. La mela nera, mortale e morsa…

 

Ma tornando al film, non sorprende che sia stato candidato a diversi Oscar – stupisce invece il successo, discreto, avuto dalla pellicola nel nostro paese. Le interpretazioni sono magistrali, in particolar modo quella del protagonista, Benedict Cumberbatch, noto per aver interpretato l’investigatore Sherlock Holmes, e quella, androgina, di Keira Knightley.

La decriptazione di Enigma –  detta “operazione Ruthless” da parte della Marina britannica –  la macchina elettro meccanica nata per cifrare ma utilizzata dalle truppe armate naziste durante la seconda guerra mondiale, getta le basi di due argomenti che restano di importanza massima: la salvezza di migliaia di persone,  grazie alla genialità ed alle previsioni codificate dal nostro esperto di logica e crittografia,  condivise con le forze alleate, e la nascita di una primordiale base – la macchina di Turing – che darà, da tale momento in poi, il via alla successiva realizzazione del computer.  

La figura privata di Alan Turing non è interessante, almeno non in un senso privatamente e ricattatoriamente sentimentale, l’uomo appare piuttosto come una persona comune che faticosamente lotta per affermare il proprio bagaglio culturale, pur indispensabile per una coincidenza temporale, dove però ancor prima bisogna attestare la soggettiva realtà di essere vivente. E’ proprio il contrasto tra il grande apporto scientifico di Alan Turing rispetto alla fragilità dell’essere, che costituisce il cuore del film. E Tyldum riesce bene in questo, al di là della storia, comunque, lo ripetiamo, ben interpretata e che cattura dall’inizio alla fine. L’omosessualità di Turing non è centrale, lo è piuttosto la diversità con tutte le sue infinite sfaccettature. E’ come un ribadire che per “alti tributi” bisognerebbe avere sempre “le carte in regola”. Turing non le ha. Sembra un disadattato, e forse lo è – se omosessualità ha voluto dire malattia mentale e se sono ancora in molti a crederlo. Ma che Turing, al di là delle proprie scelte sessuali, fosse una persona eccezionale apparirebbe molto chiaro. Ma perché non credere che la genialità sia proprio in quegli esseri viventi che mal si allineano ai riconoscimenti sociali convenzionali? La vita del nostro matematico è dominata dalla fatica dell’affermazione in quanto persona insolita, ancor peggio se si suggerisce “affetta” da una inclinazione gay. Gli verrà riservato un trattamento da farabutto; primo perché non è simpatico, non è socievole, non è pratico, ma soprattutto perché è sospetto di omosessualità, l’argomento deleterio che farà la differenza insopportabile al mondo. Paradossale e tragico è il finale, finale di qualcuno che aveva devoluto molto a favore dell’umanità ed altrettanto avrebbe insegnato, se lo stravolgimento della logica umana non avesse lasciato tranquillamente eliminare ciò che non sembra confacente alla norma. Certo, Alan Turing non è l’unico caso di genio bistrattato dalle convenzioni e dalle leggi inadeguate, e se fino a ieri i riconoscimenti non gli erano dovuti, oggi gli spettano con gli onori e le scuse. Come minimo.

Se il cinema, come ogni forma d’arte, non mente, è doveroso recuperare la memoria di una persona eccezionalmente vissuta, e sicuramente non l’ultima dimenticata – regaliamoci pure molte domande nella mente, dopo aver visto “The imitation game”.

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